Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19180 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19180 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
DE VITA Antonio n. Napoli il 14 novembre 1961
avverso l’ordinanza emessa il 6 agosto 2013 dal Tribunale di Napoli

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 05/02/2014

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Considerato in fatto
1.

Con ordinanza in data 6 agosto 2013 il Tribunale di Napoli ha confermato

in sede di riesame l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in
carcere emessa il 15 luglio 2013 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Napoli nei confronti di De Vita Antonio limitatamente ai reati di partecipazione ad
associazione camorristica contestato al capo A (quale partecipe, dall’aprile 2011,

referente nel Perrone Berlingieri per tutte le attività illecite, comprese le piazze di
spaccio ivi insistenti e di incaricato del supporto logistico a Mennetta Antonio, capo
latitante), di partecipazione ad associazione finalizzata allo spaccio di sostanze
stupefacenti contestato al capo B (art.74 D.P.R.309/90, aggravato ai sensi dell’art.7
d.I.152/91, quale referente per l’attività di spaccio nel Perrone Berlingieri dall’aprile
2011), di partecipazione all’associazione camorristica denominata clan Amato-Pagano
contestato al capo E (quale referente, da marzo 2007 a 27 aprile 2011, del Perrone
Berlingieri e nelle piazze di spaccio ivi insistenti, approvvigionate dagli Amato-Pagano,
sotto la gestione di Parisi Giuseppe o’ Nasone).
2.

Avverso la predetta ordinanza il De Vita ha proposto, tramite il difensore,

ricorso per cassazione deducendo:
1)

la violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale, con

riferimento agli artt.291 e 305, comma 5, cod.proc.pen. e il difetto di motivazione
quanto al rigetto dell’eccezione difensiva relativa alla mancata trasmissione da parte
del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia riportate nell’ordinanza impugnata “per stralcio” e contenute
per intero nella richiesta cautelare; la giurisprudenza citata dal Tribunale del riesame

dell’associazione criminosa denominata clan della Vanella Grassi, con il ruolo di

per rigettare l’eccezione difensiva non sarebbe congruente riferendosi al caso di
trasmissione al giudice per le indagini preliminari di verbali di interrogatorio trasmessi
dal pubblico ministero, ma contenenti cancellature od omissioni; l’eccezione era
peraltro corredata da una certificazione di cancelleria erroneamente ritenuta
irrilevante;
2)

la violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale, con

riferimento agli artt.273 co.1 e co.1 bis e 192 cod.proc.pen. e il difetto di motivazione
quanto alla ritenuta gravità indiziaria; quanto al capo E le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia sarebbero “mere dichiarazioni di affiliazione” (Esposito Biagio
si era limitato a riferire della frequentazione da parte del De Vita della zona del

(),

3
Perrone in compagnia di Parisi Giuseppe, Esposito Vincenzo e Peppe o’ capellone; le
dichiarazioni di Giugliano Gianluca non sarebbero di riscontro perché generiche e
attinenti alla contestazione del capo A; le dichiarazioni di Illiano Giovanni sono
anch’esse generiche e relative solo all’affiliazione del De Vita al clan Amato-Pagano);
quanto ai capi A e B sarebbe stata contestata la medesima condotta, nonostante le
condotte caratterizzanti dei due reati associativi (art.416 bis cod.pen. e art.74

su un quadro di gravità indiziaria idoneo e il Tribunale del riesame avrebbe omesso di
compiere un’analisi in ordine alla validità del materiale investigativo per giustificare la
misura cautelare, tenuto conto del contrasto tra i collaboratori di giustizia Illiano e
Giugliano circa l’esistenza di una piazza di spaccio nel Perrone, considerato che i
chiarimenti dell’Illiano si riferivano al periodo contestato al capo F e non al capo B; né
l’Illiano né Marino Giovanni avevano attribuito al De Vita un ruolo nel settore degli
stupefacenti; quanto al capo A le dichiarazioni di Giugliano Gianluca circa il ruolo di
rifornitore di droga nel Perrone Berlingieri svolto dal De Vita non trovavano riscontro
né nelle dichiarazioni di Illiano Giovanni (secondo il quale nel Perrone non esisteva una
piazza di spaccio), né in quelle, troppo generiche e de relato, di Marino Giovanni.

3. Ritenuto in diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Nell’ordinanza impugnata il Tribunale ha affermato che l’assunto difensivo,
secondo il quale il pubblico ministero non avrebbe trasmesso al giudice per le indagini
preliminari le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (riportate nell’ordinanza per
stralcio, ma contenute per intero nella richiesta di applicazione della misura), è

D.p.R.309/90) siano diverse; i due reati, in ipotesi concorrenti, non sarebbero basati

rimasto privo di dimostrazione in quanto dall’attestazione della cancelleria del giudice
per le indagini preliminari prodotta dal difensore si evinceva solo una momentanea
impossibilità di visualizzare gli atti della procedura in esame e “non è certo possibile
dedurre l’omessa trasmissione degli stessi al G.I.P. in sede di richiesta cautelare del
P.M.”.

Sul punto nel ricorso non viene articolata alcuna deduzione. Peraltro,

indipendentemente dalla pertinenza della giurisprudenza citata nell’ordinanza del
Tribunale del riesame, questa Corte ritiene la

ratio

dell’art.309, comma 5,

cod.proc.pen. non attiene essenzialmente alla materialità dei documenti quanto
piuttosto al loro contenuto, sicché, quando questo risulti come nel caso in esame “per

(,

4
intero” inserito nella richiesta cautelare e per stralcio nell’ordinanza cautelare, può
ritenersi adempiuto l’obbligo di cui alla citata norma, essendo stata posta la difesa in
condizione di prendere completa cognizione degli atti posti a base della misura
restrittiva in considerazione dell’integrale

disco very

prevista dall’art. 293

cod.proc.pen., comma 3, di cui la difesa non lamenta l’omissione (Cass. sez.V 15
luglio 2011 n.42150, Minichini; sez.II 25 maggio 2005 n.21333, Starace; sez.I 7
aprile 1998 n.2047, Gulino). Del resto il ricorrente, come ha correttamente rilevato il

all’esercizio dei diritti difensivi dovuto alla presunta inadempienza del pubblico
ministero né ha adempiuto all’onere di indicare quale parte delle dichiarazioni non
fosse stata eventualmente trascritta nella domanda cautelare, dichiarazioni sul cui
contenuto risulta invece aver articolato censure specifiche.

3.2. Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato.
Nella motivazione dell’ordinanza impugnata si afferma che il ruolo svolto dal de
Vita, “camorrista di lungo corso già affiliato al clan Amato-Pagano”,

transitato,

continuando a svolgere il ruolo di reggente del rione Perrone -Berlingieri, al momento
della cd. scissione nella scissione nel gruppo camorristico cd. della Vinella Grassi
affermatosi come clan autonomo all’esito di scissioni e faide ricostruite
giudiziariamente in diverse sentenze anche definitive, era di addetto aò controllo dei
traffici illeciti presenti nel territorio di sua competenza, tra i quali anche quello relativo
al traffico di sostanze stupefacenti. Con il passare del tempo il De Vita era divenuto il
fidato luogotenente del capo clan Mennetta Antonio e l’aver favorito la latitanza di
costui era stato all’origine del suo arresto. A tali conclusioni il giudice di merito è
pervenuto sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Esposito Biagio,
Giugliano Gianluca, Illiano Giovanni, Marino Giovanni e Annunziata Carmine,
sostanzialmente convergenti e riscontrate dagli accertamenti di polizia giudiziaria.
Richiamata la giurisprudenza di legittimità in materia di valutazione della chiamata in
correità o in reità e, in particolare, la sentenza delle sezioni Unite n.36267 del 2006,
ric. Spennato, il Tribunale del riesame ha legittimamente operato un integrale
richiamo alla motivazione dell’ordinanza cautelare (ff.8-107) in cui erano state
riportate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, evidenziando gli elementi che
consentivano di affermare la credibilità soggettiva di coloro che avevano reso
dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’Orefice. L’analitico esame di dette
dichiarazioni non risulta carente sotto i profili evidenziati nel ricorso. Quanto alla

Tribunale del riesame, non ha formulato alcuna questione sul concreto pregiudizio

s
partecipazione del De Luca al clan Amato-Pagano quale referente, da marzo 2007 a 27
aprile 2011, del Perrone Berlingieri e nelle piazze di spaccio ivi insistenti,
approvvigionate dagli Amato-Pagano, sotto la gestione di Parisi Giuseppe o’ Nasone
(capo E), il Tribunale del riesame ha evidenziato non solo le dichiarazioni del
coindagato Esposito Biagio circa la frequentazione dello zio Esposito Vincenzo con
esponenti del clan Amato-Pagano, tra cui il De Vita, ma anche quelle, costituenti un
importante e significativo riscontro, del collaboratore di giustizia Illiano Giovanni,

delle alleanze, conosceva il De Vita ed era stato in grado di riferire sul suo passaggio
al clan vincente della Vinella Grassi senza spostarsi dal territorio del Perrone
Berlingieri (reato associativo contestato al capo A). Le dichiarazioni dell’Illiano
riscontravano, quanto alla partecipazione al clan della Vinella Grassi, anche le
dettagliate dichiarazioni di Giugliano Gianluca circa il ruolo sempre più importante
assunto in quest’ultimo gruppo camorristico dal De Vita, il quale partecipava con il
capo Mennetta Antonio a riunioni con le associazioni alleate in cui venivano assunte
decisioni anche in ordine a omicidi di esponenti di clan avversari e controllava,
unitamente a Orefice Corrado, il controllo del OPerrone Berlingieri occupandosi anche
della piazza di spaccio ivi esistente (associazione ex art.74 D.P.R.309/90, aggravata
anche ai sensi dell’art.7 d.l. 152/91 contestata al capo B). Nell’ordinanza impugnata il
Tribunale ha puntualmente esaminato la censura difensiva relativa all’asserita
contraddizione tra i collaboratori Illiano e Giugliano circa l’esistenza di una piazza di
spaccio nel Berlingieri, osservando che l’Illiano in un successivo interrogatorio aveva
specificato che nel Berlingieri era stata “messa una piazza di spaccio”, ribadendo di
non sapere se nel Perrone venisse svolta analoga attività illecita e che il contrasto
ipotizzato dalla difesa con il Giugliano era pertanto solo apparente. Del resto
nell’ordinanza impugnata si evidenziano anche le dichiarazioni rese dal collaboratore
Marino Giovanni circa il ruolo svolto, anche nel settore degli stupefacenti, dal De Vita
nel corso della sua partecipazione al clan della Vinella Grassi e da Annunziata Carmine
il quale ha indicato il De Vita quale obiettivo del clan Abete-Abbinante-Notturno-Aprea
di cui come il Marino lo stesso Annunziata faceva parte.
Manifestamente infondato è il rilevo difensivo avente ad oggetto la pretesa
identità delle condotte associative contestate ai capi A e B, essendo specifico quanto a
quest’ultimo reato il riferimento alla piazza di spaccio in cui veniva svolto
continuativamente e in forma organizzata il traffico di sostanze stupefacenti che era
solo uno dei settori in cui il clan della Vinella Grassi operava.

proveniente dal clan Amato-Pagano, che aveva vissuto in prima persona l’evolversi

c
Le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria a carico del ricorrente
risultano pertanto adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una
puntuale valutazione delle emergenze investigative, esente da incongruenze logiche e
da contraddizioni. Tanto basta per rendere l’ordinanza impugnata incensurabile in
questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la
valutazione del materiale indiziario compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare

plausibile. Il ricorrente con le sue doglianze formula censure di merito improponibili in
sede di legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli elementi
indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva
gravità dal Tribunale del riesame che ha dato adeguatamente conto delle ragioni che
giustificavano la conferma della gravità del quadro indiziario, con una motivazione
coerente e lineare, conforme ai principi di diritto che governano le risultanze
probatorie ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez.Un. 22 marzo
2000 n. 11, Audino).
4.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna

del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo
determinare in euro 1.000,00.
5.

A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente

provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è
ristretto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art.94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..

se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e

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