Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19183 del 05/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19183 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Mancino Franco, nato a Potenza, il 16.06. 1969
Avverso l’ordinanza, in data 7.05.2013, della Corte di Appello di Potenza, con la quale è stata
dichiarata inammissibile la dichiarazione di ricusazione nei confronti del Giudice per L’udienza
Preliminare.
Sentita la relazione del Consigliere relatore Giovanni Diotallevi
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Massimo Galli, che ha
concluso con la richiesta di inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Mancino Franco ricorre avverso l’ordinanza, in data, 7.05.2013, della Corte di Appello di
Potenza, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità, per manifesta infondatezza del
motivo addotto, dell’istanza di ricusazione avanzata nei confronti del Giudice per l’Udienza
Preliminare, nel procedimento che vede coinvolto l’imputato relativamente a reati inerenti la
criminalità organizzata.
La richiesta di ricusazione ex art. 37 cod. proc. pen. si fonda sulla circostanza che il G.U.P. sia
già a conoscenza della posizione del Mancino poiché precedentemente, in un diverso
procedimento, in sede cautelare, avrebbe valutato reati che, secondo il ricorrente, sarebbero

Data Udienza: 05/03/2014

connotati da identità soggettiva, giuridica e da collegamento probatorio con il procedimento
pendente. Questo comporterebbe una situazione di incompatibilità del giudice ai sensi dell’art.
34 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile
2. La Corte d’Appello ha correttamente dichiarato inammissibile l’istanza, posto che nel caso in
esame deve essere applicato non l’art. 34 cod. proc. pen., in tema di incompatibilità, ma l’art.
37 cod. proc. pen., che disciplina le ipotesi di ricusazione.

al principio del giudice naturale, non ammettono interpretazione estensiva o analogica, e,
quindi, non autorizzano una lettura degli artt. 36 e 37 cod. proc. pen. che pretenda di
assimilare interessi emergenti nel caso concreto – non espressamente considerati
dall’ordinamento – a quelli oggetto di specifica regolamentazione. Ne consegue che non può
essere dedotta quale causa di ricusazione dei giudici di un Collegio, sotto il profilo del difetto di
imparzialità, la già intervenuta valutazione da parte dei detti magistrati dell’attendibilità delle
dichiarazioni di chiamanti in correità, in occasione di altri procedimenti” (Cass. Sez. IV,
9.03.1999, n.855, CED 213666), elemento dedotto nel presente procedimento.
A questo si aggiunga che, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale (v. ord.
n. 368/2000 e sent. N. 283/2000) e della Corte di Cassazione( v. Cass., sez. VI, 17 novembre
1999, Rosmini) la funzione pregiudicante può ravvisarsi non in una qualsiasi attività
processuale precedentemente svolta dallo stesso giudice nel medesimo o in altro procedimento
penale, a carico dello stesso imputato, bensì soltanto in una valutazione di merito espressa dal
giudice, sia sulla sussistenza del medesimo fatto-reato, sia sulla colpevolezza dello stesso
imputato;
Ne consegue, che la pretesa causa di incompatibilità dedotta nel caso in esame esula da quelle
tassativamente previste dall’ordinamento, non avendo il giudice ricusato espresso il proprio
giudizio di merito in una precedente decisione sullo stesso fatto-reato, relativamente al
medesimo imputato; L’impugnazione va pertanto dichiarata inammissibile
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in Euro 1000,00
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Roma

.03.2014

Questa Corte ha stabilito che “le norme sulla ricusazione, derogando in nome dell’imparzialità

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