Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19209 del 28/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19209 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EPIFANIO MAURIZIO N. IL 30/05/1967
avverso la sentenza n. 2823/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
05/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SAVANI
– 52.91.4/c1
Udito il Procuratore Generale in,,p9rsona del Dott.
che ha concluso per) ‘cLutmta_

g

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

1

Data Udienza: 28/03/2014

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza emessa in
data 21 aprile 2010 dal locale Tribunale appellata da EPIFANIO Maurizio, dichiarato responsabile del delitto di lesioni aggravate, commesso il 18 giugno 2005.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, integrato da memoria con motivi pressoché sovrapponibili, sulla base di nove motivi.
ton il primo deduce nullità della sentenza per violazione di legge avendo ritenuto la Corte di
merito corretta la decisione del Tribunale di procedere ulteriormente con nomina di un difensore
d’ufficio all’udienza del 21 aprile 2010 laddove dal verbale d’udienza risultava la presenza del
difensore di fiducia.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge per esser stata deliberata la sentenza da magistrato diverso da quello che aveva iniziato il processo, che subiva più modifiche della persona
del giudicante, laddove vi era sempre stata opposizione alla mancata rinnovazione del dibattimento, mentre la non opposizione risultante da un verbale di udienza era intervenuta ad opera di
un difensore di ufficio nominato ex art. 97 4 0 co., c.p.p. la cui dichiarazione non avrebbe potuto
superare una contraria posizione del titolare della difesa fiduciaria.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge per non essere stata disposta la rinnovazione parziale del dibattimento per l’audizione di due testi a difesa non escussi dal primo giudice.
Con il quarto motivo deduce nullità del procedimento d’appello per mancata citazione
dell’appellante.
Con il quinto deduce l’intervenuta prescrizione del reato già in epoca precedente alla pronuncia
del giudice d’appello, che non avrebbe rilevato l’estinzione del reato.
Con il sesto motivo deduce vizio di motivazione sulla responsabilità affermata e confermata sulla
base delle sole dichiarazioni della persona offesa non adeguatamente valutate.
Con il settimo motivo si chiede ai giudici d’appello di rideterminare la pena con le attenuanti generiche e con la sospensione condizionale.
Con l’ottavo motivo si denuncia in genere l’insufficienza della motivazione.
Con il nono motivo si lamenta la mancata applicazione dell’indulto da parte della Corte di Appello.
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Manifestamente infondato è il primo motivo laddove la mancata presenza del difensore di fiducia
nel momento della chiamata del processo viene attestata dal verbale di udienza, atto pubblico fidefaciente; peraltro, la doglianza del ricorrente è chiaramente dimostrativa della correttezza della
verbalizzazione, laddove afferma, da un lato, la presenza del difensore all’udienza, nel senso della presenza fisica nell’aula sicuramente in occasione di altro dibattimento, mentre il nucleo della
doglianza, in linea di fatto, sta nell’esser stato iniziato il dibattimento, senza attendere l’arrivo
del professionista, con ciò dandosi dimostrazione della correttezza della verbalizzazione circa
l’assenza in quel momento del predetto e la legittimità della nomina di un sostituto ex art. 94, 4°
co., c.p.p., assenza peraltro protrattasi, altrimenti il professionista ben avrebbe potuto subentrare
al sostituto, e ciò sarebbe apparso dal verbale.
Ugualmente inammissibile il secondo motivo per manifesta infondatezza.
Infatti il difensore nominato in sostituzione del difensore fiduciario assente ha, in relazione
all’esercizio delle proprie funzioni difensive, gli stessi obblighi e gli stessi poteri del difensore
fiduciario, senza che si possa configurare una gerarchia fra le posizioni dei difensori a seconda
della fonte della nomina; conseguentemente, del tutto valida era stata la dichiarazione di adesione da parte del difensore presente alla mancata rinnovazione del dibattimento in occasione della
modificazione della persona del giudicante.
Del tutto generica, e pertanto inammissibile, la doglianza concernente la pretesa mancata citazione del prevenuto nel giudizio di appello.
Inammissibili anche tutti i motivi che attengono all’affermazione di responsabilità, doglianze già
proposte al giudice d’appello alle quali il predetto ha fornito risposte corrette in diritto e sulla base di esatta valutazione delle emergenze processuali.

In particolare, quanto alla responsabilità, del tutto corretta è la valutazione, spettante al giudice
del merito, della sufficienza ed attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, corroborate
dalla certificazione medica delle lesioni e da deposizione testimoniale.
Corretta pure la valutazione di inutilità della proposta integrazione istruttoria alla quale il ricorso
non riesce ad opporre valide indicazioni sulla assoluta decisività del contributo testimoniale offerto ai giudici del merito e non acquisito.
Il settimo motivo, con il quale si chiede la diminuzione della pena con applicazione delle attenuanti generiche, nonché la sospensione condizionale della pena, è del tutto generico, sia per
formulazione, che non pare censurare un qualche passaggio della sentenza impugnata, sia per il
contenuto, atteso che non indica in base a quali elementi dovrebbe essere ritoccato il trattamento
sanzionatorio nel suo complesso, sia perché propone alla Corte in sede di legittimità un diretto
intervento sulla pena.
Resta da osservare, in ogni caso, che la Corte di merito ha correttamente rilevato l’adeguatezza
del trattamento sanzionatorio con riferimento alla gravità del fatto, alla negativa personalità del
prevenuto, caratterizzata da un precedente sintomatico della particolare aggressività del soggetto,
ricavando anche da tali valutazioni, sia l’impossibilità di applicare attenuanti generiche, sia di ridurre la pena, sia, infine, di formulare prognosi di futura astensione dalla violazione della legge
penale e di applicare, quindi, il richiesto beneficio della sospensione condizionale della pena.
E ciò del tutto legittimamente, avendo fatto riferimento a parametri previsti dall’art. 133 c.p., valutabili anche ex artt. 62 bis e 163 c.p.
Inammissibile anche la censura relativa alla mancata applicazione dell’indulto, attesa la carenza
di interesse dell’imputato, ben potendo essere applicato il beneficio in fase esecutiva, mentre è
ricorribile solo il provvedimento del giudice del merito che l’abbia espressamente negato.
In tema di prescrizione, occorre rilevare che il delitto si prescrive nel termine massimo di anni
sette e mesi sei, sia secondo le disposizioni dell’art. 157 c.p. nel testo vigente all’epoca della sua
consumazione (18 giugno 2005), sia in quello in vigore a seguito della novella di cui alla L.
251/05. Di conseguenza, la prescrizione avrebbe potuto operare in data 18 dicembre 2012, termine che tuttavia è stato prorogato al 16 aprile 2013 per l’incidenza di 119 giorni di sospensione
conseguenti a rinvii del dibattimento in 10 grado, dal 30 marzo al 29 giugno 2009, per astensione
dalle udienze del difensore, nonché dal 3 marzo al 31 marzo 2010, per impedimenti del medesimo.
La scadenza del termine di prescrizione in data successiva a quella (5 marzo 2013) della pronuncia della sentenza della Corte di Appello è del tutto irrilevante, a fronte di un ricorso inammissibile, come tale inidoneo a costituire un valido rapporto di impugnazione ed a consentire
l’operatività della causa di estinzione del reato, oltre la data della pronuncia della sentenza del
merito.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1.000,00#, nonché alla rifusione
delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in E. 2.000,00#, oltre accessori
pome per legge.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2014.

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