Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19164 del 12/12/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19164 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

AZZONE Domenico, nato a Bari il 27 agosto 1966;

avverso l’ordinanza n. 43/2016 ID della Corte di appello di Bari del 9 febbraio 2017;

letti gli atti di causa, l’ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentita la requisitoria del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Gabriele MAZZOTTA, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 12/12/2017

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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 febbraio 2017, la Corte di appello di Bari ha rigettato
la domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata dal Azzone
Domenico in ragione del periodo di custodia cautelare da lui patito dal 25
novembre 1998 al 18 novembre 1999 in relazione ad un procedimento penale
nel quale egli era stato accusato dei reati di cui agli artt. 73 e 74 del dPR n.
309 del 1990, accusa dalla quale il medesimo è stato assolto con sentenza

La Corte, nel rigettare la richiesta di indennizzo, ha ricordato che essa era
stata una prima volta accolta dalla Corte pugliese con ordinanza del 22
novembre 2014; questa era stata tuttavia annullata dalla Corte di cassazione
con sentenza n. 16634 del 2016; in tale occasione questa suprema Corte
aveva segnalato, quale vizio della ordinanza impugnata, il fatto che in essa
non fosse stato compiutamente preso in considerazione, con giudizio ex ante,
il contenuto delle intercettazioni telefoniche riguardanti l’Azzone ed in
particolare il linguaggio in esse utilizzato oltre che la esistenza di contatti
personali fra l’attuale richiedente ed esponenti della malavita.
Nel rivalutare i predetti elementi la Corte barese ha osservato che
effettivamente numerose conversazioni intervenute fra il ricorrente ed
esponenti della malavita barese presentano un linguaggio allusivo e criptico
che ha ragionevolmente ingenerato il convincimento, anche tenuto conto dei
soggetti con cui le conversazioni si svolgevano, che esse avessero ad oggetto
traffici relativi a sostanze stupefacenti; né vale rilevare che talune di tali
conversazioni non sono state trascritte e quindi non sono state utilizzate nel
corso del dibattimento, essendo, sufficiente che il contenuto delle stesse sia
desumibile dai cosiddetti brogliacci redatti dalla Pg al momento in cui le
intercettazioni sono state eseguite.
Aggiunge la Corte territoriale, come elemento ulteriore e di per sé
decisivo ai fini del rigetto del ricorso, che a carico del Azzone sono risultate
anche frequentazioni personali definite “ambigue e sconsigliabili”.
Al riguardo la Corte, rilevato che il diritto all’indennizzo per ingiusta
detenzione non deriva in termini di automatismo dalla assoluzione, ricorda
come la giurisprudenza di legittimità abbia segnalato, quale elemento ostativo
al riconoscimento di tale indennizzo, la esistenza di frequentazioni che
depongano nel senso della partecipazione del soggetto a sodalizi criminosi.

divenuta definitiva in data 1 novembre 2011.

Avverso la predetta ordinanza della Corte territoriale ha interposto ricorso
per cassazione l’Azzone, segnalando la illegittimità della stessa per essere
essa fondata su di un dato probatorio, le intercettazioni telefoniche relative
alla posizione dell’Azzone, che non sono state oggetto di trascrizione in quanto
le relative bobine non erano state rinvenute; in tal senso il giudice avrebbe
posto a fondamento della sua decisione una prova del tutto inesistente; di
essa non solo non sarebbe possibile apprezzare il tenore contenutistico ma

Aggiunge il ricorrente che la stessa Corte ha ritenuto in più occasioni
illegittimo il diniego della riparazione per la ingiusta detenzione ove lo stesso
sia stato motivato sulla base di elementi ritenuti non utilizzabili in giudizio.
Anche con riferimento alla valenza ostativa delle frequentazioni che
avrebbe avuto l’Azzone, il ricorrente rileva come l’ordinanza non chiarisca né
se egli era a conoscenza della condotta di vita di tali soggetti da lui avvicinati
né in quali termini causali tali frequentazioni si siano collocate in ordine
all’insorgere dei gravi indizi di colpevolezza che avevano giustificato la misura
cautelare eseguita in danno del prevenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Va al proposito ricordato, per una migliore intelligenza della presente
decisione, che la Corte di cassazione, nell’annullare la precedente ordinanza
con la quale la Corte di appello di Bari aveva riconosciuto il diritto dell’Azzone
ad essere indennizzato per il periodo di detenzione cautelare da lui subito,
ebbe a rilevare che, in tale occasione, la Corte territoriale aveva omesso di
prendere in considerazione sia il contenuto delle intercettazioni telefoniche,
analiticamente riportato nel ricorso allora presentato dalla Amministrazione
delle Finanze, sia il particolare linguaggio in esse utilizzato anche dall’Azzone,
linguaggio definito “criptico” e, pertanto, indicativo di una condotta
obbiettivamente imprudente, astrattamente indicativa della conoscenza da
parte dell’odierno ricorrente degli illeciti traffici operati dai propri interlocutori
e, pertanto, tale da aver contribuito alla insorgenza della convinzione che egli
fosse coinvolto nei medesimi comportamenti di costoro, ciò anche in
considerazione della esistenza di intense frequentazioni fra l’Azzone ed
esponenti della malavita locale.

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neppure la possibilità di attribuire tale contenuto al ricorrente.

A fronte di tali rilievi la Corte barese, adita in sede di rinvio, ha rilevato
che dall’esame della documentazione richiamata nella predetta sentenza di
questa Corte era effettivamente risultato che la condotta dell’Azzone fosse
“obbiettivamente e gravemente imprudente” e perciò tale da far escludere il
suo diritto alla percezione dell’indennizzo richiesto.
In particolare la Corte territoriale ha valorizzato, come fattore tale da
elevare a fonte di sospetto il comportamento dell’attuale ricorrente, il tenore

nel mercato degli stupefacenti, conversazioni nel corso delle quali il
prevenuto, oltre che il suo interlocutore, hanno reiteratamente usato
espressioni volutamente criptiche e chiaramente finalizzate a nascondere il
reale oggetto di esse.
Peraltro la Corte territoriale ha, altresì, valorizzato la circostanza,
chiaramente riportata nella ordinanza con la quale fu disposta la originaria
misura cautelare a carico del medesimo, che l’Azzone avesse molteplici ed
intense frequentazioni personali con soggetti dediti a traffici illeciti,
circostanza questa, tanto più se considerata unitamente alla precedente,
idonea ad escludere il diritto dell’interessato al richiesto indennizzo.
Nell’impugnare la ordinanza reiettiva della sua istanza indennitaria
l’Azzone la ha censurata sotto il profilo del travisamento della prova per avere
la Corte di appello richiamato il contenuto di intercettazioni telefoniche che
non sono state né trascritte né depositate dal Pm nel corso del giudizio
celebrato a suo carico – ed all’esito del quale egli è stato assolto – in quanto le
relative bobine dei nastri magnetici, ove le stesse erano state registrate, non
sono state rinvenute; si tratterebbe, pertanto, di prove inesistenti e, come
tali, non utilizzabili, sia con riferimento alla dimostrazione del contenuto delle
conversazioni in tal modo captate sia in relazione alla attribuibilità di esse
all’Azzone.
Ritenuta, sulla base di quanto sopra esposto, la irrilevanza probatoria
delle intercettazioni telefoniche in questione al fine di dimostrare l’esistenza di
una condotta colposa in capo al ricorrente, causalmente significativa per la
adozione della misura cautelare disposta nei suoi confronti, la difesa del
ricorrente ha, altresì, rilevato come gli altri elementi valorizzati nella
ordinanza impugnata, cioè le frequentazioni con i soggetti dediti ai traffici
illeciti in materia di stupefacenti, non giustificassero il rigetto del ricorso da
quello presentato.
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delle conversazioni da questo intrattenute con soggetti pesantemente coinvolti

Ciò in quanto si tratterebbe di fattori di per sé neutri, ove non sia
chiarito se il ricorrente aveva la consapevolezza del profilo criminale delle
proprie frequentazioni ed in che modo queste abbiano avuto efficienza causale
sulla genesi e sulla protrazione della custodia cautelare.
Così compendiate le doglianze del ricorrente non hanno pregio.
Quanto alla prima è agevole ricordare come la valutazione che deve

per la custodia cautelare ingiustamente patita deve tenere conto degli
elementi esistenti agli atti al momento in cui la misura è stata disposta
attraverso un giudizio che, svolgendosi

ex ente,

esamini e prenda in

considerazione il quadro probatorio formatosi al momento in cui la misura è
stata disposta, non rilevando, pertanto, se non nei limiti in cui gli stessi
possano privare di rilevanza

ab origine

gli elementi di giudizio

precedentemente acquisiti, i dati istruttori assunti successivamente nel corso
del processo che ha portato alla affermazione della innocenza dell’imputato.
Diversamente ragionando, infatti, cioè ove si tenesse conto di tutti i dati
ricavabili dall’esito del giudizio di merito, il diritto all’indennizzo dovrebbe
conseguire ad ogni ipotesi di sentenza assolutoria che faccia seguito ad un
periodo di detenzione cautelare patita dall’istante, considerato che,
inevitabilmente, la pronunzia assolutoria è la conseguenza dell’avvenuta
smentita dei dati sui quali si era fondata la ordinanza cautelare.
Non ha significato, pertanto, sotto il dedotto profilo del travisamento
della prova, l’affermazione contenuta nel ricorso dell’Azzone, secondo la quale
i contenuti delle intercettazioni telefoniche, non essendo stati rinvenuti i nastri
magnetici sui quali gli stessi erano impressi, non erano stati trascritti e,
quindi, non erano entrati a far parte del materiale probatorio acquisito agli atti
del processo.
Come, infatti, riportato già nella ordinanza impugnata, il contenuto delle
intercettazioni sulla base delle quali è stata disposta la misura cautelare era
stato ampiamente riportato nel corpo della ordinanza stessa ed era stato
ricavato dal riassunto delle stesse compiuto nella immediatezza della
captazione dalle forze dell’ordine preposte al servizio investigativo.
Del tutto destituito di fondamento è, pertanto, il dato secondo il quale la
misura era stata disposta sulla base di una prova inesistente, essendo stata la
stessa, invece, disposta sulla base degli elementi indizianti ricavabili, prima
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essere compiuta ai fini dell’accoglimento o meno della richiesta di indennizzo

della formale trascrizione delle conversazioni captate, dai cosiddetti
“brogliacci” redatti nella immediatezza della intercettazione.
Né tale prassi è illegittima ai fini della adozione della misura, che
pertanto non può dirsi in una tale ipotesi illegittimamente emessa, ben
potendo la misura cautelare essere disposta sulla sola base delle risultanze
rivenienti da tali “brogliacci”, senza che sia necessaria la preventiva
trascrizione completa delle intercettazioni eseguite (Corte di cassazione,

idem

Sezione IV penale, 8

ottobre 2004, n. 39469).
Con specifico riferimento, infine sul punto, alla presente fattispecie rileva
il Collegio come questa Corte abbia in più occasioni affermato che nel
procedimento per la riparazione della ingiusta detenzione sono utilizzabili, per
dimostrare la sussistenza del dolo o della colpa dell’istante – fattori soggettivi
questi ostativi alla riparazione – i contenuti delle intercettazioni telefoniche
acquisiti nel corso delle indagini preliminari, ancorché successivamente non
trascritte, anche in ipotesi di smarrimento del supporto magnetico ove le
stesse erano impresse, potendo desumersi la prova del colloquio intercettato
ed il suo tenore dalla lettura del “brogliaccio” di cui all’art. 268, comma 2,
cod. proc. pen., all’uopo redatto onde procedere alla immediata
verbalizzazione delle operazioni di captazione (Corte di cassazione, Sezione IV
penale, 2 aprile 2014, n. 15132; idern Sezione IV penale, 14 dicembre 2011,
n. 46473).
Osserva, a questo punto, il Collegio come – una volta sgombrato il
campo dalla dedotta ambiguità derivante dal mancato rinvenimento dei
supporti magnetici sui quali erano impresse le intercettazioni sopra richiamate
– il contenuto ed il linguaggio volutamente criptico e meramente allusivo
utilizzato dall’attuale ricorrente nel corso delle conversazioni captate, fornisca
una chiave di lettura – rilevante ai fini della adeguatezza motivazionale della
ordinanza impugnata – della esistenza delle molteplici relazioni intercorse fra
l’Azzone ed i numerosi personaggi, indicati

nominatim

nella ordinanza

impugnata, coinvolti in reati in materia di sostanze stupefacenti.
A tale proposito giova ribadire il principio già in molteplici occasioni
affermato da questa Corte, secondo il quale la condizione ostativa al
riconoscimento del diritto all’indennizzo per la ingiusta detenzione, costituita
dall’avere il soggetto interessato dato causa con il proprio comportamento,
anche solo colposo, alla adozione della misura cautelare custodiale o,
comunque, alla carcerazione, più essere integrata da comportamenti
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Sezione I penale, 3 maggio 2010, n. 16781;

extraprocessuali tenuti da costui gravemente censurabili, quali possono
ritenersi le frequentazioni dal non chiaro contenuto con soggetti gravati da
specifici precedenti penali ovvero coinvolti in traffici illeciti (Corte di
cassazione, Sezione IV penale, 27 febbraio 2015, n. 8914; idem Sezione III
penale, 24 settembre 2014, n. 39199); del proprio convincimento al riguardo,
è stato ulteriormente chiarito in giurisprudenza, il giudice dei merito deve
dare motivazione che, se congrua ed adeguata, non è censurabile in sede di

22642).
Nel caso ora in esame la adeguatezza della motivazione in ordine alla,
quantomeno, grave imprudenza ravvisabile nel comportamento dell’Azzone in
relazione alle sue frequentazioni con soggetti dediti alla malavita – tali
pertanto da ingenerare o a corroborare la convinzione sulla sussistenza di
gravi indizi afferenti ad una sua compartecipazione ai traffici di costoro, è
stata desunta, in termini di condivisibile plausibilità, dalla Corte territoriale
proprio dal tenore, chiaramente elusivo e mistificatorio dei reali significati
delle espressioni usate, del contenuto delle conversazioni dal medesimo
intrattenute con tali soggetti; siffatta motivazione è, pertanto, non suscettibile
di essere efficacemente censurata di fronte a questa Corte, attesa la sua
completezza.
Il ricorso dell’Azzone deve, in definitiva, essere rigettato e, pertanto, il
ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., deve essere condannato al
pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2017
Il Consigliere estensore

Il ‘Pre\siden e

legittimità (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 9 maggio 2017, n.

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