Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19211 del 23/04/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19211 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata
avverso l’ordinanza del 09/05/2014 del Tribunale di Torre Annunziata nel procedimento
penale nei confronti di
RAIOLA Pasquale, nato a Pompei (NA) il 18/11/1961;
esaminati gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
lette le richieste del pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per tardività.

FATTO E DIRITTO
1. Nella fase degli atti preliminari all’apertura del dibattimento nel giudizio di primo
grado instaurato nei confronti di Pasquale Raiola, con decreto di citazione diretta del
pubblico ministero, per il reato di favoreggiamento personale, il Tribunale di Torre
Annunziata con ordinanza resa in udienza il 9.5.2014, implicitamente ritenendo la nullità
della vocatio in iudicium del giudicabile, ha disposto la restituzione degli atti all’ufficio del
p.m. Decisione adottata sul presupposto che, in ragione dei rispettivi titoli, per i “reati”
contestati al Raiola occorre procedere con richiesta di rinvio a giudizio del p.m. e connessa
delibazione della regiudicanda in sede di udienza preliminare ai sensi degli artt. 416 ss.
c.p.p., non essendo consentito esercitare l’azione penale per i predetti reati con citazione
diretta a giudizio a norma dell’art. 550 c.p.p.
2. L’ordinanza restitutoria è stata impugnata per cassazione il 22.7.2014 dal
Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata, che ha denunciato l’erroneità e

Data Udienza: 23/04/2015

l’illegittimità palesi della decisione, produttiva di impropria regressione del procedimento e,
per ciò stesso, affetta da caratteri di abnormità.
Osserva il ricorrente p.m. che, come si desume dal decreto di citazione diretta del
Raiola unito in copia al ricorso, l’imputato è stato chiamato a rispondere del solo reato di
favoreggiamento personale plurimo, per il quale (avuto riguardo alla pena edittale) è
prevista la translatio judicii soltanto con citazione diretta ex art. 550 c.p.p. Il giudice
dibattimentale ha travisato l’oggetto dell’imputazione ascritta al Raiola, valutandola
erroneamente estesa anche agli ulteriori reati (implicanti l’udienza preliminare), già inscritti
informazioni alla p.g. del Raiola integranti il contestato reato ex art. 378 c.p.). Reati
ulteriori elencati nel decreto di citazione diretta “al solo scopo di rendere maggiormente
chiara la contestazione del reato di favoreggiamento” mossa al Raiola.
L’ordinanza impugnata è, dunque, abnorme, avendo dato luogo ad una situazione di
indebito

“stallo procedimentale”,

non altrimenti sanabile se non mediante il suo

annullamento. In tale situazione, precisa il ricorso, il p.m. -da un lato- non può formulare
richiesta di rinvio a giudizio per il favoreggiamento ascritto al prevenuto, preclusa dal titolo
del reato, né -d’altro lato- può nuovamente emettere il decreto di citazione diretta a
giudizio, perché un tale atto “si porrebbe in contrasto con quanto statuito dal Tribunale”
con l’abnorme ordinanza impugnata.
3. Il ricorso del pubblico ministero non può trovare accoglimento per le ragioni
appresso chiarite.
3.1. Vero è che, come adduce nelle conclusioni scritte il P.G. in sede, il ricorso del
p.m. dovrebbe o potrebbe considerarsi tardivo, in quanto proposto oltre il termine di
quindici giorni dalla pronuncia in udienza dell’ordinanza impugnata. Termine di
impugnazione che, per stabile giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 11 del 9.7.1997,
Quarantelli, Rv. 208221; Sez. 6, n. 30920 del 30.6.2009, Cavaglíano, Rv. 244556; Sez. 1,
n. 4477/14 del 18.12.2013, Gerasimovki, Rv. 258978), deve ritenersi applicabile anche ai
provvedimenti giudiziari caratterizzati da abnormità ricorribili per cassazione, per i quali
non vi è motivo per escludere l’operatività degli ordinari termini impugnatori previsti dal
combinato disposto degli artt. 585 e 591 -co. 1, lett. c)- c.p.p.
Senonché tale regula iuris, se è sicuramente valida per tutti i provvedimenti
connotati da profili di abnormità sostanziale, non può più esserlo per quei provvedimenti
scanditi da una così radicale e genetica anomalia dell’atto che, ponendosi al di fuori del
sistema ordinamentale non solo sotto il profilo della struttura normativa dell’atto ma altresì
sotto il profilo funzionale e dinamico dello stesso atto (per gli effetti derivantine),
producono uno stallo del procedimento non altrimenti superabile se non con la proposizione
del ricorso per cassazione, quale unico strumento giuridico in grado di rimuovere la stasi
della fase processuale e ripristinare l’ordinata sequenza evolutiva del procedimento penale
cui acceda un atto abnorme di tale specie (cfr. Sez. U, n. 26 del 24.11.1999, Magnani, Rv.
215094). E’ di tutta evidenza, in vero, che in simili casi di abnormità funzionale o dinamica
(incidente, cioè, sul regolare sviluppo del procedimento) non vi sia spazio per l’osservanza

2

/f/

in separato procedimento a carico di altri imputati (i due imputati “favoriti” dalle false

dei termini decadenziali di impugnazione, dovendo ribadirsi per tali casi lo speculare
principio per cui la genetica e radicale anomalia/abnormità dell’atto giudiziale che provochi
una vera e propria paralisi processuale, impeditiva della normale pronuncia di merito sulla
regiudicanda, non può che essere denunciata in qualsiasi momento (cfr.: Sez. U, n. 34536
del 11.7.2001, Chirico, Rv. 219597; Sez. 3, n. 20377 del 24.2.2004, La Rocca, Rv. 229034;
Sez. 1, n. 3305 del 13.1.2005, Haddah, Rv. 230747).
Ora non vi è dubbio che la situazione processuale oggetto dell’odierno ricorso del
p.m. è in modo esplicito correlata ad una situazione di abnormità di natura specificamente

instaurato nei confronti del Raiola descritta e censurata dal ricorrente p.m.

(“situazione di

stallo procedimentale”). Di conseguenza nel caso in esame non può tenersi conto del
rispetto o meno dei termini per impugnare l’ordinanza emessa dal Tribunale il 9.5.2014.
3.2. La palese anomalia dell’ordinanza, pur astratta espressione di un potere
riconosciuto al giudice dibattimentale (art. 550 co. 3 c.p.p. in parallelo con il simmetrico
potere conferito al g.u.p. dall’art. 33-sexies c.p.p.), è dato desumibile -secondo il ricorrente
p.m.- dal decreto di citazione diretta a giudizio emesso nei confronti di Pasquale Raiola.
Con l’atto si contesta all’imputato il reato di favoreggiamento con la duplice espressa
specificazione, nell’articolazione dell’accusa, che la condotta favoreggiatrice si è manifestata
“dopo la commissione dei reati di cui ai capi successivi”e che per detti reati “si è proceduto
separatamente”. All’imputazione segue, quindi, nel decreto di citazione del p.m., l’integrale
traslitterazione -tra due segni grafici di parentesi (iniziale e finale)- dei tre reati (rapina,
sequestro di persona, lesioni volontarie) contestati ai due imputati, che con le sue mendaci
affermazioni il Raiola ha aiutato a eludere le relative investigazioni.
E’ chiaro, allora, il palmare errore in cui è incorso il giudice del dibattimento che,
pur in grado di individuare agevolmente l’unico reato (ex art. 378 c.p.) ascritto al Raiola e
per il quale questi era tratto a giudizio, ha creduto lo stesso Raiola imputato anche degli
altri tre reati indicati nel decreto del p.m. Il Tribunale ha, quindi, disposto impropriamente,
per insussistenza delle condizioni normative legittimanti in astratto l’adozione dell’ordinanza
impugnata, la restituzione degli atti al p.m. In tal modo avrebbe determinato la lamentata
paralisi processuale.
3.3. Nondimeno, diversamente da quanto suppone il ricorrente p.m., l’ordinanza
impugnata non ha prodotto gli effetti tipici della ipotizzata abnormità funzionale. Di guisa
che non si rende necessario annullare il provvedimento.
E’ ben vero che lo stesso, connotato da una macroscopica erronea applicazione
dell’art. 550 co. 3 c.p.p. che ha prodotto l’illegittima regressione del procedimento alla fase
anteriore all’esercizio dell’azione penale nei confronti del Raiola (pur già correttamente
esercitata dal p.m. con rituale decreto di citazione diretta in giudizio), non ha dato luogo ad
un vero e insuperabile “stallo procedimentale”, cioè ad una concreta paralisi del processo
che -come detto- caratterizza gli atti giudiziari affetti da abnormità funzionale o dinamica.
Nulla impedisce al procedente pubblico ministero, infatti, di emettere un nuovo
decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti dell’imputato, siccome imposto dalla
legge processuale (art. 550 c.p.p.) per il titolo del reato contestato al giudicabile. Atto

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funzionale, avuto riguardo alla condizione di irredimibile paralisi del procedimento

introduttivo del giudizio che il Tribunale non potrebbe eludere o disattendere, evocando la
precedente ordinanza del 9.5.2014 emessa in violazione dell’art. 550 co. 3 c.p.p.
Diversamente da quel che paventa il ricorrente p.m., in caso di rinnovata emissione del
decreto di citazione diretta non è prefigurabile nessuna situazione preclusiva o fonte di
virtuale conflitto (non denunciabile in modo autonomo dal p.m.) a fronte della pregressa
illegittima ordinanza del Tribunale (arg. ex Sez. 5, n. 10005/08 del 3.12.2007, Valentini,
Rv. 239172), atteso che la stessa si è limitata a supporre la necessità di previa
instaurazione dell’udienza preliminare unicamente all’esito di una superficiale errata

P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Roma, 23 aprile 2015
Il consigliere estengrore

Giacom Paoloni
1/,11

delibazione del decreto di citazione a carico dell’imputato.

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