Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19208 del 28/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19208 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HE WANGCUI N. IL 03/07/1962
avverso la sentenza n. 91/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
18/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SAVANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 5″ .
che ha concluso per ir
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Data Udienza: 28/03/2014

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa in
data 28 aprile 2011 dal Tribunale di Gorizia, appellata da HE Wangcui dichiarata responsabile
dei delitti: 1) di false dichiarazioni destinate ad essere riprodotte in atto pubblico con riferimento
ad una dichiarazione di esportazione ai fini del rilascio di certificato Eur 1 di esportazione in cui
veniva attestato che la merce spedita a destinatario croato era di produzione italiana ed erano
soddisfatte le condizioni per ottenere il certificato, mentre si trattava di merce di provenienza cinese e non comunitaria; 2) di falso ideologico per induzione avendo tratto in errore i funzionari
della dogana di Monfalcone che apponevano in calce al certificato Eur 1 in questione il visto attestante la conformità al vero di quanto attestato circa l’origine comunitaria delle merci, non corrispondente alla realtà.
Propone ricorso per cassazione l’imputata sulla base di sette motivi.
Con i primi due deduce violazione di legge e vizio di motivazione sul ricorrere della responsabilità per il delitto ex art. 483 c.p. in relazione alla dichiarazione in questione essendosi, avvalsa di
spedizioniere che aveva direttamente tenuto i rapporti con la dogana ed aveva provveduto alle
richieste dichiarazioni; peraltro in tal caso lo spedizioniere aveva ricevuto un modulo dalla dogana previstato che era stato restituito compilato dall’incaricato per gli eventuali successivi controlli che la dogana ha effettuato come d’abitudine a campione.
il rapporto con lo spedizioniere era stato tenuto dal responsabile della sede locale di
Treviso della Pelletterie Jessica, che ha sede in Sesto Fiorentino, amministrata dalla prevenuta la
quale non aveva avuto alcun rapporto con lo spedizioniere.
Il modello compilato dallo spedizioniere, poi, non portava alcuna attestazione sulla provenienza
della merce, essendo stata la relativa finca lasciata in bianco, mentre corrette erano le indicazioni
di luogo di spedizione, Italia, e di destinazione, Croazia.
Il modello consegnato allo spedizioniere non sarebbe un atto pubblico, né la richiesta contenuta
nel modulo, di emissione dell’EUR 1 comportava in sé la falsa dichiarazione di provenienza delle merci.
Il giudice d’appello non avrebbe poi considerato che l’indicazione apposta sulle fatture attestava
che le merci erano state acquistate da produttori italiani della zona di Sesto Fiorentino.
Con il terzo e quarto motivo deduce violazione di legge sul ritenuto falso per induzione in errore
dei funzionari doganali atteso che il mod. EUR 1 era già stato consegnato previdimato allo spedizioniere e quindi non si vede quale attestazione potessero aver rilasciato i pubblici ufficiali sulla base della falsa dichiarazione, laddove poi l’unico controllo della dogana era successivo al rilascio del mod. EUR 1.
Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 533 c.p.p. per la mancata assoluzione non essendo stata provata la responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
Con il sesto motivo deduce la prescrizione dei reati che sarebbe intervenuta durante il termine
per l’impugnazione della sentenza di appello.
Con il settimo motivo lamenta infine l’eccessiva misura della pena senza applicazione di atte
nuanti generiche.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile.
In sede di impugnazione della sentenza di primo grado davanti alla Corte di Appello di Trieste,
l’imputata aveva lamentato unicamente la carenza dell’elemento soggettivo del reato nonché la
mancata applicazione delle attenuanti generiche, con ciò limitando a tali aspetti la cognizione del
giudice d’appello.
Sono pertanto inammissibili tutte le doglianze relative alla sussistenza dei delitti contestati alla
HE in quanto non sottoposte al giudizio di appello e quindi non oggetto della motivazione del
provvedimento impugnato.
Quanto al profilo della personale responsabilità della prevenuta quale titolare della “Pelletterie
Jessica”, correttamente il giudice d’appello ha rilevato come dall’istruttoria dibattimentale fosse
risultato che l’indicazione falsa sulla provenienza comunitaria dei prodotti in esportazione verso
l’acquirente croato era stata apposta su specifica richiesta del predetto acquirente al fine di pro-

curargli un regime fiscale di favore, correlato alla provenienza comunitaria delle merci.
Si tratta, come correttamente e logicamente ritenuto dalla Corte di merito, di una scelta che non
poteva certo essere rapportata ad iniziativa di soggetti diversi da quello posto al vertice della ditta, il cui interesse ad accondiscendere alle richieste dell’acquirente, al di là del fatto che il vantaggio fiscale ricadesse solo su quel soggetto, stava nella possibilità di concludere in tal modo un
vantaggioso contratto di esportazione del valore di più di 28.000 Euro.
L’avvenuta realizzazione da parte di ulteriori soggetti (responsabile locale e spedizioniere) di
quell’intento commerciale, come detto correttamente riferito dai giudici del merito alla titolare
della ditta, non è tale da escludere la riferibilità della decisione di base al titolare del rapporto
commerciale in tal modo gestito ed avente per oggetto merci la cui provenienza non comunitaria
era immediatamente rilevabile dall’esame esterno dei colli, portanti etichette che attestavano
l’origina cinese della merce.
Manifestamente infondata è quindi l’unica doglianza in tema di responsabilità sottoponibile al
giudizio di legittimità.
Manifestamente infondato e tendente a sottoporre a questa Corte valutazioni squisitamente di
merito, ad essa sottratte, è pure il motivo in tema di trattamento sanzionatorio.
Del tutto legittimamente difatti la Corte di appello ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche i precedenti penali dell’imputata (la cui pluralità viene attestata dalla Corte di
merito siccome ricavata da certificato penale acquisito agli atti, mentre la ricorrente genericamente sostiene trattarsi di unico precedente, senza però fornire elementi che smentiscano
l’affermazione della Corte territoriale), valutazione di negativa personalità pienamente legittima,
anche indipendentemente dal numero dei precedenti, trattandosi di parametro considerato
dall’art. 133 C.P., applicabile anche ai fini dell’art. 62-bis C.P.
All’inammissibilità del ricorso, inidoneo per tale motivo a costituire un valido rapporto di impugnazione, consegue l’irrilevanza della scadenza del termine prescrizionale in epoca successiva
alla pronuncia della sentenza del giudice d’appello, nonché, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella
misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2014.

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