Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19177 del 13/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19177 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PACE MARIO, nato a Catania il 06/11/1959

avverso l’ordinanza del 25/10/2017 del Tribunale di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Paolo Canevelli che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Salvatore Catania Milluzzo, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 13/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 25.10.2017, il Tribunale di Catania rigettava l’appello
proposto da Pace Mario avverso l’ordinanza in data 7.7.2017 del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania, che aveva disatteso l’istanza di
revoca della misura cautelare della custodia cautelare in carcere.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Pace Mario, a

strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione di legge, sostanziale e processuale, e
vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in relazione alla condotta di partecipazione al delitto di associazione
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
Argomenta che, erroneamente, il Tribunale aveva ritenuto la parziale
inammissibilità per genericità del primo motivo di appello, in quanto la difesa
aveva contestato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia richiamando le
valutazioni operate dal Tribunale nei provvedimenti di riesame relativi alla
posizione dei coimputati Cosentino Roberto, Vitale Roberto e Cerami Roberto che
l’intervenuta archiviazione del tentativo di importazione, che, nella prospettiva
accusatoria fondava la contestazione di partecipazione dell’associazione.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 274 e 275, comma 3,
cod.proc.pen. e correlato vizio di motivazione.
Argomenta che il Tribunale, con motivazione illogica e con travisamento delle
prove, aveva ritenuto la concretezza ed attualità del pericolo di recidivanza, non
considerando che il reato associativo era stato contestato fino al luglio 2013 e che
nei tre anni e mezzo successivi il Pace, pur usufruendo di molteplici permessi
premi, non aveva avuto rapporti con i soggetti facenti parte, secondo la
prospettazione accusatoria, del contestato sodalizio criminoso.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1. Va ricordato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti relativi
all’applicazione di misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denunci la
violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,
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mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti

ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti
ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez.6,
n. 11194 del 8/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
Alla Corte di legittimità spetta il solo compito di verificare se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti

l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve
rimanere «all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile
procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un
diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Sez.4,
n.26992 del 29/05/2013, Rv.255460).
La funzione di legittimità è, quindi, limitata alla verifica della adeguatezza del
ragionamento e della valutazione adottata nel provvedimento sottoposto al suo
esame, che deve manifestare con chiarezza ed esaustività quale argomentazione
critica lo abbia sorretto nel pervenire alla ricostruzione dei fatti, tenendo conto di
tutti gli elementi, sia contro che a favore del soggetto sottoposto al suo esame
(Sez.6, n 40609 del 01/10/2008, Rv.241214; Sez.6, n. 18190 del 04/04/2012,
Rv.253006; Sez.6,n. 27928 del 14/06/2013, Rv.256262).
1.2. Con il motivo in esame il ricorrente, attraverso una formale denuncia di
violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una
rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali, senza
individuare vizi di manifesta illogicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse
in sede di giudizio di legittimità (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv.
235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006,
n. 37006, Piras, Rv. 235508).
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, la disciplina di
cui all’art. 275 comma 3 cod.proc.pen. stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da
gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti ivi considerati- tra i quali è
ricompreso il contestato delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90-, una duplice
presunzione relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari (an della
cautela) e alla scelta della misura (quomodo della stessa).
In presenza di tali reati, come rammentato dal Giudice delle Leggi (cfr.
sentenza 231 del 2011), il Giudice deve considerare sussistenti le esigenze
cautelari ( e l’adeguatezza della carcerazione cautelare) ove non consti la prova
della loro mancanza, secondo uno schema di prova di tipo negativo e secondo un

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rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano

modello che, sul piano pratico, si traduce in una marcata attenuazione dell’obbligo
di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere che
si traduce nell’onere di dar semplicemente atto dell’inesistenza di elementi idonei
a vincere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari; solo nel caso in
cui l’indagato abbia allegato elementi di segno contrario, l’obbligo motivazionale
diviene più pregnante in quanto il Giudice sarà tenuto a giustificare la ritenuta
inidoneità degli stessi a superare la presunzione.
Va, quindi, ribadito il consolidato principio di diritto, in base al quale, qualora

nell’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. e il giudice di merito non ritenga di
poter superare la presunzione relativa, su di lui incombe solo l’obbligo di dare atto
dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione, mentre l’obbligo di
motivazione è imposto e diventa più oneroso nell’ipotesi in cui l’indagato o la sua
difesa abbiano evidenziato elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze
cautelari e/o abbiano allegato, o anche solo dedotto l’esistenza ex actis di elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari
possono essere soddisfatte con altre misure (Sez. U, n. 16 del 05/10/1994,
Dennitry, Rv. 199387, Sez. 3, n. 1488 del 10/12/2013, dep.15/01/2014, Rv.
258017; Sez.3, n.48706 del 25/11/2015, Rv.266029; Sez.3, n.33037 del
15/07/2015, Rv.264190; Sez.6, n.53028 del 06/11/2017, Rv.271576).
Nella specie, il Tribunale, nell’ordinanza oggetto del presente ricorso, ha
evidenziato, in sostanza, come la presunzione (relativa) in ordine alla esistenza di
esigenze di tutela della collettività, prevista dall’art. 275, comma 3, cod.proc.pen.,
in assenza di elementi contrari, non potesse ritenersi vinta, così assolvendo
adeguatamente all’obbligo motivazionale, chiarendo anche che il tempo trascorso
dai fatti e lo stato di detenzione del Pace non assumevano rilievo contrario, atteso
che le condotte erano state contestate come commesse durante la detenzione
(comunicazione attraverso PC con la sorella Pace Rosa per approvvigionamento di
sostanza stupefacente dall’Olanda ed incontri con taluni sodali durante i permessi
premio) e che il Pace poteva ancora godere di permessi premio, in occasione dei
quali reiterare le condotte criminose.
Rispetto all’indicato percorso argomentativo le doglianze del ricorrente si
collocano ai confini della inammissibilità, prospettando censure del tutto
generiche.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
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sia stata applicata la misura della custodia in carcere per uno dei delitti indicati

pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa

ter disp. att. c.p.p.

Così deciso il 13/03/2018

al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 comma 1

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