Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19169 del 30/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19169 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Penco Andrea, nato a Genova il 27/06/1969;
avverso la sentenza del 24/01/2013 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonio
Gialanella, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13.7.2011 il Tribunale di Genova dichiarò Penco Andrea
responsabile di truffa aggravata ai sensi degli artt. 61 n. 7 e 11 cod. pen.
limitatamente ai versamenti ricevuti in data successiva al 12.1.2004 e concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti – lo condannò alla
pena di mesi 4 di reclusione ed € 200,00 di multa.
L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in
separato giudizio, con una provvisionale) ed alla rifusione delle spese a favore
delle parti civili Anna Maria, Monica e Marco Palazzi, in proprio e quali soci della
Full Service S.a.s.

2. L’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Genova, con
sentenza del 24.1.2013, confermò la pronunzia di primo grado.

3. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:

Data Udienza: 30/04/2014

s
1. mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al rigetto della
richiesta di rinnovazione del dibattimento per l’effettuazione di una perizia
contabile;
2. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità; se la
scrittura privata 5.3.2007 è un riconoscimento di debito, non si
comprende corna possa essere considerata fonte di un fatto illecito; alla
querela è allegata altra scrittura privata in data 2.3.2009 contenente
diverse valutazioni anche in termini di importi; il riconoscimento di debito
contrasterebbe con la sussistenza dell’elemento psicologico del reato;

raggiri; le persone offese chiesero all’imputato di pagare per loro conto
perché era più comodo; alcune rate furono pagate; al più potrebbe essere
ipotizzato il reato di appropriazione indebita;
4. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di un unico reato
anziché di reato continuato; alcune rate sono state pagate e dovrebbe
essere esclusa la circostanza aggravante del danno di particolare gravità;
5. vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione dei benefici di
legge sull’assunto che l’imputato non si asterrà dalla commissione di
ulteriori reati;
6. mancanza d motivazione in relazione alla richiesta di revoca della
provvisionale e richiesta di sospensione dell’esecuzione della stesa ai
sensi dell’art. 612 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Nel caso in esame non si verte in tema di mancata assunzione di una prova
decisiva in quanto secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal
Collegio, l’accertamento peritale, mezzo di prova neutro e, come tale, non
classificabile né quale prova a carico né quale prova a discarico (art. 495,
comma 2, cod. proc. pen.) dell’accusato, non può essere ricondotto alla nozione
di “prova decisiva” la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per
cassazione ai sensi dell’art. 606 lett d) cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6 sent. n.
17629 del 12.2.2003 dep. 4.4.2003 rv 226809).
La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi
dell’art. 603 cod. proc. pen., non trattandosi di prove nuove, solo se il giudice di
appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale
valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita.
Infatti, in tema di giudizio di appello, poiché il vigente cod. proc. pen. pone
una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo

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3. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di artifizi e

grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale
e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo
stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve
essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere
discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo
stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta
anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base
della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per
una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la

sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403

2. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili per violazione dell’art.
606 comma 1 cod. proc. pen., perché propongono censure attinenti al merito
della decisione impugnata, congruamente giustificata.
La Corte territoriale ha desunto la responsabilità dalla scrittura privata
sottoscritta dall’imputato e dalla documentazione acquisita.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede e non è prospettabile in sede di legittimità una
interpretazione alternativa.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5″ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2″ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.
La qualificazione del fatto come truffa anziché come appropriazione indebita
è fondata sulla ritenuta sussistenza di raggiri consistiti nel farsi consegnare le
somme assicurando che avrebbe effettuato i versamenti.
3. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte ha chiarito che il delitto di truffa, nella forma cosiddetto
contrattuale, si consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto
degli artifici o raggiri, assume l’obbligazione della dazione di un bene economico,

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conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento. (v. Cass. Sez. 5

ma al momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell’agente
con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa. (Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 31044 del 11/07/2008 dep. 24/07/2008 Rv. 240659. La
Corte ha precisato che, ove il bene sia corrisposto in più ratei, il reato si
consuma con l’ultimo atto di erogazione).

4. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure
di merito.

commettere ulteriori reati in ragione della protrazione dell’infedeltà contrattuale
e l’implicito richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. integra anche la
motivazione sul diniego della non menzione della condanna.

5. Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è
riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa
motivazione quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile. (Cass.
Sez. 6, Sentenza n. 49877 del 11/11/2009 dep. 30/12/2009 Rv. 245701).

6. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 30/04/2014.

La Corte territoriale ha ritenuto che l’imputato non si sarebbe astenuto dal

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