Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 192 del 19/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 192 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CITARELLA GIOVANNI N. IL 29/04/1968
avverso l’ordinanza n. 379/2013 GIP TRIBUNALE di SALERNO, del
28/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 19/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Salerno, in
funzione di giudice dell’esecuzione, provvedendo sull’opposizione proposta da
Citarella Giovanni avverso il provvedimento con cui aveva rigettato l’istanza di
applicazione dell’indulto, confermava il rigetto dell’istanza.
Citarella aveva invocato l’applicazione del beneficio con riferimento
all’aumento per continuazione calcolato per alcuni dei reati satellite giudicati con

anteriormente al 2/5/2006; ciò, peraltro, era precluso dalla contestuale
condanna per il reato di associazione per delinquere, commesso fino al
12/6/2012, per il quale era stata applicata la pena di anni tre di reclusione (da
ridurre a due anni in forza del rito alternativo); la data di consumazione del reato
associativo era stata accertata e motivata nella sentenza impugnata e non
poteva, quindi, essere ritenuta differente.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Citarella Giovanni, deducendo
violazione dell’art. 34 cod. proc. pen. per avere provveduto il giudice che aveva
emesso il primo provvedimento nonostante la questione fosse stata sollevata dal
difensore; in via subordinata, il ricorrente solleva questione di legittimità
costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede tale
incompatibilità.
In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 672 cod. proc.
pen. e 1 legge 241 del 2006.
Il Giudice non aveva tenuto conto che Citarella aveva contestato la sua
appartenenza all’associazione per delinquere e che i fatti giudicati con la
sentenza di applicazione della pena non potevano dirsi accertati.
In un terzo motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione: la sentenza
di applicazione della pena non può determinare la revoca dell’indulto.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudice che ha adottato il
provvedimento de plano non è incompatibile a pronunciarsi sull’opposizione ai
sensi dell’art. 667, comma quarto, cod. proc. pen. avverso il medesimo
provvedimento; in effetti, l’opposizione ai provvedimenti del giudice
2

la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del 19/11/2012, consumati

dell’esecuzione prevista dagli artt. 667, comma 4, e 676, comma 1, cod. proc.
pen. non ha natura di mezzo di impugnazione, bensì di istanza diretta al
medesimo giudice allo scopo di ottenere una decisione in contraddittorio; si deve
ricordare, più in generale, che l’istituto dell’incompatibilità opera solo nell’ambito
del giudizio di cognizione, sicché non è ipotizzabile la ricusazione del giudice
dell’esecuzione, posto che la competenza di quest’ultimo deriva
inderogabilmente dalla sua identificazione con il giudice della fase cognitiva e
che, nell’ambito di detta competenza, non può sussistere alcuna divaricazione fra

Si deve ancora ribadire che la sentenza di applicazione di pena su richiesta
delle parti è titolo idoneo alla revoca di diritto dell’indulto in riguardo ad un
delitto non colposo commesso nei cinque anni dall’entrata in vigore della legge
che ha concesso il beneficio; né il giudice dell’esecuzione ha alcuna
discrezionalità sul punto, perché tale sentenza è equiparata ad una sentenza di
condanna e ciò è sufficiente per la revoca (così come per la revoca di diritto della
sospensione condizionale della pena, Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005 – dep.
23/05/2006, Diop, Rv. 233518).

La pretesa del ricorrente di contestare la data di consumazione del delitto di
associazione per delinquere, infine, è manifestamente infondata: la
giurisprudenza citata concerne la contestazione in forma “aperta” del reato
associativo, risultando in tale ipotesi necessaria una valutazione del giudice
dell’esecuzione per determinare la data di inizio o di cessazione della condotta
illecita; se, al contrario, la data di consumazione del reato è indicata con
precisione nell’imputazione, il giudice dell’esecuzione è vincolato al giudicato
formatosi anche su tale elemento.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle

3

l’intervenuto giudicato e l’oggetto della deliberazione da adottarsi in executivis.

Ammende.

Così deciso il 19 novembre 2015
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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