Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19162 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19162 Anno 2018
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Failla Giuseppe, nato a Carini il 2/01/1947,
Cracchiolo Rosalia, nata a Carini il 15/04/1948,
avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo in data 7/12/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del sostituto
Procuratore generale, dott. Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo la
declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATI-0
1. Giuseppe Failla e Rosalia Cracchiolo avevano chiesto la revoca o,
comunque, la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione n. 76/2003
emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo in relazione
alla sentenza dello stesso Tribunale, sezione di Carini in data 23/05/2012, con la
quale essi erano stati condannati, tra l’altro, per il reato previsto dall’art. 44 del
d.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato due manufatti in assenza di
permesso di costruire e una terza opera edilizia in difformità; istanza che gli
stessi avevano fondato sull’avvenuto rilascio, da parte del comune di Carini, del
provvedimento di sanatoria n. 201/2013, emesso ai sensi dell’art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001. Con ordinanza in data 7/12/2016, il Tribunale di Palermo, quale
giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza in questione, rilevando la

Data Udienza: 08/11/2017

presenza di una pluralità di profili di illegittimità della concessione in sanatoria,
riconducibili alla presenza di una serie di condizioni volte a rendere le opere
compatibili con la destinazione urbanistica dell’area e con le relative prescrizioni
di legge.
2. Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione
gli stessi Failla e Cracchiolo, a mezzo del difensore fiduciario, avv. Giuseppe
Amato, deducendo, due distinti motivi di doglianza, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

1, lett. B), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge
processuale penale in relazione all’art. 2 cod. proc. pen., per avere il giudice
dell’esecuzione, nel qualificare come illegittimo il provvedimento di sanatoria,
esercitato una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi, valutando
soltanto alcuni degli atti del procedimento di sanatoria.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606, comma 1, lett.
E), cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione alle dichiarazioni rese dal teste Giambanco, su cui il giudice avrebbe
fondato la propria decisione pur dando atto delle difficoltà del teste di riferire
sulle circostanze di causa, nonché in relazione alla asserita caducazione
dell’ordine di demolizione, conseguente alla formazione del silenzio-assenso
sull’istanza di sanatoria del 14/03/2011.
3.

In data 5/10/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha

depositato in Cancelleria la propria requisitoria scritta con la quale ha chiesto la
declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DI RMO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. E’ pacifico, alla stregua del consolidato orientamento interpretativo seguito
da questa Corte, che il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di revoca
o di sospensione dell’ordine di demolizione fondata sulla richiesta di una
concessione in sanatoria, debba valutare la compatibilità tra la sanzione
amministrativa applicata con la condanna e i provvedimenti eventualmente
emessi dall’autorità o dalla giurisdizione amministrativa, disponendone
obbligatoriamente la revoca se sussistono determinazioni che si pongono in
insanabile contrasto con il disposto abbattimento del manufatto (Sez. 3, n.
37120 del 11/05/2005, dep. 13/10/2005, Morelli, Rv. 232173); o procedendo,
facoltativamente, alla sospensione del medesimo (Sez. 3, n. 24273 del
24/03/2010, dep. 24/06/2010, P.G. in proc. Petrone, Rv. 247791) ove possa
ragionevolmente presumersi, sulla base di elementi concreti, che tali
provvedimenti stiano per essere emessi in tempi brevi (Sez. 3, n. 42978 del

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2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 606, comma

17/10/2007, dep. 21/11/2007, Parisi, Rv. 238145), non essendo peraltro
sufficiente la mera possibilità di una loro adozione (Sez. 3, n. 23992 del
16/04/2004, dep. 26/05/2004, Cena, Rv. 228691) in tempi lontani e non
prevedibili (Sez. 3, n. 16686 del 5/03/2009, dep. 20/04/2009, Marano, Rv.
243463): ciò in quanto non è possibile rinviare a tempo indeterminato la tutela
degli interessi urbanistici che l’ordine di demolizione mira a reintegrare (Sez. 3,
n. 38997 del 26/09/2007, dep. 23/10/2007, Di Somma, Rv. 237815).
3. Parimenti consolidato è l’orientamento secondo il quale è illegittimo, e non

36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire
in sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi
abusivi realizzati o ancora, per quanto qui di interesse, subordinato
all’esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli
elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già
avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina
urbanistica (Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, dep. 18/05/2011, Montini e altro,
Rv. 250477; in termini sostanzialmente analoghi, nella giurisprudenza
successiva, ex plurimis Sez. 3, n. 51013 del 5/11/2015, dep. 29/12/2015,
Carratu’ e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, dep.
18/11/2014, Chisci e altro, Rv. 260973).
In questa prospettiva, deve ritenersi che avendo l’ordinanza impugnata dato
atto, in maniera specifica, della individuazione, in sede di concessione in
sanatoria, di una serie di interventi di modifica delle opere realizzate, consistenti
in demolizioni e riempimenti, il relativo provvedimento non può che essere
qualificato come illegittimo. A fronte di tale circostanza, pacificamente accertata
e non fatta oggetto di specifiche controdeduzioni da parte dei ricorrenti, non ha
alcun rilievo il fatto che la valutazione compiuta dal giudice dell’esecuzione non
abbia tenuto conto, almeno secondo la tesi difensiva, di alcuni atti del
procedimento, di cui peraltro i ricorrenti non hanno indicato la decisività. E per il
resto appare del tutto infondata, in quanto sfornita di qualunque base normativa,
la tesi difensiva secondo cui la semplice presentazione dell’istanza di sanatoria,
in mancanza di un pronunciamento formale da parte dell’amministrazione adita,
determinerebbe il perfezionarsi di un meccanismo di silenzio-rifiuto ai sensi
dell’art. 36, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, che subentrerebbe,
caducandolo, all’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna.
Tale regime giuridico, infatti, configurato dalla giurisprudenza amministrativa nel
caso di ordinanza di demolizione disposta dall’autorità amministrativa (cfr. ex
multis Cons. St., Sez. 4, n. 4594 del 2010 e n. 6097 del 2012), non opera,
invece, con riferimento all’ordine giudiziale, secondo quanto posto in luce in
precedenza (v. supra § 2), tanto è vero che la mera proposizione della domanda

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determina l’estinzione del reato edilizio ai sensi del combinato disposto degli artt.

di condono impone al giudice penale di verificare, unicamente, se ricorrano
eventualmente le condizioni, in tempi ragionevolmente contenuti, per un
accoglimento della relativa richiesta.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere,
pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria

616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in 2.000,00 euro.
5. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione
di princìpi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della
decisione in forma semplificata.

PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in
favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 8/11/2017

Il Carni iere stensore

Il Presidente

dell’inammissibilità medesima consegue per ciascun ricorrente, a norma dell’art.

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