Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19166 del 16/12/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19166 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ESPOSITO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BOCCACCIO GIUSEPPE N. IL 03/12/1937
avverso la sentenza n. 834/2014 CORTE APPELLO di CATANIA, del
09/07/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO;

Data Udienza: 16/12/2016

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catania, in riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Siracusa in data 18/11/2013, riduceva ad anni
quattro e mesi otto la pena inflitta nei confronti di Boccaccio Giuseppe per il
tentato omicidio aggravato nei confronti di Coletta Sebastiana, avvenuto in Avola
il 25/08/2003.
Avverso tale sentenza il Boccaccio, a mezzo del proprio difensore, ricorreva
per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione del

legittima difesa reale o putativa o dell’eccesso colposo denegata dal giudice in
base a motivazione illogica; il mancato esame delle doglianze relative
all’attendibilità della motivazione; la mancata derubricazione del tentato omicidio
nel reato di lesioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorso, pur denunziando violazione di legge e vizio di motivazione, non
critica la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del
convincimento del giudice, ma, postulando indimostrate carenze motivazionali
della sentenza impugnata, chiede la rilettura del quadro probatorio e il riesame
nel merito della vicenda processuale.
Tale riesame è inammissibile in sede di legittimità, quando la struttura
razionale della sentenza impugnata abbia, come nel caso in esame, una sua
chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel
rispetto delle regole della logica, alle risultanze processuali (cfr. Sez. 2,
08/02/2013 n. 9242, Reggio, Rv. 254988).
I presupposti sui cui si fondava l’assunto difensivo sopra riportati risultano
smentiti dalla sequenza dell’azione criminosa, culminata in un’aggressione
brutale, all’esito della quale la vittima era ferita in zone vitali del corpo mediante
una falce.
Con adeguato apparato argomentativo, la sentenza impugnata rappresenta
in modo dettagliato: l’assenza dei presupposti della legittima difesa reale o
putativa, tenuto conto del mancato possesso di mezzi di offesa da parte della
persona offesa e dei suoi figli; la non sussistenza dell’eccesso colposo, per
l’inesistenza di situazioni di fatto tali da far presupporre all’agente di trovarsi in

i

pericolo di subire un’offesa ingiusta; la piena attendibilità delle dichiarazioni dei
testi oculari, compatibili con tutte le ulteriori risultanze acquisite e l’irrilevanza
2

provvedimento impugnato, evidenziando quanto segue: la sussistenza della

delle dichiarazioni di altri testi sopraggiunti in un momento successivo allo
svolgimento dei fatti; la pericolosità del mezzo contundente adoperato, la parte
vitale verso la quale si indirizzava l’azione criminosa e la profondità della ferita
all’avambraccio, elementi idonei a riscontrare l’esistenza delVanimus necandi.
Su questi profili valutativi, la sottostante sentenza di merito si soffermava
analiticamente e con un percorso motivazionale immune da censure,
evidenziando che l’azione armata dell’imputato era certamente idonea a
provocare la morte della vittima. Né possono residuare dubbi sull’idoneità
dell’azione armata dell’imputato a provocare la morte della vittima.

circostanze di tempo e di luogo nelle quali maturava la sua determinazione
omicida, la Corte territoriale formulava un giudizio affermativo sull’idoneità degli
atti perpetrati dall’imputato a provocare la morte della vittima, nel valutare la
quale è necessario richiamare la giurisprudenza di legittimità consolidata,
secondo la quale: «L’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato
tentato, deve essere valutata con giudizio

ex ante,

tenendo conto delle

circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da
determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione
di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto» (Sez. 1, 04/03/2010
n. 27918, Resa, Rv. 248305).
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle
ammende, determinabile in 2.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Cosi deciso in Roma il 13 dicembre 2016.

Sulla scorta della ricostruzione dell’aggressione, correttamente correlata alle

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