Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19171 del 12/02/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19171 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PALERMO
nei confronti di:
FAILLA GIUSEPPE N. IL 27/05/1958
avverso l’ordinanza n. 1212/2012 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
21/08/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
5″.
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. (.44~1 vn

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Uditi difensor Avv.; Aen
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31°4-31–v”‘

Data Udienza: 12/02/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Z

Con ordinanza in data 21 agosto 2012 il tribunale del riesame di Palermo accoglieva la
richiesta di riesame avanzata da Failla Giuseppe avverso l’ordinanza in data 19 luglio 2012 con
la quale il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo aveva applicato al
predetto la misura della custodia cautelare in carcere per la violazione dell’articolo 74 commi
1,2 e 3 D.P.R. 309/90 e per l’effetto disponeva l’immediata liberazione dello stesso, se non

Riteneva il tribunale sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, ma escludeva la sussistenza delle
esigenze cautelari di cui alla lettera C) dell’articolo 274 codice procedura penale.
Ricorre per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo deducendo
che l’ordinanza impugnata è incorsa in:
1. inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche in
relazione agli articoli 74 d.p.r. 309/90,275 comma 3 e 51 comma tre bis del codice di
procedura penale. Rileva che la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in
ordine al delitto associativo ascritto impone l’applicazione della misura cautelare in
carcere senza alcuna necessità di accertare le esigenze di cui all’articolo 274 codice di
procedura penale che sono presunte per legge, a meno che non vengano acquisiti
elementi da cui risulti che quelle esigenze non sussistono o sono cessate e il relativo
onere incombe sull’interessato. Ne deriva che la prova contraria, costituita
dall’acquisizione di elementi dai quali risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari, si
risolve nella ricerca di quei fatti che rendono impossibile – e perciò stesso in assoluto e
In astratto oggettivamente dimostrabile – che il soggetto possa continuare a fornire il
suo contributo all’organizzazione per conto della quale ha operato, con la conseguenza
che, ove non sia dimostrato che detti eventi risolutivi si sono verificati, persiste la
presunzione di pericolosità. Lamenta pertanto che la condotta posta in essere dal Failla,
correttamente sussunta dal tribunale nella fattispecie di cui all’articolo 74 d.p.r. 309/90
impone l’applicazione della misura cautelare della detenzione in carcere, presunzione di
adeguatezza della misura che può essere superata solo ove vengano dalla difesa
dimostrati elementi in grado di escludere dette esigenze, circostanza che il ricorrente
ritiene non essere emersa dagli atti del procedimento. Anzi, avuto riguardo alla
posizione dell’indagato ritiene che non risulta da nessun elemento che lo stesso abbia
rescisso i propri rapporti con l’associazione criminale. Il tribunale ha desunto tale prova
di rescissione dal decorso di un notevole lasso di tempo e dagli elementi nuovi
rappresentati dalla difesa. Rileva il ricorrente che il decorso del tempo è un elemento
assolutamente neutro che non costituisce prova di alcunché, né tanto meno è in grado
da solo di attestare la rescissione di legami con l’organizzazione criminosa e o la
radicale dissoluzione dell’organizzazione stessa

i

detenuto per altra causa.

2. vizio della motivazione risultante dal testo del provvedimento. Ritiene il ricorrente che la
presunzione ex lege di adeguatezza della custodia in carcere viene vinta dall’ordinanza
impugnata non con la prova della rescissione dei legami con l’associazione, bensì con il
mero decorso del tempo e con tutti gli altri elementi che testimoniano solo la probabile
dissoluzione della associazione, con ciò eludendo la presunzione di gravità dei fatti
contestati.
Le doglianze, che possono essere trattate congiuntamente vertendo su medesima questione,

argomentazioni utilizzati dai giudici cautelari
E’ incontestato che in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’imputato
del delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 I. stup.) l’art.
275 c.p.p., comma 3, pone, a seguito della riforma operata nel 2009, una presunzione di
pericolosità sociale superabile solo quando sia dimostrato che l’associato ha stabilmente
rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa ovvero che questa si è radicalmente
dissolta con la conseguenza che al giudice di merito incombe l’esclusivo onere di dare atto
dell’inesistenza d’elementi idonei a vincere tale presunzione. Ne deriva che la prova contraria,
costituita dall’acquisizione di elementi dai quali risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari, si
risolve nella ricerca di quei fatti che rendono impossibile (e perciò stesso in assoluto e in
astratto oggettivamente dimostrabile) che il soggetto possa continuare a fornire il suo
contributo all’organizzazione per conto della quale ha operato, con la conseguenza che, ove
non sia dimostrato che detti eventi risolutivi si sono verificati, persiste la presunzione di
pericolosità (vedi, in tema di art. 416 bis c.p. Rv. 242041).
Ciò detto deve rilevarsi che, con una valutazione In fatto, incensurabile in questa sede, il
giudice del riesame ha ritenuto che il ragionamento esposto dal giudice per le indagini
preliminari nel rigettare la richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero In
relazione ai reati fine dell’associazione, doveva essere estesa anche allo stesso reato
associativo, in considerazione del decorso di un notevole lasso di tempo dal momento del fatto
e degli elementi nuovi rappresentati dalla difesa. L’epoca di accertamento del reato risaliva al
marzo giugno 2007, uno spazio di tempo così rilevante, secondo il tribunale, imponeva una
valutazione in ordine alla possibile dissoluzione dell’organizzazione stessa nel corso degli anni.
Il giudizio operato dal tribunale sulla scorta degli elementi di indagine, in particolare dalle
intercettazioni telefoniche, portava il giudicante a ritenere che dal settembre 2007
l’associazione si fosse disgregata, oltre che per le tensioni interne tra i consociati, anche in
ragione del lungo periodo di detenzione sofferto dal capo Giardiello Carlo. Veniva infatti
indicato nel provvedimento impugnato che dagli atti risultava una situazione di forte tensione
tra il Giardiello e il cognato Tabbone Massimo che rivestiva un ruolo di primo piano all’interno
del gruppo, conflittualità che era sfociata in una grave e apparentemente irrimediabile lite,
durante la quale quest’ultimo era stato ferito con l’uso di un’arma da taglio. Veniva altresì
indicato che il Giardiello era entrato in conflitto, per ragioni economiche, anche con la propria
2

sono prive di fondamento, nei termini formulati dal ricorrente ed avuto riguardo alla concrete

madre, Veible Cirietta, anche lei associata con un ruolo di primissimo piano in seno al gruppo.
La donna risultava infatti essere persona offesa di un tentativo di estorsione posto in essere dal
figlio il 12 settembre 2007, come da sentenza di applicazione di pena irrevocabile del 29 luglio
2008. In sostanza, secondo il tribunale, dagli atti di emergeva che nel settembre del 2007, a
causa di rancori di origine remota e di controversie economiche, si era disgregato parte del
nucleo principale dell’associazione costituito dal capo Giardiello e dai parenti prossimi Veible e
Tabbone. Veniva inoltre evidenziato che dagli atti giudiziari prodotti dalla difesa era verosimile

percorso criminale del tutto autonomo rispetto agli altri componenti della vecchia associazione.
In particolare il Beniamino, a seguito di detenzione per altra causa e a sottoposizione a
programma terapeutico del Sert, sembrava avere maturato una forte motivazione di
cambiamento, una reale presa di coscienza rispetto ai suoi trascorsi di tossicodipendente e la
voglia di consolidare nel tempo il nuovo stile di vita intrapreso (veniva richiamata la relazione
del 1 agosto 2012 del Sert di Ribera).
In sintesi il tribunale con motivazione logica, coerente e giuridicamente corretta, ha ritenuto
che la presunzione di pericolosità doveva ritenersi superata sia dal decorso di un consistente
lasso di tempo dal fatto, sia dalla compresenza di tutti gli elementi indicati che testimoniavano
la probabile dissoluzione dell’associazione nel corso degli anni. Ha ritenuto inoltre che gli
elementi acquisiti nel corso dell’indagine sembravano delineare un quadro di gravità del fatto
significativa, ma non tale da far ritenere, dopo più di cinque anni dal fatto, ancora sussistente
un pericolo di reiterazione del reato.
Ciò detto le censure in esame si appalesano manifestamente infondate perché il ricorrente,
sotto il profilo del vizio di legge e del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa
lettura dei dati di fatto non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti
sempre un giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla
correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa
essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
effettuata dal giudice di merito .
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile

P.Q.M.

Dichiara inammissibile ricorso .
Così deliberato in Roma il 12.2.2013
Il Consigliere estensore

Il4idente

desumere che gli altri associati Failla Giuseppe e Beniamino Sergio avessero seguito un

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