Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19167 del 23/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19167 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pucciarelli Liliano, nato a Massa il 27/05/1949

avverso l’ordinanza del 29/09/2016 del Tribunale di Massa

visti gli atti, il provVedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Paola Filippi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 23/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza emessa il 29 Settembre 2016 all’esito dell’udienza

celebrata ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., il Tribunale di Massa in funzione
di giudice dell’esecuzione ha respinto l’istanza avanzata da Liliano Pucciarelli al
fine di ottenere la sospensione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo
emesso dalla locale Procura della Repubblica in esecuzione della sentenza del 2

responsabile del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 e condannato alle pene di legge con ordine di demolizione del manufatto
abusivamente realizzato. L’istanza poggiava, da un lato, sul fatto che non si
sarebbe formato un valido titolo esecutivo a causa delle invalide notificazioni
effettuate nel giudizio di cognizione e, d’altro lato, sulle condizioni fisiche del
condannato.

2. Avverso la suddetta ordinanza, a mezzo del difensore ha proposto ricorso
Liliano Pucciarelli, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc.
pen.

3. Con un primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge processuale
(gli artt. 161, 415 bis, 548, 550 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione per aver
il giudice ritenuto che fossero state validamente effettuate presso il domicilio
dichiarato le notificazioni degli atti del processo di cognizione, compreso
l’estratto della sentenza contumaciale, laddove non poteva invece ritenersi
individuato un valido domicilio attesa l’inidoneità dell’apparente dichiarazione.

4. Con un secondo motivo si deduce violazione degli artt. 97, 655, comma
5, e 656, comma 5, cod. proc. pen. per essere stata l’ingiunzione a demolire
notificata ad un difensore d’ufficio nominato per il procedimento di esecuzione,
anziché al difensore d’ufficio che aveva assistito il Pucciarelli nel giudizio di
cognizione, e ciò in violazione del principio dell’infungibilità della difesa.

5. Con un terzo motivo si deducono violazione degli artt. 125, 665 e 666
cod. proc. pen., nonché dell’art. 8 C.E.D.U., e vizio di motivazione per aver il
giudice dell’esecuzione omesso di valutare se la sanzione accessoria della
demolizione rispettasse il criterio di proporzionalità rispetto alla situazione
personale del ricorrente.

2′

aprile 2003 – divenuta irrevocabile – con cui il medesimo era stato ritenuto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, avendo il giudice
correttamente ritenuto che la dichiarazione di domicilio effettuata da Liliano
Pucciarelli in data 26 Settembre 2001 alla Polizia Municipale di Massa rispettasse
i requisiti di cui all’art. 161 cod. proc. pen. e fosse idonea ad integrare gli effetti
previsti dalla menzionata previsione. La formalistica eccezione sollevata dalla

Polizia Municipale che il Pucciarelli dichiarava domicilio “presso la sua
residenza/abitazione/dimora”, ciò non consentirebbe di individuare quale tra le
opzioni fosse stata prescelta – è stata disattesa con logica motivazione dal
Tribunale. Il giudice, di fatti, ha osservato che nell’intestazione del medesimo
verbale il dichiarante era residente in Massa, Via dei Loghi, 59 ed ivi
effettivamente risultava abitare, come pure confermato, in due occasioni (tra cui
la notifica dell’estratto della sentenza contumaciale di primo grado, adempimento
da considerarsi per valutare l’eventuale non esecutività del titolo: v. Sez. 4, n.
39766 del 26/10/2011, Franzé, Rv. 251927), dalla madre Anna Manfredi, la
quale, nel ritirare a quell’indirizzo l’atto processuale destinato al figlio, si dichiarò
“familiare convivente”. Non sussisteva dunque dubbio – secondo la convincente
motivazione del Tribunale – sul fatto che il Pucciarelli volesse ricevere a
quell’indirizzo (l’unico indicato nel verbale ex art. 161 cod. proc. pen. e presso il
quale egli di fatto abitava) gli atti del processo, sempre notificati a suoi prossimi
congiunti (in due casi, come detto, alla madre ed in un caso alla sorella).

2. Parimenti inammissibile per manifesta infondatezza è il secondo motivo di
ricorso, trattando di eccezione di nullità della notifica dell’ingiunzione a demolire
già disattesa dal giudice dell’esecuzione sull’esatto rilievo che il principio di
infungibilità della difesa nel procedimento di esecuzione, rispetto al difensore
nominato in sede di cognizione, stabilito dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
opera – tanto nel caso di difesa di fiducia, quanto d’ufficio – soltanto laddove si
tratti di eseguire pene detentive, dovendo altrimenti farsi applicazione del
generale principio stabilito nell’art. 655, comma 5, cod. proc. pen., giusta il
quale, in tutti gli altri casi, in sede di procedimento di esecuzione viene nominato
un nuovo difensore d’ufficio a chi sia privo di difensore di fiducia (cfr. Sez. 3, n.
11934/2017 del 28/09/2016, Desiderio, Rv. 270350).

3. Inammissibile è anche il terzo motivo, non essendo stato il medesimo
dedotto nell’istanza avanzata al giudice dell’esecuzione. E’ bensì vero che nella

3

difesa – secondo cui, essendo riportato nel verbale prestampato redatto dalla

memoria depositata all’udienza ex art. 666 cod. proc. pen. del 20 settembre
2016 il difensore aveva fatto un laconico — e peraltro indimostrato – riferimento
al fatto che l’immobile abusivo sarebbe stata l’unica abitazione di cui Pucciarelli
disponeva, rilevandosi come “più che opportuna” una “rivalutazione complessiva
della proporzionalità della demolizione, anche alla luce dei principi della CEDU”,
ma si tratta di allegazione estremamente generica, tale da non essere comunque
idonea ad investire il giudice dell’esecuzione della decisione sul punto,

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza
Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non
sussistono elementi per ritenere che e la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del
procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende
della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C. 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 23/02/2018

Il Consigliere estensore

Il P,r,esiden

ianni Filippo Reynaud

1(erio Sava

trattandosi, del resto, di valutazione che sarebbe sottratta ai suoi poteri.

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