Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19215 del 13/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19215 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
SALERNO
nei confronti di:
DELLA MONICA MARIO N. IL 12/01/1961
inoltre:
DELLA MONICA MARIO N. IL 12/01/1961
avverso la sentenza n. 13/2012 CORTE ASSISE APPELLO di
SALERNO, del 22/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udi
che ha concluso per

( Udito, per la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 13/11/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento dei ricorsi del P.M. e di
Della Monica Mario;
udito il difensore della parte civile, avv. Laudísio Alessandro, che
ha concluso per l’inammissibilità od il rigetto del ricorso dell’imputato,
come da conclusioni depositate unitamente alla nota spese;
udito il difensore dell’imputato, avv. De Caro Agostino, che ha

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 22.10.2013 la Corte di Assise di Appello di
Salerno, in riforma della sentenza appellata dal Pubblico Ministero presso
il Tribunale di Nocera Inferiore, emessa dalla Corte di Assise di Salerno in
data 30.12.2011- che aveva assolto Della Monica Mario dal reato di
omicidio volontario aggravato di Rizzo Santina- ha dichiarato il predetto
imputato colpevole del reato di Womicidio colposo, ai sensi dell’art. 589
c.p., così diversamente qualificato il fatto di cui all’originaria imputazione,
e lo ha condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed al
risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili Rizzo Luigi,
Rizzo Sabrina, Francese Mario, Califano Italo, da liquidarsi in separata
sede.
1.1. In tale sentenza i fatti sono stati così descritti:
-Rizzo Santina fu rinvenuta cadavere la sera del 13 febbraio 2010 nella
sua abitazione in Nocera Superiore, ove la donna esercitava l’attività di
prostituta; il corpo era riverso a terra nella camera da letto, seminudo,
con una corda stretta al collo e due forbici conficcate, una in vagina e
l’altra in bocca;
-dall’esame autoptico risultava che il decesso era avvenuto in un orario
compreso tra le 19,30 e le 20,30 dello stesso giorno ed era stato
provocato da asfissia mediante strangolamento, probabilmente nel corso
o dopo un rapporto sessuale; le ferite inferte con le forbici non erano
mortali; la vittima era stata uccisa mentre si trovava carponi sul letto, da
cui era poi caduta sul pavimento e l’omicida aveva azionato la corda,
mentre era posizionato alle spalle;
-il corpo era stato scoperto dal nipote della donna, Califano Italo, e
dall’amico di questi, Pepe Salvatore, i quali erano partiti da Nocera
Inferiore per recarsi presso l’abitazione della Rizzo in Nocera Superiore
che, come d’abitudine, avrebbe dovuto elargire al nipote una piccola
regalia in denaro; l’intesa era che il giovane avrebbe dovuto preavvertire
1

concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;

la nonna della sua visita con il cellulare e, in caso di mancata risposta,
avrebbe dovuto attendere il via libera della stessa, impegnata con qualche
cliente ed, infatti, nel corso delle immediate indagini, risultava la
telefonata, senza risposta, effettuata dal nipote alle ore 19,00; i due
giovani, giunti a Nocera Superiore verso le 18,45 ed incamminatisi per
raggiungere l’abitazione della Rizzo, erano passati vicino alla chiesa di S.
Maria Maggiore, dove erano stati ripresi dall’impianto di
videosorveglianza alle 19,42; erano giunti, quindi, presso l’abitazione

alla casa si trovava in sosta, con la parte anteriore rivolta verso
l’abitazione, un’auto Fiat Punto a tre porte; ritenendo che la donna si
trovasse impegnata con un cliente, si erano posti in attesa all’interno
dell’autovettura della Rizzo, pure parcheggiata vicino alla casa ed erano
rimasti così per qualche tempo, mentre i vetri dei finestrini si
appannavano per il freddo, risultando limitata la visibilità verso l’esterno;
verso le 20,00 il Califano era sceso dall’auto, notando che nel frattempo
l’auto Punto si era allontanata, per cui il giovane tentava ripetutamente
di contattare la nonna con il cellulare (dai tabulati sono risultate ben
undici telefonate in rapida successione) fino a quando, preoccupato, dopo
aver telefonato al fratellastro Francese Mario (alle 20,26) e aver provato
inutilmente a bussare, era entrato con l’amico forzando la porta e
scoprendo così il cadavere della nonna;
-dalle indagini immediatamente svolte dai carabinieri risultava che la
Rizzo alle ore 16,39 era stata contattata sulla sua utenza cellulare da
quella intestata alla ditta Casa Amica Arredamenti, nella disponibilità di
Della Monica Mario, fratello del titolare, il quale, convocato in caserma,
ammetteva di essersi recato dalla Rizzo per un convegno carnale,
utilizzando la sua auto Fiat Punto a tre porte, che aveva parcheggiato
davanti all’abitazione; precisava di aver avuto un rapporto sessuale con la
donna e di essersi poi intrattenuto con la stessa, fumando una sigaretta
per poi congedarsi al massimo verso le ore 19,15, ricevendo dalla donna
delle caramelle, che aveva ancora in tasca, facendo rientro a Cava alle
ore 19,37 presso la falegnameria, per svolgere dei lavori.
1.2 La Corte di Assise di Appello di Salerno, non reputando condivisibili
i dubbi espressi nella sentenza di primo grado -secondo cui nessuno degli
elementi analizzati a seguito di valutazione, prima separata, indi
congiunta ed organica, fosse in grado di provare, al di là di ogni
ragionevole dubbio, che l’autore dell’omicidio si identificasse nel Della
Monica – ha ritenuto, invece, il Della Monica responsabile dell’omicidio

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della Rizzo, situata poco più avanti, avendo modo di notare che davanti

colposo della predetta, essendo senza dubbio presente quel pomeriggio
nell’abitazione della Rizzo e non essendo credibile la versione dei fatti
resa dal medesimo imputato, in base, tra l’altro, alle seguenti
considerazioni:
– anche a voler considerare l’orario di partenza dalla falegnameria per
recarsi dalla Rizzo (indicato dall’imputato verso le 18-18,15 circa), tenuto
conto dell’ intenso traffico a quell’ora di punta serale, il suo arrivo a
Nocera Superiore non può che essere collocato intorno alle 19,00, sicchè

sessuali e pratiche igieniche), il tempo di ripartenza non può essere
collocato alle 19,15;
-il mancato rinvenimento del preservativo con la tracce biologiche
riferibili al rapporto, che l’imputato dichiara di aver praticato con la Rizzo
con soddisfazione, si presenta compatibile con l’attività di eliminazione
delle proprie tracce e l’alterazione della scena del crimine, con
conseguente depistaggio, tanto da confermare l’ipotesi accusatoria
secondo cui l’imputato è stato l’ultimo effettivo cliente della donna;
– l’auto in sosta davanti alla casa della Rizzo notata dai testi alle ore
19,42, tenuto conto dei tempi di permanenza indicati, non può che
essere del Della Monica, rivelandosi inverosimile la giustificazione addotta
dallo stesso di essere rientrato in falegnameria per poi essere stato
raggiunto dalla telefonata della moglie alle ore 20,50;
– l’autovettura Fiat Punto a tre porte vista dal nipote della Rizzo e
dall’amico è proprio quella del Della Monica e non una diversa ipotetica
auto identica nella marca e nel tipo di altro cliente giunto dopo la
partenza del predetto e, per quanto concerne le imprecise indicazioni sul
colore dell’auto da parte dei testi Califano e Pepe, ciò è giustificato dalle
condizioni ambientali in cui l’avvistamento è avvenuto, nonché personali
degli stessi (avendo assunto bevande alcoliche e fumato spinelli).
1.3. Tenuto conto delle modalità di rinvenimento del cadavere,
dell’attività della vittima, della presenza di oggetti sadonnaso
nell’abitazione della stessa, la Corte di Assise di Appello ha concluso
ritenendo che la Rizzo ed il Della Monica avessero posto in essere la
pratica erotica simile al cd. “bondage” e che la Rizzo fosse appunto
rimasta vittima di tale pratica, imprudentemente operata, davanti allo
specchio, consentendo al partner di porle una corda al collo, come per
strangolarla, con la conseguenza che il fatto è da qualificarsi come
omicidio colposo.

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in base alle attività dallo stesso indicate come compiute (due rapporti

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale
della Repubblica di Salerno, deducendo la ricorrenza del vizio di cui all’art.
606, primo comma, lettera b) c.p.p., per erronea applicazione degli artt.
589 e 584 c. p.; in particolare, la Corte territoriale,

pur avendo

condiviso in fatto la ricostruzione dell’ accaduto effettuata nella
requisitoria- ossia che la morte della donna è avvenuta a seguito di
pratiche erotiche operate dall’imputato, tenuto conto della posizione e
delle condizioni in cui è stato rinvenuto il corpo della Rizzo, nonché di

stato agevolato dal peso del corpo, trovandosi la donna prona, a quattro
zampe, sul letto davanti allo specchio, mentre il partner le stava dietro ed
in questa posizione le era stata avvolta la corda al colloed avendo ragionevolmente ritenuto che la Rizzo, anziana ed esperta
prostituta, avesse prestato il suo consenso a pratiche erotiche simili al
cosiddetto “bondage” (gioco erotico con il quale si ricerca, attraverso un
movimento indotto dal peso del corpo appeso con una corda legata al
collo uno stato di semiasfissia, in grado di procurare una intensa ed
abnorme eccitazione simile all’ orgasmo), ha derubricato l’ imputazione
contestata al Della Monica, di omicidio volontario, in omicidio colposo,
ritenendola preferibile a quella di omicidio preterintenzionale; tale
conclusione, tuttavia, non è condivisibile, in quanto, nel caso di specie,
deve ritenersi integrato, invece, il reato di omicidio preterintenzionale,
atteso che, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, il
consenso della vittima per rapporti particolari non può escludere la
sussistenza di reati di lesioni volontarie, con il relativo dolo, ove questi
comportamenti siano di fatto realizzati, oltre una sfera di ragionevole
previsione, in quanto incidono su beni personali tutelati dall’ ordinamento
in sé e, come tali, disponibili a discrezione del titolare;

la causa di

giustificazione del consenso dell’avente diritto prevista 50 c.p. può avere
efficacia scriminante anche rispetto alle percosse e alle lesioni se prestato
volontariamente nella piena consapevolezza delle conseguenze lesive dell’
integrità

personale, sempre che queste

non si risolvano in una

menomazione permanente che, incidendo negativamente sul valore
sociale della persona umana, elide la rilevanza del consenso prestato.
3. Ha proposto ricorso, altresì, l’imputato a mezzo del suo difensore di
fiducia, lamentando:
3.1. con il primo gruppo di motivi, la ricorrenza dei vizi di violazione
della legge processuale penale, anche in relazione all’art. 533 c.p.p., e di
contraddittorietà e illogicità della motivazione, avendo la Corte di Assise
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quanto evidenziato dal medico legale, secondo cui lo strangolamento era

s

di Appello di Salerno riformato in peius la sentenza di primo grado,
limitandosi ad una diversa ricostruzione dei fatti, peraltro molto parziale,
omettendo di confutare i molteplici punti della decisione di primo grado
posti a sostegno della estraneità ai fatti del ricorrente; ed invero, pur
condividendosi la qualificazione giuridica del fatto omicidiario come
colposo, ma contestandosi l’attribuzione del fatto all’imputato, va
censurato il fatto che il giudice d’appello, bypassando completamente gli
esiti negativi degli accertamenti dattiloscopici e l’esame del movente

presenza in casa della Rizzo quel giorno, violando l’obbligo posto a suo
carico, secondo cui quando il giudice d’appello riforma la sentenza di
primo grado, specie in peius, deve confrontarsi con essa in modo
specifico e completo; la sentenza d’appello che si limiti a dare una lettura
alternativa del medesimo compendio probatorio, senza essere sorretta da
argomenti dirimenti, come è avvenuto nel caso di specie, viola la regola
di giudizio di cui all’art. 533 c.p., presupponendo la condanna la certezza
della colpevolezza, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio; la
motivazione della sentenza impugnata è generica ed insufficiente, non
smontando punto per punto quella di primo grado e non essendo
sufficiente una differente valutazione, bensì occorrendo dati fattuali tali da
condurre univocamente al convincimento opposto; in particolare la Corte
territoriale:
– quanto all’auto avvistata dal Califano e dal Pepe, giunge a ritenere
l’identità della stessa con quella di proprietà del ricorrente, non
considerando l’esito dell’esperimento giudiziale e la descrizione dei testi
medesimi, circa la diversità del colore e del parafango tra le due auto;
-quanto alla tesi del rapporto sessuale estremo finito in tragedia, non
considera la successiva condotta dell’assassino che ha conficcato nella
gola e nella vagina della Rizzo due paia di forbici, mettendo a soqquadro
la casa e prelevando denaro;
– non affronta minimamente l’aspetto dell’assenza di tracce biologiche e
dattiloscopiche sul luogo del delitto ed in particolare sul corpo della
vittima, sulla corda utilizzata per strangolarla e sulle forbici, limitandosi a
liquidare il problema con l’opera di ripulitura successivamente posta in
essere; inoltre, non considera che sotto le unghie della vittima sono state
rinvenute tracce di DNA maschile, non compatibili con quelle dell’imputato
e che lo spezzone di corda sequestrato all’imputato non è uguale a quello
utilizzato per strangolare la vittima;

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dell’omicidio, ha attribuito all’imputato il fatto sulla mera base della sua

-non considera che i dvd sequestrati all’imputato, secondo quanto
riferito dal teste Francese, non appartenevano alla nonna, che i micro
bocchini rinvenuti nelle tasche dell’imputato appartengono allo stesso, che
l’orario in cui l’imputato ha dichiarato di essere stato a casa della Rizzo
coincide con le dichiarazioni testimoniali del Nunziante, che il perito ha
dichiarato che l’omicidio è stato premeditato e che durante l’omicidio la
porta era aperta, circostanza questa che esclude che l’omicidio sia
avvenuto durante una prestazione della Rizzo;

penale, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., in relazione
all’art. 589 c.p. e di contraddittorietà e illogicità della motivazione in
ordine al medesimo aspetto, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e)
c.p.p., nonché il travisamento del fatto, avendo la Corte di Assise
affermato la penale responsabilità del ricorrente, in contrasto con le
risultanze dibattimentali; in particolare, i giudici d’appello hanno
completamente omesso di valutare una serie di elementi probatori,
militanti nel senso dell’innocenza dell’imputato e segnatamente che:
– le corde sequestrate al Della Monica sono risultate differenti da quelle
utilizzate per commettere l’omicidio;
– nessuna traccia biologica ricollegabile al Della Monica è stata rinvenuta
sul luogo del delitto;
– le uniche tracce dattiloscopiche individuate sono attribuibili a soggetti
diversi dal Della Monica;
– sul letto della donna è stato rinvenuto un profilattico con profilo
maschile diverso da quello del Della Monica, che sembra simile a quello
rinvenuto sugli altri prtfilattici nel cestino;
-sotto le unghie della Rizzo è stato trovato materiale biologico con
profilo genetico diverso da quello del Della Monica;
– le tracce di sangue sulla porta dimostrano che la porta non era chiusa
e che l’omicida è sopraggiunto, posto che le prestazioni venivano
effettuate con la porta chiusa;
– il Della Monica ha sempre fumato, utilizzando dei piccoli filtri, uguali a
quelli della vittima;
– il DVD sequestrato al Della Monica non è affatto quello regalato dal
Francese alla nonna;
-il nipote della Rizzo, Califano Italo, e l’amico Pepe sono giunti avanti
all’abitazione della donna di sera, in un contesto ambientale
caratterizzato da una leggera pioggia, e dopo aver fumato spinelli, non
indicando con certezza il colore la posizione e l’ora dell’auto,
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3.2. con il secondo gruppo di motivi, i vizi di violazione della legge

esprimendosi con certezza solo in merito all’assenza di stemmi nella
parte anteriore dell’autovettura parcheggiata la sera del 13.2.2010
innanzi alla casa della Rizzo;
-la teste Di Vincenzo Redenta ha affermato che la Rizzo riceveva clienti
alle 20.00-20.30 di sera ed ha specificato che la stessa era solita
esercitare pratiche sadomaso proprio nelle ore serali, sicchè è ben
probabile, dunque, che la vittima la sera dell’omicidio avesse altri clienti
dopo l’imputato; inoltre, la teste ha riferito di aver notato clienti in casa

-i parenti della vittima hanno affermato che la Rizzo aveva subito in
passato e anche in tempi vicini all’omicidio, diverse rapine, sicchè non può
escludersi, che l’omicidio sia stato perpetrato proprio a seguito di una
rapina, anche alla luce del fatto che in casa della vittima non sono stati
rinvenuti soldi;
– le modalità dell’aggressione con un doppio giro di corda, l’uso di
forbici, la mancanza di impronte biologiche e dattiloscopiche, la macchia
di sangue sulla parte interna della porta mal si sposano con l’idea che
l’aggressore possa essere stato un cliente durante una prestazione e
sembra piuttosto che lo stesso sia sopraggiunto;
-il profilattico trovato sul letto dimostra come l’ultimo cliente sia stato
proprio quello che lo indossava (o nei cui confronti veniva usato);
-nessun elemento dimostra che la vittima stesse facendo col suo
aggressore un gioco erotico con le corde, né vi sono elementi per
sostenere che esiste un gioco erotico che si fa mettendo le corde al collo
ed il solo fatto di aver consumato un atto sessuale con la vittima nel
pomeriggio non può costituire dato sufficiente a legittimare una sentenza
di condanna;
-dall’istruttoria dibattimentale, infatti, è emerso che nella strada in cui è
situata l’abitazione della vittima vi sono altre abitazioni e che di solito il
parcheggio situato nei pressi della casa era occupato da autovetture, non
esclusivamente dei clienti della Rizzo e Della Di Vincenzo;
– il ragionamento secondo cui la Fiat Punto è proprio quella dell’omicida,
cliente della vittima è frutto di una deduzione errata e mai dimostrata;
-sia il Pepe che il Califano hanno parlato di una Fiat Punto di colore blu
scuro, laddove la macchina di cui è proprietario il Della Monica è di
colore grigio scuro ed ha almeno tre stemmi sul cofano posteriore (uno
circolare e due rettangolari), proprio nella parte dell’autovettura di cui i
testi avuto piena cognizione; nessuno dei due – nonostante si fosse
accorto della differenza di colore tra il paraurti e la carrozzeria

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della vittima proprio a bordo di una Fiat Punto;

dell’autoveicolo – ha dichiarato che l’automobile notata la sera del delitto
avesse stemmi;
-il Pepe è stato, fin dal primo momento, estremamente preciso
ricordando che l’autoveicolo aveva il paraurti di colore diverso rispetto
alla carrozzeria della macchina e descrivendo la dimensione e la forma
dei fanali posteriori, senza mai contraddirsi, né ha avuto esitazione, sul
colore dell’autovettura, escludendo categoricamente che il veicolo notato
la sera dell’omicidio avesse adesivi o stemmi di riconoscimento; lo stesso

enunciata ma non esplorata), non ha notato adesivi sul cofano della
macchina;
-i dvd sequestrati all’imputato non appartengono alla vittima, atteso
che su di essi, non vi sono impronte della vittima, né sulla custodia, né
sul disco stesso e se fossero stati effettivamente suoi di certo li avrebbe
maneggiati nel tempo, tanto da lasciarne le sue tracce;
-se l’omicidio fosse avvenuto in seguito ad una pratica sessuale finita in
tragedia, verosimilmente il responsabile non si sarebbe portato presso
l’abitazione della vittima munito di forbici e corda – i familiari della Rizzo
hanno escluso che la stessa avesse in casa corde e forbici – e di guanti
per non lasciare impronte e, soprattutto, resosi conto della tragedia, si
sarebbe preoccupato di allontanarsi in fretta dal luogo del delitto, senza
procedere a rovistare tutta la casa in cerca di soldi; inoltre, l’aggressione
non sarebbe avvenuta con la porta aperta ma, se effettuata durante la
prestazione, la porta doveva restare logicamente chiusa;
-l’autore dell’omicidio ha provveduto a rovistare in tutte le stanze ed in
tutti i mobili, fatta eccezione del bagno, senza lasciare tracce,
presumibilmente, alla ricerca di soldi (avendo i parenti della vittima
affermato che la Rizzo disponeva di una ingente somma di denaro in casa,
che si aggirava intorno agli 8.000,00 euro, che teneva nascosta in più
punti della casa) e tale circostanza fa pensare, in verità, più ad una rapina
finita male che ad un omicidio perpetrato a seguito di un rapporto
sessuale;
– non sono state rinvenute impronte sullo spezzone di corda utilizzato
per strangolare la vittima, né sulle forbici conficcate nelle cavità orale e
vaginale e tutti i tecnici escussi sul punto hanno imputato la circostanza
al fatto che l’assassino portasse (o potesse portare) dei guanti al
momento dell’omicidio, circostanza poco compatibile con un rapporto
sessuale “finito male”;

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vale per il Califano, il quale, nonostante fosse daltonico (circostanza

-la circostanza che la porta della camera da letto fosse aperta durante
l’aggressione sembra confermare l’ipotesi che l’aggressore è
sopraggiunto;
-i parenti della vittima hanno riferito che la Rizzo era stata vittima di
rapine, pista questa inesplorata, compatibile anche con le condizioni in
cui fu rinvenuta la casa;
3.3. con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606 lett. e) c.p.p. per
illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alle

come ritenute dalla Corte territoriale; in buona sostanza la Corte
territoriale ha condannato il ricorrente, ritenendolo il responsabile diretto
del decesso della Rizzo, in quanto l’autovettura vista dal nipote e
dell’amico del medesimo, intorno alle ore 19,50, è la sua e gli
spostamenti sono del tutto compatibili con la sua presenza in casa della
vittima a quell’ora, ma tale conclusione è illogica e contraddittoria, non
fondandosi su elementi concreti e certi, bensì su congetture, quali quella
del traffico intenso per giungere a casa della vittima, anche per quanto
già esposto;
3.4. con il quarto gruppo di motivi, i vizi di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 133 e 62 bis c.p. nella
quantificazione della pena e nella mancata concessione delle attenuanti
generiche, atteso che la pena è stata determinata quasi al massimo
edittale, senza alcun accenno alla personalità alla completa
incensuratezza e al comportamento processuale dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del P.G. merita accoglimento per quanto di ragione.
Ed invero- fatto salvo il nuovo esame, di cui si dirà più avanti, che la
Corte di Assise di Appello di Salerno dovrà compiere in merito agli
elementi implicanti la riconducibilità dell’omicidio per cui è processo al
Della Monica, in dipendenza dell’accoglimento del ricorso di quest’ultimo si rilevano vizi nel ragionamento dei giudici d’appello, anche in punto di
qualificazione giuridica dei fatti, circa l’incidenza del consenso
asseritamente prestato dalla vittima allo svolgimento di “pratiche erotiche
spinte”, che escluderebbe la configurazione, nella fattispecie in esame,
della diversa ipotesi dell’omicidio preterintenzionale, di cui all’art. 584
c.p., pure prospettata dalla pubblica accusa.
1.1. La Corte territoriale, dopo aver rilevato che la Rizzo nell’esercizio
dell’attività di prostituzione intratteneva rapporti sadomaso- come
comprovato dal rinvenimento nell’abitazione della stessa di attrezzi per
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tempistiche degli spostamenti del ricorrente il pomeriggio dell’omicidio per

siffatte

pratiche, di dvd pornografici aventi tale contenuto, di uno

specchio e di un apparecchio per la riproduzione di dvd- ha evidenziato
che le modalità di rinvenimento della vittima (denudata nella parte
inferiore, avente al collo la corda che ne aveva provocato il
soffocamento), nonché le emergenze dell’esame autoptico- secondo le
quali la causa del decesso è stata determinata da un’asfissia mediante
strangolamento con una corda girata per due volte intorno al collo, con
l’assassino posizionato alle spalle della vittima, che, a sua volta, stava a

Monica stavano sperimentando davanti allo specchio una particolare
pratica erotica simile al cd. “bondage” (gioco erotico con il quale si
ricerca, attraverso un movimento indotto dal peso del corpo appeso con
una corda legata al collo uno stato di serniasfissía in grado di procurare
una intensa ed abnorme eccitazione simile all’ orgasmo) e che avendo un
ruolo determinante in tale pratica il peso del corpo del partner, stando la
donna prona in avanti, l’imperizia o la disattenzione di quest’ultimo
nell’uso della corda hanno provocato il soffocamento della donna.
1.2. Orbene, partendo da tale ricostruzione dei fatti (sebbene, tale
ricostruzione non dia compiutamente ed esaurientemente conto di tutti gli
elementi rilevabili nella vicenda in esame, come si vedrà innanzi), non si
presenta condivisibile l’assioma secondo il quale il consenso prestato dalla
Rizzo, anziana prostituta esperta in pratiche sadomaso, esclude in sé la
configurabilità dell’omicidio preterintenzionale, con inquadramento,
invece, della fattispecie in esame in un omicidio colposo.
In tale semplificativa valutazione manca il ragionamento riguardante la
portata dell’asserito consenso, calato nelle peculiarità della vicenda in
esame, in relazione al disposto di cui all’art. 50 c.p., secondo cui il
consenso dell’avente diritto, quale causa di giustificazione, è efficace se
riguarda i diritti di cui la persona consenziente può disporre ed al disposto
di cui all’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo
quando l’atto dispositivo cagioni una diminuzione permanente
dell’integrità fisica, o quando sia altrimenti contrario alla legge, all’ordine
pubblico, o al buon costume.
La Corte territoriale, infatti, non dimostra di aver considerato che il
consenso della vittima per rapporti sessuali particolari non esclude
l’eventuale sussistenza del reato di lesioni, ove la condotta sia di fatto
realizzata con modalità che superino una ragionevole sfera di previsione
iniziale, in quanto incidente su beni personali tutelati dall’ordinamento in
sè e, come tali, non disponibili a discrezione del titolare, sicchè non può

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“quattro zampe” sul letto- portano a ritenere che la Rizzo ed il Della

invocare la buona fede chi si abbandoni ad atti oggettivamente gravi e
pericolosi in un rapporto sessuale particolare, pur accettato all’inizio dalle
parti (arg. ex sez. 3, n. 5640 del 11/03/1994).
1.3. La causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto prevista
dall’art. 50 c.p. può avere, infatti efficacia scriminante anche rispetto alle
lesioni se viene prestato volontariamente nella piena consapevolezza delle
conseguenze lesive all’integrità personale, sempre che queste non si
risolvano in una menomazione permanente che, incidendo negativamente

prestato (Sez. V, 22 gennaio 1988 Zanardi).
Proprio con riferimento alle pratiche erotiche sadomasochistiche, questa
Corte ha affermato il principio che, anche a voler ritenere che in tali
ipotesi non sia operante il limite del buon costume sancito dall’art. 5 c.c.
in materia di atti di disposizione del proprio corpo, ma valga soltanto il
divieto delle diminuzioni permanenti dell’integrità fisica, non basta ad
escludere l’antigiuridicità del fatto il consenso dell’avente diritto, espresso
nel momento iniziale della condotta, essendo, invece, necessario che il
consenso stesso sia presente per l’intero sviluppo di questa (Sez. I,
16/06/1998, n. 93261).
1.4. Nel caso in esame la Corte territoriale non ha valutato se
l’iniziale consenso della Rizzo alla prestazione sadomaso sia stato
mantenuto anche nel corso del successivo sviluppo della condotta ed
ancor più se le modalità davvero “estreme” della prestazione, ove
materializzatesi ab initio con l’utilizzo della corda girata per ben due volte
intorno al collo, con ragionevole prevedibile produzione, quindi, di lesioni
gravi (lo stato di asfissia della vittima provocato dal doppio avvolgimento
è senza dubbio difficilmente controllabile), rendessero efficacemente
operante la scriminante del consenso eventualmente prestato dalla
donna.
1.5. Partendo da tale contesto valutativo deve essere effettuata la
verifica della qualificazione giuridica dell’omicidio in esame.
Nell’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale la volontà dell’agente è
diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni
previsione dell’evento morte, che si determina per fattori esterni e tale
accertamento è rimesso alla valutazione di elementi oggettivi desunti
dalle concrete modalità della condotta (tra le altre, Sez. 1, n. 35369 dei
04/07/2007, dep. 21/09/2007, Zfieng, Rv. 237685; Sez. 1, n. 30304 del
30/06/2009, dep. 21/07/2009, Montagnoli, Rv. 244743; Sez. 1, n. 40202
del 13/10/2010, dep. 15/11/2010, Gesuito, Rv. 248438; Sez. 5, n. 36135

11

sul valore sociale della persona umana, elide la rilevanza del consenso

del 26/05/2011, dep. 05/10/2011, S. e altri, Rv. 250935). L’integrazione
dell’omicidio preterintenzionale richiede, pertanto, l’accertamento di una
condotta dolosa (atti diretti a percuotere o a ledere) e di un evento
(morte) legato eziologicamente a tale condotta, identificandosi l’elemento
soggettivo del delitto in questione non in dolo misto a colpa, ma
nell’inosservanza del precetto di non porre in essere atti lesivi dell’altrui
incolumità, poichè è costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni e
la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di

normativo a “atti diretti a percuotere o a ledere” non esclude che tali atti
possono essere sorretti da un dolo eventuale poichè la direzione degli atti
va intesa come requisito strutturale oggettivo dell’azione, comprendente
anche quelli costituenti semplice tentativo (tra le altre, Sez. 5, n. 4237
del 11/12/2008, dep. dep. 29/01/2009, Rv. 242965; Sez. 5, n. 16285 del
16/03/2010, dep. 26/04/2010, Baldissin e altri, Rv. 247267; Sez. 5, N.
40389 del 17/05/2012, dep. 15/10/2012, P.C. in Proc. Perini e altri,
Rv.253357).
Nel caso di specie, sulla base di quanto ritenuto dalla stessa Corte
territoriale, l’azione di strozzamento è stata cosciente e volontaria, in
quanto funzionale alla pratica sadomaso, né può ritenersi incidente sulla
volontarietà il fine erotico della condotta, sicchè, solo all’esito
dell’accertamento in merito all’efficacia scriminante del consenso prestato
dalla vittima, sarà possibile escludere la ricorrenza dell’ipotesi delittuosa
di cui all’art. 584 c.p..
1.6. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio ad
altra Sezione della Corte d’assise d’appello di Salerno per nuovo esame in
punto di qualificazione giuridica del fatto per cui è processo, in relazione a
tutto quanto evidenziato.
2. Fondato è altresì il primo motivo di ricorso dell’imputato che assorbe
la valutazione degli ulteriori motivi proposti.
2.1. Il ricorrente in sostanza adduce il vizio di motivazione, con riguardo
allo specifico obbligo di motivazione cd. “rafforzata” per l’ipotesi, quale
quella di specie, in cui il giudice d’appello pervenga ad una pronuncia di
condanna, in riforma di quella assolutoria di primo grado.
Giova innanzitutto richiamare in proposito in principi costantemente
espressi da questa Corte, secondo cui, in tema di motivazione della
sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo
grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo,
ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti
12

evento più grave nell’intenzione di risultato, mentre il riferimento

argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle

f

ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la
riforma del provvedimento impugnato (Sez un., 33748 del 12.7.2005,
Mannino). In particolare nel caso di riforma da parte del giudice di
appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo
giudice ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano
logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo
grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e

primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore
considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente
valutati (Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008).
2.2.Se già in passato era stata più volte espressa la necessità nella
sentenza d’appello modificativa in peius, di confrontarsi con le deduzioni
del primo giudice per giustificare una pronuncia riformatrice di condanna,
al fine di offrire una sentenza che risponda al criterio della completezza ai
sensi cui all’art. 125 cod. proc. pen., a seguito della modifica normativa di
cui all’art. 533 c.p.p., comma primo, contenuta nella L. 20 febbraio 2006,
n. 46, a maggior ragione si ravvisa un vizio di legittimità della pronuncia,
ove in essa non si dia conto del superamento del ragionevole dubbio, con
dimostrazione dell’insostenibilità, cui si perviene solo attraverso
un’argomentazione che sopravanzi quella espressa dal primo giudice
spiegandone l’assoluta inconciliabilità logica con i dati acquisiti, (Sez. VI,
22/10/2013, n. 45203; Sez. 6, Sentenza n. 49755 del 21/11/2012, dep.
20/12/2012, imp. G. Rv. 253909 e Sez. 6, Sentenza n. 8705 del
24/01/2013, dep. 21/02/2013, imp. Farre, Rv. 254113).
Invero, per la riforma caducatrice di un’assoluzione non è sufficiente
“una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore
plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo,
invece, una forza persuasiva superiore, tale da far cadere “ogni
ragionevole dubbio”… intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La
condanna… presuppone la certezza della colpevolezza, mentre
l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non
certezza della colpevolezza” (Sez. 6, n. 40159 del 3 novembre 2011, dep.
il 7 novembre 2011, Galante, Rv. 2510669; Sez. II, 13/12/2012, n.
12792; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013). Neppure è sufficiente
all’evidenza l’inserimento nella struttura argomentativa della decisione
impugnata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece,
necessario che il giudice come detto riesamini, il materiale probatorio
13

convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del

vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito
alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo
alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta
struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni
(Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013); occorre in sostanza scardinare
l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha
avuto diretto contatto con le fonti di prova (Sez. 5
n. 21008 del 06/05/2014).

pronuncia di condanna nei confronti di Della Monica Mario, nell’operare il
ribaltamento della decisione, sia pur con riferimento all’ipotesi meno
grave dell’omicidio colposo, rispetto a quella di omicidio volontario
originariamente configurata, non ha compiuto la penetrante analisi di cui
ai principi esposti.
2.4. Deve, invero, precisarsi che la sentenza di primo grado, molto
articolata, che ha dato conto analiticamente di tutte le emergenze
acquisite – dopo aver premesso che nel caso in esame si è in presenza di
un processo indiziario, che, neppure all’esito dell’esercizio dei poteri
officiosi ex art. 507 c.p.p. ha consentito acquisizioni maggiori o diverse
rispetto alla fase delle indagini preliminari, tali da consentire la
ricostruzione di alcuni capisaldi, che, ove esistenti avrebbero consentito di
dare una svolta al processo, permettendo l’affermazione di colpevolezza,
ovvero di piena assoluzione dell’imputato, con tranquillizzante certezzaha ritenuto di mandare assolto il Della Monica ai sensi dell’art. 530 cpv.
c.p.p. per non avere commesso il fatto, non presentando gli elementi
analizzati i requisiti richiesti dall’ art. 192 c.p.p. per assurgere a valenza
probatoria dell’esito del procedimento accertativo della loro sussistenza.
2.5. La Corte d’Assise di Salerno, con motivazione ampia ed accurata,
pur non dubitando che il Della Monica costituisca il maggior indiziato
perché molte circostanze, che non possono attribuirsi a mere coincidenze
depongono contro di lui, ha escluso, tuttavia, che tali indizi raggiungano
il carattere di prova certa, sulla base di argomentazioni, alcune delle quali
vale la pena riportare in estrema sintesi, proprio al fine di rendere
immediatamente rilevabile come la Corte d’Assise d’Appello non si sia
attenuta all’onere motivazionale sulla stessa incombente, in dipendenza
della riforma in peius del giudizio nei confronti dell’imputato e
segnatamente:
-l’imputato fin dalle prime battute dell’indagine ha ammesso di essere
stato quella sera nell’abitazione della Rizzo per un incontro carnale con la
14

2.3.Tanto premesso, si osserva che la Corte territoriale, con l’impugnata

stessa e che se non vi fosse stata l’ammissione del Della Monica in un
momento anteriore alla sua incriminazione, il solo contatto telefonico con
la vittima alle ore 16,39 non ne avrebbe attestato la presenza, non
implicandola necessariamente, quantunque l’appuntamento telefonico
con una donna che esercita professionalmente la prostituzione di norma
prelude ad una richiesta di prestazione sessuale;
-l’assunto dell’imputato di essere giunto nell’abitazione della Rizzo
intorno alle ore 18,30 circa, di essersi intrattenuto una mezz’ora con la

risulta seriamente ed incontestabilmente contraddetto dall’accertamento
medico legale circa l’ora probabile della morte della donna, che, il
consulente del P.M. e la perizia medico legale affidata al dr. Consalvo,
pur con il rilievo del contenuto gastrico non ancora digerito hanno
ricondotto ad un arco temporale piuttosto ampio dalle 19,30 alle 20,30,
laddove sarebbe stato importante stabilire con la massima precisione
possibile l’ora del decesso, così come sarebbe stato di dirimente
importanza stabilire l’orario in cui il Della Monica arrivò presso la casa
della Rizzo e se egli fu l’ultimo cliente della donna, ovvero se dopo di lui
non vi fosse stata eventualmente un’altra persona; sicchè non può
escludersi che, uscito il Della Monica dalla casa della Rizzo, potrebbe
avere avuto accesso all’abitazione qualcun altro rispetto al quale i dati
tanatocronologici della morte della Rizzo potrebbero rivelarsi non
incompatibili con la presenza attiva di costui quale autore dell’omicidio.
– la presenza sui luoghi di un’auto identica a quella posseduta
dall’imputato (Fiat Uno 3 porte), che avrebbe dovuto costituire il riscontro
certo alla presenza dell’imputato nell’orario in cui veniva commesso il
delitto ed in cui veniva notata dai testi Pepe e Califano, in realtà può
considerarsi indizio, ma è monco, posto che i testi la indicano di colore
blu e dall’esito, anche, dell’esperimento giudiziale condotto nelle stesse
condizioni atmosferiche e di luce, la Fiat Uno del Della Monica – che è di
colore grigio metallizzato scuro- tale è apparsa anche alla maggioranza
del Collegio giudicante, sicché la possibilità che possa confondersi il colore
indicato dai testi come blu, con il grigio appare di certo remota e,
comunque, non consentirebbe di attribuire il carattere di certezza e di
precisione all’indizio; del resto, l’analisi ha riguardato uno dei veicoli tra i
più comunemente usati in Italia ovvero una Fiat Punto di colore
altrettanto comune – grigio temperato – cioè una tonalità specifica
compresa tra il grigio argento ed il grigio canna di fucile; a ciò si aggiunga
che a contrastare l’ipotesi dell’omicida che si reca con la propria auto e la
15

vittima e di avere lasciato quell’abitazione- verso le ore 19,00 circa, non

z

parcheggia sotto la casa della vittima predestinata con il rischio di essere
notato (come poi avvenne, ove si accedesse all’ipotesi accusatoria, anche
se non fu oggetto di accurata osservazione per i motivi sopra spiegati)
appare difficilmente credibile, posto che al contrario le modalità del delitto
denotano, specie per il ferimento a mezzo di due paia di forbici che
l’assassino dovrebbe avere portato con sè, non essendo state riconosciute
come appartenenti al corredo dell’abitazione della Rizzo, una lucidità di
esecuzione scarsamente compatibile con quella di un omicidio

scherno della prostituta sulle capacità sessuali cliente;
– nessuna traccia biologica e dattiloscopica riconducibile al Della Monica
è stata rinvenuta sui luoghi o sulla Rizzo (ed in particolare sui numerosi
profilattici nell’abitazione, sul corpo e sugli indumenti della Rizzo, sulla
corda utilizzata per lo strangolamento o sulle forbici), fatto questo che,
ove letto come un occultamento delle tracce del delitto, a parte la
considerazione di una messa in scena pensata ed eseguita da una lucida
mente criminale e di un movente probabilmente diverso da quello
ipotizzato dall’accusa, essa difficilmente si concilierebbe con la personalità
dell’imputato, uomo di modesta cultura ed all’apparenza non
particolarmente scaltro per improvvisare una costruzione tanto artificiosa
ed elaborata, quando ove si trattasse di omicidio di impeto, la
preoccupazione dell’assassino incappato suo malgrado in quella situazione
sarebbe stata quella di fuggire il più presto possibile, anche per evitare
che l’auto con la quale era giunto fosse notata da qualcuno;
– per i dvd a contenuto pornografico sequestrati all’imputato nel corso
dell’istruttoria

dibattimentale

non sono stati

acquisiti

elementi

dimostranti, al di là di ogni ragionevole dubbio, che appartenessero alla
vittima e che il Della Monica se ne fosse impossessato;
– la perizia psichiatrica eseguita sull’imputato ha escluso disturbi del
comportamento sessuale, o devianze, disfunzioni franche, pur
considerando la frequentazione da parte dell’imputato di prostitute
dall’età di 14 anni; neppure il test psicodiagnostico eseguito ha fornito
risultati compatibili con disturbi della personalità, mentre ha fornito solide
indicazioni sull’assenza di psicopatologie nel Della Monica.
– il “movente” neanche è idoneo ad illuminare la vicenda, posto che
ciascuna delle ipotesi ricostruttive adombrate non presenta elementi
idonei ad esprimere un verdetto di certezza in quanto:
dell’omicidio a

nel caso

sfondo sessuale d’impeto, che ha una maggiore

plausibilità e quello preordinato (con finalità diverse: rapina; ritorsione
16

estemporaneo innescato, come si è ipotizzato, da un atteggiamento di

per mancata richiesta di protezione) che ha minore probabilità di essere
sostenuto, si pone però lo sconvolgimento dei locali e dei mobili della casa
alla ricerca di beni o di denaro; in entrambi i casi la messa a soqquadro
di tutta la casa assume una valenza ambigua ovvero, anche, sussidiaria
ed utilitaristica (simulazione per coprire un delitto a sfondo sessuale,
ovvero rapina sfociata in omicidio per la reazione della vittima nel corso di
un approccio sessuale usato come mezzo per avere accesso in casa);
infatti, l’ipotesi di omicidio d’impeto da parte di un cliente deluso od

delitto- compatibile con la mancanza di impronte o tracce, né appare
plausibile che il cliente verosimilmente sconvolto per quanto gli è capitato
abbia poi la lucidità e la freddezza, anziché di lasciare il più presto
possibile il luogo del delitto, di rovistare l’intera abitazione alla ricerca di
valori ovvero di inscenare, con notevole perdita di tempo, l’esecuzione di
un delitto contro il patrimonio; diversamente nel caso di omicidio
preordinato che renderebbe non peregrino ipotizzare che l’autore
dell’omicidio munito di cordicella e forbici abbia usato dei guanti, ovvero
altri sistemi, per cancellare impronte od altre tracce del delitto ed allora il
delitto potrebbe avere avuto una preparazione e, quindi, supporre che
l’autore dell’omicidio entrò in casa con la richiesta di un rapporto
sessuale, perché intendeva rapinare la donna od ipotizzare un movente
ancora diverso legato al traffico della prostituzione;
-in definitiva, le uniche emergenze certe significative e rilevanti sono il
profilattico sul letto della vittima e le tracce di d.n.a. sotto le unghie della
Rizzo, non riferibili al Della Monica, ma a soggetto maschile ignoto, sicché,
al di là della presenza dell’imputato sul luogo del delitto, alcun altro
elemento di carattere obiettivo rinvenuto sul cadavere o nell’abitazione
della Rizzo è in condizione di collegare il Della Monica alla vicenda
omicidiaria.
2.6. A fronte di tali complesse ed articolate considerazioni la Corte
d’assise d’appello di Salerno, come già evidenziato, nel ritenere che
l’omicidio della Rizzo si colloca nell’ambito di una prestazione sadomaso
“finita male”, semplicisticamente riconduce il fatto omicidiario al Della
Monica, sulla base di una ricostruzione degli orari di arrivo alla casa della
vittima e di partenza da essa, ma soprattutto dando pressochè per
scontata la presenza dell’auto dell’imputato sui luoghi proprio nell’arco
temporale in cui avveniva l’omicidio, omettendo, tuttavia, di confrontarsi
compiutamente con tutte le emergenze in atti, rispetto a quanto, invece,
ha fatto con completezza dal primo giudice. Ad esempio, per quanto
17

irritato non appare di regola- per l’impulsività e l’estemporaneità del

concerne il riconoscimento dell’auto dell’imputato la Corte territoriale
omette di confrontarsi specificamente con le dichiarazioni dei testi Pepe e
Califano, considerate dal giudice di primo grado (cfr. gli ampi stralci di
esse inseriti nella prima sentenza), ovvero con le risultanze dell’effettuato
esperimento giudiziale.
Ed ancora, per quanto concerne la valutazione circa l’assenza di tracce
dell’imputato sul luogo dell’omicidio e sulla persona della Rizzo, ascritta
nella sentenza impugnata alla postuma attività “manipolatoria” della

“pulitura” delle impronte, l’inserimento delle due forbici nella vagina e
nella gola della Rizzo, il mettere a soqquadro la stanza- essa non si
confronta con le compiute e logiche valutazioni effettuate dal primo
giudice, secondo cui un’attività “depistatoria” sì lucida, che non ha
tralasciato neppure il più piccolo elemento, si presenta davvero poco
compatibile con l’istinto naturale di un soggetto (che secondo la
ricostruzione dei giudici d’appello è) accidentalmente “incappato” in un
evento sì grave, di abbandonare al più presto i luoghi ed è al di sopra
delle capacità del Della Monica.
Per quanto concerne, poi, le forbici, la Corte territoriale non dà alcuna
spiegazione sull’impiego di esse in quel frangente, posto che esse non
pare fossero già presenti nell’abitazione della Rizzo e, dunque, sarebbero
state portate sul posto dall’imputato unitamente alla corda.
Neppure risulta affrontata dalla Corte territoriale la tematica, vagliata
dal primo giudice, circa le tracce di sangue sulla porta, che, per la loro
ubicazione, implicherebbero che la stessa fosse aperta al momento dei
fatti.
In definitiva, già sulla base di tali pochi elementi, indicati in maniera
solo esemplificativa, emerge evidente che il giudice d’appello ha
contravvenuto all’obbligo su di lui incombente di confutare specificamente
gli argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando
conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, essendosi
limitato, in sostanza, ad imporre la propria valutazione del compendio
probatorio, peraltro analizzato in maniera incompleta, sol perché ritenuta
preferibile a quella coltivata nel primo provvedimento, con il conseguente
determinarsi del vizio motivazionale della sentenza impugnata.
2.7. In accoglimento, pertanto, anche del ricorso dell’imputato, la
sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte
d’assise d’appello di Salerno per nuovo esame.
3. Le spese saranno liquidate all’esito del giudizio di rinvio.
18

scena del delitto – posta in essere del Della Monica, mediante la

p.q.m.
in accoglimento di entrambi i ricorsi annulla la sentenza impugnata
con rinvio ad altra Sezione della Corte d’assise d’appello di Salerno per
nuovo esame.

Così deciso il 13.11.2014

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