Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19221 del 14/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19221 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso presentato da:
Puglisi Gaetano, nato a Messina, il 9/9/1970;

avverso la sentenza del 18/1/2013 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Eugenio
Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 18 gennaio 2013 la Corte d’appello di Firenze confermava la
condanna di Puglisi Gaetano per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale commessi nella sua qualità di socio illimitatamente responsabile della
Banaker s.n.c. dichiarata fallita il 27 novembre 2002.

Data Udienza: 14/04/2014

2. Avverso la sentenza ricorre personalmente l’imputato articolando quattro motivi. Con
il primo eccepisce la violazione del principio di correlazione in merito al riconoscimento
dell’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta invero mai formalmente contestata
all’imputato ed autonomamente ritenuta in sentenza dal giudice di primo grado. Con il
secondo motivo il ricorrente deduce l’errata applicazione della legge penale e correlati
vizi della motivazione in merito alla ritenuta responsabilità dell’imputato per i reati
contestati, eccependo in particolare il difetto dell’elemento psicologico degli stessi in

ricreativo che ne ha ereditato l’attività. Con il terzo motivo vengono prospettati ulteriori
insufficienze della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla prova delle
contestate distrazioni, mentre con il quarto viene dedotta l’errata applicazione dell’art.
216 legge fall. in relazione alla qualificazione dei fatti attinenti alla tenuta delle scritture
contabili come bancarotta fraudolenta documentale anziché come bancarotta semplice.
CONSIDERATO IN DIRMO
1.L’eccezione processuale proposta con il primo motivo di ricorso è manifestamente
infondata e comunque inammissibile.
1.1 Innanzi tutto è da escludersi l’interesse dell’imputato a ricorrere avverso il
riconoscimento di un’aggravante, anche qualora effettivamente sussistesse il vizio
dedotto dal ricorrente, che non abbia in concreto concorso alla determinazione del
trattamento sanzionatorio in quanto ritenuta sub valente alle concesse attenuanti
generiche all’esito del giudizio di comparazione o che abbia in qualsiasi altro modo
inciso sulle decisioni assunte a suo carico e che anzi ha comportato l’applicazione di un
regime sanzionatorio per lo stesso più favorevole di quello ordinariamente conseguente
alla contestazione di una pluralità di autonomi fatti di reato. Ed in proposito va
ricordato che l’art. 219 comma 2 n. 1 legge fall. non configura, sotto il profilo
strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare
e più favorevole disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui
all’art. 81 c.p. (Sez. Un., n. 21039 del 27 gennaio 2011, P.M. in proc. Loy, Rv.
249665).
1.2 Sotto altro profilo deve rilevarsi come in realtà l’aggravante fosse stata invero
contestata in fatto mediante la descrizione nell’atto imputativo di autonomi fatti
penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 216 legge fall., talchè il giudice di primo grado ha
solo provveduto alla sua qualificazione giuridica nel legittimo esercizio dei poteri
attribuitigli dal primo comma dell’art. 521 c.p.p. Va infatti ribadito che, ai fini della
contestazione di una aggravante, non è necessaria la specifica indicazione della norma
che la prevede, essendo sufficiente la precisa enunciazione “in fatto” della stessa, così

ragione dell’accertata gestione esclusiva da parte del socio della fallita e del circolo

v

che l’imputato possa avere cognizione degli elementi fattuali che la integrano (ex multis
Sez. 2, n. 14651 del 10 gennaio 2013, P.G. in proc. Chatbi, Rv. 255793).
1.3 Infine manifestamente insussistente è altresì la violazione dell’art. 6 CEDU evocata
dal ricorrente, atteso che nel caso di specie, come testè ricordato, il giudice non ha
attribuito al fatto una qualificazione diversa da quella operata all’atto della
contestazione (fattispecie cui si riferisce Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia
richiamata nel ricorso), mentre la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è

dell’imputato solo se nell’ambito dell’intera vicenda processuale questi non sia stato
messo nelle condizioni per svolgere le proprie difese in ordine alla operata
riqualificazione e non gli sia stato dunque concesso un rimedio utile per accedere ad un
giudice che abbia il potere di sovvertire la decisione assunta precedentemente in difetto
di informazione sul punto (CorteEDU sent. 1 marzo 2001, Dallos vs. Ungheria,
CorteEDU 16 aprile 2002, Vaque Rafart vs. Spagna, Corte EDU 6 giugno 2002, Feldman
vs. Francia, Corte EDU 24 giugno 2004, Balette vs. Belgio, CorteEDU 24 gennaio 2006,
Gouget e altri vs. Francia e CorteEDU 7 marzo 2006, Vesque vs. Francia). In tal senso
alcuna violazione del diritto di difesa si sarebbe comunque consumatct nel caso di
specie, atteso che la presunta riqualificazione sarebbe stata operata nel primo grado di
giudizio e l’imputato ha dunque avuto la possibilità di contestare la decisione dinanzi al
giudice dell’appello, che concretamente ha sfruttato contestando con il gravame di
merito la ritualità del riconoscimento dell’aggravante.

2. Inammissibili sono anche gli altri motivi.
2.1 La Corte territoriale ha esposto in maniera articolata e coerente all’evidenza
disponibile le ragioni che hanno fondato la conferma della condanna del Puglisi per il
reato di bancarotta distritttiva commesso ai danni del patrimonio della fallita di cui egli
era amministratore al pari del socio Franco Vincenzo, evidenziando in proposito come il
curatore fallimentare non abbia trovato traccia della merce e dei beni strumentali
acquistati dalla società per avviare l’azienda per la cui gestione era stata costituita, né
del corrispettivo eventualmente incassato dalla loro vendita.
2.2 La linea argomentativa così sviluppata risulta immune da qualsiasi caduta di
consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre il tentativo
del ricorrente di prospettare una diversa ricostruzione del fatto si risolve, per l’appunto,
nella prospettazione di una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio
alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito nel tentativo di
sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi della
lett. e) dell’art. 606 c.p.p..

pacificamente orientata nel senso per cui sussiste violazione del diritto di informazione

2.3 Quanto poi a quella che, nell’ottica del ricorrente, costituirebbe la circostanza
fondamentale per la prova dell’innocenza dell’imputato – e cioè l’intervenuto accordo
“verbale” tra la fallita e il Banaker Club sull’acquisto dei beni strumentali e sull’accollo
dei debiti della prima – la sua effettività è stata argomentatamente confutata nella
sentenza impugnata, con la cui motivazione il ricorrente non si è sostanzialmente
confrontato. Ed analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo al
coinvolgimento del Puglisi nella gestione del citato Banker Club, che la Corte

nega assertivamente, senza premurarsi di confutare quanto rilevato dai giudici
fiorentini.
2.4 Generiche e scarsamente correlate alla motivazione della sentenza si rivelano
anche le doglianze avanzate con il terzo motivo, giacchè come si è visto, ha
ritenuto sussistere la prova della certa presenza nel patrimonio della fallita dei beni
oggetto della contestata distrazione, nonché quella del loro mancato rinvenimento al
momento dell’apertura della procedura concorsuale, talchè qualsiasi ulteriore
accertamento che sarebbe stato omesso in sede investigativa in ordine all’effettiva
destinazione finale dei suddetti beni risulta sostanzialmente irrilevante ai fini della
configurabilità del reato, né, se non in maniera assertiva, il ricorrente ne ha saputo
prospettare invece la decisività.
2.5 Con riguardo infine alla bancarotta documentale, ricordata la qualifica dell’imputato
e dunque i conseguenti doveri in ordine alla tenuta della contabilità, la sentenza ha
correttamente qualificato il fatto contestato ai sensi dell’art. 216 legge fall., annotando
come la mancata annotazione nel registro IVA di tutte le operazioni riguardanti proprio
i beni oggetto di distrazione evidenziasse k il connotato di fraudolenza della condotta,
consentendo di inquadrare il fatto nella specifica fattispecie descritta nella seconda
parte dell’art. 216 comma 1 n. 2 legge fall., piuttosto che in quella di omessa tenuta
dei libri contabili.
2.6 Conclusivamente va rilevato che l’originaria contestazione del reato di bancarotta
documentale riguardava anche l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali della
fallita. Condotta questa pacificamente non integrante il suddetto reato, atteso che le
menzionate dichiarazioni non possono annoverarsi tra le scritture contabili ed essendo
l’obbligo relativo alla loro presentazione finalizzato esclusivamente alla tutela
dell’interesse erariale non di fatti relativi all’organizzazione interna dell’impresa (Sez. 5,
n. 11279 del 16 febbraio 2010, Acciuolo e altro, Rv. 246370). Non di meno la questione
– nemmeno dedotta dal ricorrente – non rileva, atteso che i giudici di merito non hanno
tenuto conto della suddetta condotta, dimostrando così di ritenerla implicitamente
irrilevante, né può ritenersi che la stessa abbia influito in qualche modo sul trattamento
sanzionatorio irrogato stante l’applicazione della disciplina di cui all’art. 219 legge fall.

distrettuale ha dedotto dalle stesse dichiarazioni dell’imputato e che invece il ricorso


3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso il 14/4/2014

processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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