Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19190 del 22/01/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19190 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Allushi Mustafa, nato a Kavaje (Albania) il 08/08/1984,

avverso la sentenza del 05/03/2013 della Corte di appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Dante Scardecchia, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Mustafa Allushi ricorre per l’annullamento della sentenza del
05/03/2013 della Corte di appello di Ancona che, in totale riforma
dell’assoluzione decisa dal Tribunale di Ascoli Piceno il 16/02/2008, l’ha
dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 73, comma 5, d.P.R.
309/90, per aver detenuto, in concorso con Velcan Julian ed a fine di cessione a

Data Udienza: 22/01/2015

terzi, gr. 1,5 di sostanza stupefacente del tipo cocaina (rinvenuta nell’auto su cui
entrambi si trovavano) ed ulteriori gr. 7 della medesima sostanza rinvenuti sulla
sua persona, e l’ha condannato alla pena di un anno di reclusione ed C 3.200,00
di multa.
1.1. Con il primo motivo eccepisce l’errata applicazione della norma
incriminatrice e vizio di motivazione sul punto, perché la sentenza impugnata si è
impegnata più a demolire la tesi difensiva (l’uso di gruppo) che a dimostrare
l’effettiva destinazione a terzi della sostanza detenuta, ed anzi a trarre da

1.2.Con il secondo motivo eccepisce erronea applicazione dell’art. 62-bis,
cod. pen., e vizio di motivazione relativamente alla mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche, negate benché la Corte territoriale abbia
riconosciuto la lieve entità del fatto e abbia tralasciato di considerare aspetti
della vicenda significativi (modesta entità del fatto, assenza di precedenti
significativi, titolarità di stabile occupazione, ecc. ecc.) per la loro concessione.

2.Con memoria depositata il 14/01/2015 eccepisce che la Corte di appello
non avrebbe potuto riformare “in pejus” la sentenza assolutoria senza rinnovare
l’istruttoria dibattimentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

4. E’ necessario prendere le mosse dalla sentenza di assoluzione di primo
grado.
Dalla sua lettura risulta che:
a)

l’imputato fu fermato per un controllo su strada alle ore 1,30 del

07/08/2007 mentre si trovava alla guida dell’autovettura di sua proprietà
insieme con Velcan Julian;
b) nel vano portaoggetti fu rinvenuta una bustina contenente cocaina in
quantità pari a 1,5 grammi; altri 7 grammi della medesima sostanza, divisi in
due bustine di cellophane, erano occultati tra le natiche dell’Allushi;
c) nell’abitazione occupata da quest’ultimo, in particolare nella sua camera
da letto, furono rivenuti un bilancino e una busta di cellophane, contenente la
somma di C 1.700,00 in contanti, dalla quale mancavano ritagli a forma di
circonferenza;
d) gli imputati avevano sostenuto di aver acquistato la sostanza parte (gr.
1,5) per farne uso quella sera stessa, parte (i residui 7 grammi) per festeggiare
il compleanno dell’Allushi (corrente il giorno 8 agosto),
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quell’opera di demolizione il convincimento del buon fondamento dell’accusa.

e) l’imputato aveva giustificato il possesso della somma sopra indicata con la
propria attività lavorativa e con i regali di parenti e amici per il proprio
compleanno.
4.1.11 Tribunale aveva escluso che gli elementi sopra indicati potessero
univocamente dimostrare la finalità illecita della detenzione dello stupefacente
perché: a) l’imputato ed il suo amico non erano stati colti nell’atto di cederlo o
comunque in attività prodronniche alla cessione; b) l’imputato era percettore di
redditi non incompatibili con la disponibilità della somma sequestrata il cui

compleanno; c) egli era regolarmente residente in Italia con la propria famiglia e
svolgeva il lavoro di operaio; d) il bilancino può essere utilizzato anche per
l’acquisto e la conservazione dello stupefacente.
4.2.La Corte di appello, dopo aver passato in rassegna tutti gli elementi di
fatto già scrutinati dal primo giudice, è pervenuta all’opposta conclusione in base
alle seguenti diverse considerazioni:
a) lo stesso imputato aveva affermato, in sede di interrogatorio, che il
quantitativo di sostanza pari a 1,5 grammi era stata acquistata anche per
divertirsi con gli amici;
b)

le giustificazioni fornite in ordine alle modalità di detenzione della

sostanza occultata fra le natiche (il timore del ritiro della patente in caso di
controllo) contraddicono la maggior facilità con cui era stata rinvenuta l’altra
cocaina nascosta nel vano portaoggetti;
c) quest’ultima era detenuta in un involucro di cellophane perfettamente
combaciante con uno dei ritagli della busta contenente la somma sequestrata
nell’abitazione dell’imputato;
d) l’Allushi lavorava in nero e quand’anche fosse vero che percepiva una
retribuzione fissa mensile (cosa della quale in giudizio non era stata fornita
alcuna prova) si trattava di somma (pari a circa 1.200/1.300 euro mensili) che
non giustificava acquisti non modesti di sostanza, considerate le altre spese di
gestione familiare.

5. Costituisce insegnamento costante di questa Suprema Corte che la
decisione del giudice di appello, che comporti la totale riforma della sentenza di
primo grado, impone la dimostrazione dell’incompletezza o della non correttezza
ovvero dell’incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante
analisi critica seguita da corretta, completa e convincente motivazione che,
sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, senza lasciare spazio
alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di
prova diversi o diversamente valutati. La possibile spiegazione alternativa di un
fatto non attiene al mero possibilismo, come tale esercitazione astratta del

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ammontare si giustificava anche con le regalie in vista dell’imminente

ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma a specifici dati fattuali
che rendano verosimile la conclusione di un “iter” logico cui si perviene senza
affermazioni apodittiche (Sez. 1, n. 1381 del 16/12/1994, Felice, Rv. 201487;
Sez. 2, n. 15756 del 12/12/2002, Contrada, Rv. 225564). Il giudice di appello
che riformi totalmente la decisione di primo grado ha dunque l’obbligo di
delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di
confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima
sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza,

piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti (Sez. U, n.
33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013,
Rastegar, Rv. 254638; Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv.
242330). In ultima analisi, ove riformi totalmente la sentenza di primo grado,
sostituendo all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, il giudice
dell’appello ha l’obbligo di dimostrarne con rigorosa analisi critica l’incompletezza
o l’incoerenza, non essendo altrimenti razionalmente giustificato il rovesciamento
della statuizione assolutoria in quella di condanna (Sez. U, n. 33748 del 2005,
cit.).

6. Orbene, nel caso di specie, la Corte di appello ha fondato la propria
decisione sulla valutazione integrale degli stessi elementi di fatto a disposizione
del primo giudice valorizzando quelli che a suo giudizio hanno assunto un peso
decisivo nel ritenere fondata la tesi accusatoria, elementi che il Tribunale di
Ascoli Piceno non aveva considerato affatto (o comunque dei quali non aveva
dato atto in motivazione): a) la sostanziale confessione dell’Allushi (che aveva
riferito che parte della sostanza era anche per i suoi amici); b) il
confezionamento di parte della sostanza con un ritaglio di cellophane ricavato da
una busta rinvenuta nella sua abitazione; c) l’indimostrata disponibilità da parte
dell’imputato di somme di danaro adeguate ad alimentare il proprio vizio.

7.A fronte di tali specifici argomenti, l’Allushi si limita ad eccepire che la
destinazione anche agli amici può integrare il consumo di gruppo, che tale
affermazione tecnicamente non equivale ad una confessione, potendo l’imputato
anche mentire, che è onere dell’accusa dimostrare il fine della cessione.
Aggiunge quindi, con memoria peraltro tardivamente e dunque
inammissibilmente depositata, che è obbligo del giudice dell’appello procedere
sempre e comunque alla rinnovazione dell’istruttoria quando riformi la sentenza
di assoluzione in primo grado.

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tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato e la insostenibilità sul

8.Quanto a quest’ultimo punto, osserva il Collegio che, come già affermato
da questa Suprema Corte, il giudice d’appello, per procedere alla “reformatio in
peius” della sentenza assolutoria di primo grado non è tenuto – in base all’art. 6
CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti
dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia – alla rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale quando per affermare la penale responsabilità
dell’imputato, deve limitarsi a fornire una lettura coerente e logica del compendio
probatorio palesemente travisato nella decisione impugnata (Sez. 3, n. 45453

Nel caso di specie, infatti, appare sin troppo evidente che la diversa
interpretazione del materiale probatorio posta dalla Corte di appello a
fondamento della condanna del ricorrente non si fonda sulla diversa valutazione
dell’attendibilità della prova dichiarativa proveniente dall’esame degli imputati
bensì su una analisi completa esaustiva e più coerente con i fatti accertati delle
prove parzialmente esaminate dal primo Giudice.
Elementi che rendono niente affatto manifestamente illogica la conclusione
che la Corte territoriale ne ha tratto e che sono assai debolmente contestati dal
ricorrente con il ricorso all’insostenibile tesi del consumo di gruppo.

9.E’ altresì manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso.
I giudici distrettuali hanno infatti applicato una pena pari al minimo di quella
prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, ed hanno ritenuto di non
poter ulteriormente attenuare il trattamento sanzionatorio in considerazione del
precedente penale, ancorché non ostativo alla concessione del beneficio della
sospensione condizionale della pena.
Si tratta di motivazione sufficiente e insindacabile in questa sede.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, la concessione o il diniego
delle circostanze attenuanti generiche rientra nel potere discrezionale del giudice
di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato
ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso
giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed
alla personalità del reo. Il giudice non è perciò tenuto ad una analitica
valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma,
in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia
l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del
diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in
carenza di stretta contestazione (così, in motivazione, Sez. 3, n. 19639 del
27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).
Le argomentazioni che il ricorrente adduce attingono per intero al fatto
(come l’esame del certificato penale) non per denunziare il travisamento della

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del 18/09/2014, Rv. 260867).

prova processuale (l’esistenza del precedente penale), ma per indurre questa
Corte di cassazione a sostituire il proprio giudizio a quello della Corte di appello
in ordine alla rilevanza del precedente a giustificare il diniego delle circostanze.

10. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 22/01/2015

si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.

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