Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19198 del 05/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19198 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Fiorenza Salvatore, nato il 17 ottobre 1981
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catania del 19 maggio 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Enrico
Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 05/02/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — Con ordinanza del 19 maggio 2014, Il Tribunale di Catania ha confermato,
con la sola esclusione dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del
1990 per i reati di cui al capo B) dell’imputazione provvisoria, l’ordinanza del Gip del
Tribunale di Catania del 23 aprile 2014, con la quale — per quanto qui rileva —
l’indagato era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, in
relazione ai reati di cui agli artt. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo A) e 81, secondo

un sodalizio criminale composto da più di dieci persone, dedito al traffico di sostanze
stupefacenti del tipo eroina e cocaina, nonché avere posto in essere reati-fine di
detenzione e spaccio di stupefacenti, contestati in continuazione.
Osserva il Tribunale che il compendio indiziario è costituito dagli esiti delle
indagini espletate dalla polizia giudiziaria, con intercettazioni di conversazioni
telefoniche, videoriprese nei luoghi utilizzati degli indagati quali basi logistiche e
piazze di spaccio, arresti in flagranza di reato o differiti, sequestri di sostanze
stupefacenti.
2. — Avverso ordinanza l’indagato ha proposto, tramite difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. — Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt.
309, commi 5 10, cod. proc. pen., per l’omessa trasmissione dei supporti audio e
video su cui sono registrate le intercettazioni al Tribunale del riesame, con
conseguente perdita di efficacia della misura cautelare. La difesa deduce altresì
eccezione di illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 291, comma
1, e 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., «nella
parte in cui non si prevede che, in caso di trasmissione al Gip, ai sensi dell’art. 291
cod. proc. pen., di trascrizioni di intercettazioni operate dalla polizia giudiziaria,
devono essere trasmessi, poiché costituenti un unico atto processuale, i supporti
audio-video che a quelle conversazioni o situazioni si riferiscono». Secondo la
ricostruzione difensiva, l’operazione di traduzione delle conversazioni intercettate, che
si svolgevano in dialetto, da parte della polizia giudiziaria avrebbe prodotto degli
errori. Né potrebbe essere condivisa l’asserzione contenuta nel provvedimento
impugnato, secondo cui gli atti non trasmessi al Gip, quali appunto i supporti audiovideo in questione, non dovrebbe essere trasmessi al Tribunale del riesame, perché
non posti a fondamento dell’ordinanza restrittiva.

comma, 73, 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo B), per aver fatto parte di

2.2. – Si denuncia, in secondo luogo, la violazione dell’art. 267 cod. proc. pen.,
deducendo l’inutilizzabilità delle intercettazioni video, per mancanza del decreto
autorizzatorio. Secondo la difesa, l’attività di captazione effettuata non è da ascriversi
alla mera apprensione di immagini, perché ha comportato la registrazione dei dialoghi
intervenuti tra diversi individui e andava, perciò autorizzata secondo la procedura di
cui al richiamato art. 267.
2.3. – Un terzo motivo di censura è riferito ancora alla violazione dell’art. 267

intercettazioni, pur in presenza di specifici motivi prospettati in tal senso nella
richiesta di riesame.
2.4. – In quarto luogo, si prospettano l’erronea applicazione degli artt. 74 del
d.P.R. n. 309 del 1990 e 273 cod. proc. pen., nonché il vizio motivazionale circa la
sussistenza di gravi indizi del reato associativo. Non sarebbero stati presi in adeguata
considerazione, in particolare, i rilievi della difesa relativi alla “scarsa tenuta
temporale” del gruppo, all’assenza di elementi di certezza quanto all’organizzazione
dello stesso, alla scarsa significatività del dato ponderale della sostanza stupefacente,
alla mancanza di qualsivoglia legame tra la sostanza sequestrata e l’odierno
ricorrente.
2.5. – In quinto luogo, si prospettano l’erronea applicazione degli artt. 73 del
d.P.R. n. 309 del 1990 e 273 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione, quanto ai
reati-scopo di cui al capo B), sul rilievo che dalle videoriprese non risulterebbe alcun
coinvolgimento dell’indagato, né emergerebbero la natura della sostanza scambiata, la
sua quantità, l’identità dei soggetti coinvolti.
2.6. – Si contesta, in sesto luogo, l’erronea applicazione dell’art. 274, comma
1, lettera c), cod. proc. pen., in relazione al pericolo di reiterazione del reato, sul
rilievo che non si sarebbe considerato che i fatti in contestazione risalgono a due anni
prima dell’imposizione della misura cautelare. Inoltre la pervicacia criminale
dimostrata dall’indagato, cui il Tribunale si riferisce, sarebbe frutto di una mera
illazione, priva di riscontri nelle risultanze delle indagini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Il primo motivo di doglianza – riferito all’omessa trasmissione al
Tribunale del riesame dei supporti audio e video su cui sono state registrate le
intercettazioni – è infondato.

cod. proc. pen. e alla mancanza di motivazione circa i presupposti per le

3.1.1. – La difesa lamenta che, poiché le conversazioni intercettate si erano
svolte in dialetto, la trasmissione dei verbali redatti dal personale di polizia giudiziaria
non sarebbe sufficiente a tutelare realmente il diritto di difesa, perché la traduzione
effettuata potrebbe essere erronea.
Come più volte affermato da questa Corte, in tema di riesame, il pubblico
ministero non ha l’obbligo di trasmettere, ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc.
pen., i supporti informatici contenenti videoriprese utilizzate ai fini dell’applicazione

giudiziaria (ex multis, sez. 1, 20 giugno 2014, n. 33819); e, dunque, i risultati delle
intercettazioni sono utilizzabili nel procedimento cautelare anche quando il pubblico
ministero non abbia allegato i relativi supporti (sez. 1, 27 maggio 2013, n. 34651;
sez. 5, 17 luglio 2008, n. 37699).
Con specifico riferimento alla violazione del diritto di difesa, è sufficiente qui
osservare che il Tribunale ha correttamente evidenziato che era onere della parte, ove
interessata, richiedere presso la cancelleria del pubblico ministero di estrarre copia dei
supporti magnetici contenenti le registrazioni al fine di verificarne la rispondenza
rispetto a quanto riportato nella comunicazione di notizia di reato; cosa che nel caso di
specie non risulta avvenuta. Nessuna lesione del diritto di difesa si è, perciò,
verificata, anche in considerazione del fatto che la mancata corrispondenza tra i
supporti delle intercettazioni e i brogliacci di polizia giudiziaria risulta meramente
ipotizzata.
3.1.2. – A tali rilievi la difesa aggiunge la prospettazione di una questione di
legittimità costituzionale che investe il combinato disposto dell’art. 291, comma 1, e
dell’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.,
nella parte in cui le disposizioni censurate non prevedono la trasmissione al Gip e al
Tribunale anche dei supporti audio-video, purché costituenti un “unico atto
processuale” con le trascrizioni delle intercettazioni operate dalla polizia giudiziaria.
Si tratta di una questione manifestamente infondata, perché basata su un
erroneo presupposto interpretativo. Non è ragionevole, infatti, ritenere che i supporti
e i brogliacci costituiscano un unico atto processuale, perché con tale ricostruzione si
arriverebbe a gravare il giudice di merito – sempre e comunque, e indipendentemente
dalla prospettazione di concreti elementi a sostegno della contestazione della mancata
corrispondenza fra brogliacci e supporti – il compito della trascrizione; con la
conseguenza che egli non potrebbe più avvalersi delle trascrizioni effettuate dalla
polizia giudiziaria. E a ciò deve aggiungersi che, in ogni caso, l’art. 291, comma 1,

delle misure, quando gli esiti delle stesse siano riportati nell’annotazione di polizia

cod. proc. pen. impone al pubblico ministero che richiede l’applicazione di misure
cautelari, non la trasmissione di tutti gli atti, ma soltanto la trasmissione di quegli
elementi su cui la richiesta si fonda, nonché degli elementi a favore dell’imputato,
oltre alle eventuali difese già depositate (vedi, sul punto, gli ampi riferimenti contenuti
in sez. 3, 28 gennaio 2015, n. 7066).
3.2. — Il secondo motivo di doglianza — con cui si deduce l’inutilizzabilità delle
videoriprese, per mancanza di decreto autorizzativo — è formulato in modo non

legittimità secondo cui le videoriprese non sono sottoposte ad autorizzazione nella
misura in cui esse captino comportamenti non comunicativi (ex plurimis, sez. 4, 5
giugno 2014, n. 46786; sez. 2, 15 maggio 2013, n. 24211, sez. 4, 24 gennaio 2012,
n. 10697). Nel caso in esame, ad avviso del ricorrente, non vi sarebbe una mera
apprensione di immagini, bensì la predisposizione di un sistema di registrazione
ambientale di gesti e movimenti che risultano collocabili nell’ambito del più ampio
concetto di comunicazione. Lo stesso ricorrente non specifica, però, in cosa i risultati
della captazione abbiano concretamente oltrepassato il confine della mera apprensione
di immagini, ovvero quali sarebbero stati i movimenti e i gesti tali da rendere
“comunicativo” il contenuto della captazione. Si trattava, del resto, di registrazioni
eseguite dalla polizia giudiziaria in una piazza di spaccio, dalle quali emergono per lo
più gli scambi di sostanze stupefacenti e le identità delle parti di tali scambi.
3.3. — Il terzo motivo di doglianza è manifestamente infondato. Con esso si
denunciano la violazione dell’art. 267 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione,
in relazione alla mancanza dei gravi indizi di reato e all’assoluta indispensabilità delle
intercettazioni per la prosecuzione delle indagini. Nel ricorso risulta trascritta la parte
della richiesta di riesame che atteneva a questo profilo, allo scopo di contestare la
motivazione adottata dal Tribunale, secondo cui la doglianza era generica perché priva
di sufficienti riferimenti fattuali. Tale trascrizione non risulta, però, accompagnata da
puntuali osservazioni critiche, con la conseguenza che essa costituisce, in sostanza, la
mera riproposizione di quanto già dedotto in sede di riesame. Né il ricorrente
considera che il Tribunale non si è limitato a rilevare la genericità delle sue doglianze,
ma ha ampiamente analizzato il compendio indiziario che ha costituito il presupposto
dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, dal quale emergevano chiari indizi di
reato, oltre alla necessità di acquisire in tempo reale informazioni e notizie sull’attività
delittuose, che era in essere in quel momento e che veniva svolta con continuità e
organizzazione di persone e mezzi.

specifico. Lo stesso ricorrente richiama, infatti, il consolidato orientamento di

3.4. – Il quarto motivo di doglianza – a prescindere dalla sua intestazione
formale, nella quale si fa riferimento anche alla violazione degli art. 74 del d.P.R. n.
309 del 1990 e 273 cod. proc. pen. – è esclusivamente diretto a contestare la
valutazione del compendio indiziario operata dal Tribunale. Si tratta, in altri termini,
della mera riproposizione di censure di merito già esaminate e motivatamente
disattese dallo stesso Tribunale (pagg. 7-18 dell’ordinanza impugnata). A fronte di
una tale formulazione del motivo di ricorso, risulta, dunque, superfluo in questa sede

emergono con chiarezza la strutturazione dell’associazione, i numerosissimi reatiscopo posti in essere, nonché il ruolo di Fiorenza all’interno dell’associazione stessa, il
quale era costantemente presente sulla piazza di spaccio con la funzione di vedetta e
di spacciatore (pag. 15 del provvedimento).
3.5. – Del tutto generico è il quinto motivo di ricorso, perché con esso ci si
limita ad asserire, senza alcun puntuale riferimento critico alla motivazione
dell’ordinanza censurata, che non vi sarebbe prova della natura, e della quantità dello
stupefacente scambiato, nonché dei soggetti nei confronti dei quali le dazioni si
sarebbero perfezionate; con ciò trascurando l’ampia e analitica motivazione
dell’ordinanza impugnata dalla quale emerge – come già sopra osservato – che
l’imputato aveva preso parte personalmente e nell’ambito della struttura associativa a
numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, sia nel ruolo di vedetta sia nel ruolo di
spacciatore.
3.6. – Manifestamente infondato è, infine, il sesto motivo di doglianza, relativo
alle esigenze cautelari. A fronte delle generiche contestazioni difensive sul punto meramente riproposte con il ricorso per cassazione – il Tribunale evidenzia, infatti che
il pericolo di reiterazione trova conferma sia nel fatto che le indagini si riferiscono a
fatti contestati fino a un periodo recente (ottobre 2012) sia nel pieno inserimento
dell’indagato nel sodalizio criminale, dal quale traeva l’unica fonte economica di
sostentamento. Lo stesso Tribunale prosegue evidenziando che misure cautelari meno
afflittive rispetto a quella carceraria non sarebbero idonee ad impedire la reiterazione
della condotta criminosa, a fronte dell’elevata capacità criminale dimostrata dal
ricorrente, che non consente di fare affidamento sulla sua spontanea osservanza di
prescrizioni proprie di misure cautelari meno afflittive.
4. – Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del
ricorrente il pagamento delle spese processualì.
P.Q.M.
„N)—6

richiamare analiticamente i passaggi argomentativi dell’ordinanza impugnata, dai quali

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2015.

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