Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19178 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19178 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
OREFICE Corrado n. Napoli il 24 maggio 1969
avverso l’ ordinanza emessa il 6 agosto 2013 dal Tribunale di Napoli

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 05/02/2014

a
Considerato in fatto
1. Con ordinanza in data 6 agosto 2013 il Tribunale di Napoli in sede di riesame
ha confermato l’ordinanza emessa il 15 luglio 2013 con la quale era stata applicata nei
confronti di Orefice Corrado la misura cautelare della custodia in carcere limitatamente
ai due reati di associazione per delinquere di stampo mafioso ascrittigli al capo A
(quale affiliato al clan della Vinella Grassi, come referente nel Perrone Berlingieri per

supporto logistico a Mennetta Antonio, capo latitante della Vinella Grassi, dall’aprile
2011) e al capo C (quale partecipe, fino all’aprile 2007, dell’associazione denominata
clan Di Lauro operante nei quartieri napoletani di Secondigliano e Scampia e nel
comune di Melito di Napoli, con il ruolo di addetto alle estorsioni con il sistema del cd.
cavallo di ritorno e di incaricato del supporto logistico del latitante Di Lauro Ciro,
esponente di spicco del clan). L’ordinanza è stata invece annullata nei confronti
dell’Orefice in ordine ai reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di
sostanze stupefacenti contestati ai capi B ed

F e al reato di partecipazione ad

associane per delinquere camorristica contestata al capo E.
2. Avverso la predetta ordinanza l’Orefice ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione deducendo:
1)

la violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale, con

riferimento agli artt.291 e 305, comma 5, cod.proc.pen. e il difetto di motivazione
quanto al rigetto dell’eccezione difensiva relativa alla mancata trasmissione da parte
del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia riportate nell’ordinanza impugnata “per stralcio” e contenute
per intero nella richiesta cautelare; la giurisprudenza citata dal Tribunale del riesame
per rigettare l’eccezione difensiva non sarebbe congruente riferendosi al caso di
trasmissione al giudice per le indagini preliminari di verbali di interrogatorio trasmessi
dal pubblico ministero, ma contenenti cancellature od omissioni; l’eccezione era
peraltro corredata da una certificazione di cancelleria erroneamente ritenuta
irrilevante;
2)

la violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale, con

riferimento agli artt.273 co.1 e co.1 bis e 192 cod.proc.pen. e il difetto di motivazione
quanto alla ritenuta gravità indiziaria; quanto al capo C solo il collaboratore di giustizia
Lombardi Vincenzo, che non aveva immediatamente riconosciuto nel corso degli
interrogatori l’Orefice, aveva riferito del favoreggiamento del latitante Di Lauro Ciro da

tutte le attività illecite, comprese le piazze di spaccio ivi insistenti, ed incaricato del

parte del ricorrente, ma il Di Lauro all’epoca non era latitante; in relazione alla pretesa
gestione delle estorsioni da parte del ricorrente il Tribunale del riesame, pur
prendendo atto del giudicato per gli stessi fatti commessi fino al 2005, non aveva
tenuto conto che l’Orefice aveva subito un provvedimento cautelare per quei fatti
nell’anno 2004, rimanendo detenuto fino al 2008, e che l’ulteriore condotta degli anni
2005-2007 non coperta da giudicato (essendo cessata la permanenza per i fatti
precedenti con la sentenza di primo grado) non poteva essergli attribuita; quanto al

rilievi della difesa in ordine all’impossibilità di reciproco riscontro delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia Illiano Giovanni e Giugliano Gianluca, che erano attinenti a
periodi differenti (Giugliano per il periodo di appartenenza al clan della Vanella Grassi;
Illiano per il periodo di appartenenza al clan Amato Pagano).

Ritenuto in diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Nell’ordinanza impugnata il Tribunale ha affermato che l’assunto difensivo,
secondo il quale il pubblico ministero non avrebbe trasmesso al giudice per le indagini
preliminari le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (riportate nell’ordinanza per
stralcio, ma contenute per intero nella richiesta di applicazione della misura), è
rimasto privo di dimostrazione in quanto dall’attestazione della cancelleria del giudice
per le indagini preliminari prodotta dal difensore si evinceva solo una momentanea
impossibilità di visualizzare gli atti della procedura in esame e “non è certo possibile
dedurre l’omessa trasmissione degli stessi al G.I.P. in sede di richiesta cautelare del
P.M.”.

Sul punto nel ricorso non viene articolata alcuna deduzione. Peraltro,

indipendentemente dalla pertinenza della giurisprudenza citata nell’ordinanza del
Tribunale del riesame, questa Corte osserva che la

ratio dell’art.309, comma 5,

cod.proc.pen. non attiene essenzialmente alla materialità dei documenti quanto
piuttosto al loro contenuto, sicché, quando questo risulti come nel caso in esame “per
intero” inserito nella richiesta cautelare e per stralcio nell’ordinanza cautelare, può
ritenersi adempiuto l’obbligo di cui alla citata norma, essendo stata posta la difesa in
condizione di prendere completa cognizione degli atti posti a base della misura
restrittiva in considerazione dell’integrale

discovery

prevista dall’art. 293

cod.proc.pen., comma 3, di cui la difesa non lamenta l’omissione (Cass. sez.V 15

reato contestato al capo A il Tribunale del riesame si sarebbe limitato a riportare i

4
luglio 2011 n.42150, Minichini; sez.II 25 maggio 2005 n.21333, Starace; sez.I 7
aprile 1998 n.2047, Gulino). Del resto il ricorrente, come ha correttamente rilevato il
Tribunale del riesame, non ha formulato alcuna questione sul concreto pregiudizio
all’esercizio dei diritti difensivi dovuto alla presunta inadempienza del pubblico
ministero, né ha adempiuto all’onere di indicare quale parte delle dichiarazioni non
fosse stata eventualmente trascritta nella domanda cautelare, dichiarazioni sul cui

3.2. Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato.
Nella motivazione dell’ordinanza impugnata si rileva che il ruolo svolto
dall’Orefice,

“camorrista di lungo corso già affiliato al clan Di Lauro”,

quale

luogotenente del capo clan Mennetta Antonio nell’ambito del gruppo camorristico cd.
della Vinella Grassi affermatosi come clan autonomo all’esito di scissioni e faide
ricostruite giudiziariamente in diverse sentenze anche definitive, emergeva dalle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Esposito Pietro, Capasso Carlo, Lombardi
Vincenzo, Giugliano Gianluca e Illiano Giovanni, sostanzialmente convergenti e
riscontrate dagli accertamenti di polizia giudiziaria. Richiamata la giurisprudenza di
legittimità in materia di valutazione della chiamata in correità o in reità e, in
particolare, la sentenza delle sezioni Unite n.36267 del 2006, ric. Spennato, il
Tribunale del riesame ha legittimamente operato un integrale richiamo alla
motivazione dell’ordinanza cautelare (ff.8-107) in cui erano state riportate le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, evidenziando gli elementi che consentivano
di affermare la credibilità soggettiva di coloro che avevano reso dichiarazioni
accusatorie nei confronti dell’Orefice. L’analitico esame di dette dichiarazioni non
risulta carente sotto i profili evidenziati nel ricorso. Quanto alla partecipazione
dell’Orefice al clan Di Lauro fino all’aprile 2007 (capo C), il Tribunale del riesame non
si è sottratto alla valutazione delle censure difensive riguardanti l’asserita copertura
da precedente giudicato della condotta (anche estorsiva) cui avevano fatto riferimento
i collaboratori di giustizia, osservando, con argomentazioni razionali e non
specificamente contestate nel ricorso, che “la sentenza prodotta dalla difesa non
copre i fatti oggetto di contestazione al capo C, atteso che la condotta partecipativa
già giudicata con le sentenze prodotte dalla difesa si ferma al 2005, mentre
l’operatività dell’associazione camorristica denominata clan Di Lauro abbraccia un
periodo successivo, giungendo fino al 2007. Dalla posizione giuridica storica di Orefice
Corrado non risulta una sua detenzione in carcere già nel 2004, ma dal 2006. In realtà

contenuto risulta invece aver articolato censure specifiche.

5
dalla motivazione della sentenza prodotta si ha una conferma ulteriore delle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, poiché il giudice ha affermato che l’attività
nel settore dei cd. cavalli di ritorno è stata svolta dal ricorrente in favore del clan Di
Lauro, tanto che è stata confermatala circostanza aggravante di cui all’art.7 I.
n.203/91”. Quanto alla latitanza del Di Lauro, che l’Orefice avrebbe favorito secondo
quanto riferito dal collaboratore di giustizia Lombardi Vincenzo, il Tribunale del
riesame ha evidenziato che il Lombardi ha sempre fornito una spiegazione convincente

affermazioni contenute nel ricorso in ordine al periodo in cui Di Lauro Ciro era stato
latitante sono del tutto generiche (peraltro il Lombardi aveva affermato che l’Orefice
aveva “gestito” la latitanza del Di Lauro in un periodo imprecisato,

“prima del

7.12.2004”). Quanto, infine, al capo A (partecipazione al gruppo camorristico della
Vinella Grassi dall’aprile 2011) e, in particolare, all’idoneità delle dichiarazioni di Illiano
Giovanni a riscontrare quelle di Giugliano Gianluca, il Tribunale del riesame ha
osservato che l’Illiano aveva riferito anche e soprattutto del passaggio dell’Orefice nel
clan della Vinella Grassi e che, comunque, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
sul punto erano riscontrate da plurimi accertamenti di polizia giudiziaria relativi a
controlli di polizia e servizi di osservazioni da cui emergeva la partecipazione
dell’Orefice a incontri con i sodali tra cui anche il capo clan Mennetta Antonio.
Le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria a carico del ricorrente
risultano pertanto adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una
puntuale valutazione delle emergenze investigative, esente da incongruenze logiche e
da contraddizioni. Tanto basta per rendere l’ordinanza impugnata incensurabile in
questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la
valutazione del materiale indiziario compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare
se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e
plausibile. Il ricorrente con le sue doglianze formula censure di merito improponibili in
sede di legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli elementi
indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva
gravità dal Tribunale del riesame che ha dato adeguatamente conto delle ragioni che
giustificavano la conferma della gravità del quadro indiziario, con una motivazione
coerente e lineare, conforme ai principi di diritto che governano le risultanze
probatorie ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez.Un. 22 marzo
2000 n. 11, Audino).

circa il mancato immediato riconoscimento fotografico del ricorrente, mentre le

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.
5.

A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente

provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art.94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..

ristretto.

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