Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19161 del 12/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19161 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CARDIGLIANO Maria Ester, nata a Casarano (Le) il 24 luglio 1977;

avverso la sentenza n. 189/10 del Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di
Casarano, del 23 febbraio 2010;

letti gli atti di causa, sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gioacchino IZZO,
il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per prescrizione del reato.

Data Udienza: 12/11/2014

RITENUTO IN FATTO
Cardagliano Maria Ester ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
proprio difensore di fiducia, avverso la sentenza, pronunziata in data 22
marzo 2010, ma le cui motivazioni sono state depositate solo in data 12
marzo 2013, con la quale il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di
Casarano, dichiarata la sua penale responsabilità in ordine al reato di cui
all’art. 659, comma 1, cod. pen., la ha condannata alla pena di giustizia, oltre

liquidarsi in separato giudizio, ed alla rifusione delle spese di giudizio
affrontate da queste ultime.
In particolare il Tribunale adito aveva rilevato che dalla istruttoria
dibattimentale era emerso che la Cardigliano – originariamente imputata
unitamente ad altri due suoi familiari risultati estranei ai fatti e, pertanto,
mandati assolti del giudice salentino – era solita sfamare presso la propria
abitazione taluni cani randagi che poi scorrazzavano per la pubblica via
creando disagio ai residenti della zona.
I testi sentiti avevano anche dichiarato che in passato c’erano stati degli
interventi del personale della Azienda sanitaria competente per territorio che
aveva invitato la Cardigliano, qualificatasi come proprietaria dei cani, a
limitare i disagi per vicini e passanti causati dalla presenza di numerosi cani
nelle vicinanze della abitazione di quella.
Come detto ha proposto ricorso per cassazione la imputata deducendo la
violazione di legge da parte del Tribunale, in particolare avendo questo
ritenuto sussistere la sua penale responsabilità ai sensi dell’art. 659 cod. pen.,
sebbene a carico della Cardigliano, che non è la proprietaria dei cani in
questione, non sussistesse alcun dovere di vigilanza sulle predette bestie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso così come proposto è fondato e deve essere, pertanto, accolto,
non risultando integrati, sulla base delle prove esaminate in giudizio, i profili
del reato contestato alla ricorrente.
Osserva, infatti, la Corte come l’art. 659 cod. pen. preveda al proprio
primo comma, fra l’altro, la censurabilità penale del comportamento di chi,
non impedendo strepiti di animali, disturbi le occupazioni od il riposo delle
persone.
Come si può agevolmente rilevare dalla analisi della norma indicata, sia
prendendo in considerazione la ipotesi ora contestata alla ricorrente che
esaminando le altre forme di manifestazione penalmente rilevante del
medesimo reato, esso è volto a tutelare l’ordine e la tranquillità pubblica dalla

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che al risarcimento del danno civile patito dalle costituite parti civili, da

aggressione, particolarmente diffusa ed insidiosa, che è ad essa mossa dalla
presenza di rilevanti fonti sonore.
Trattasi, pertanto, di un reato in relazione al quale non acquista rilevanza
penale qualsiasi forma di disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone,
essendo esso volto a reprimere quella particolare tipologia di molestia che
deriva dall’inquinamento acustico.
Attesa la specificità della forma di manifestazione del reato in questione,

penali, laddove le molestie siano arrecate per cause diverse dalla presenza di
immissioni sonore, sia pur cagionate nei vari modi descritti dalla disposizione
la cui violazione è stata in ipotesi contestata.
Nel caso di specie, alla luce di quanto accertato all’esito della istruttoria,
alla Cardigliano è attribuito il fatto di avere sfamato taluni cani randagi che,
una volta cibatisi, si allontanavano dalla abitazione della imputata, rimanendo,
verosimilmente, nelle vicinanze, in tal modo cagionando con la loro presenza,
disagi per gli abitanti delle strade viciniori.
Emerge, pertanto, che, al di là della formale contestazione, la quale
richiama il mancato impedimento degli strepiti di detti animali, il fatto
accertato a carico della prevenuta prescinde del tutto dalla intervenuta prova
della esistenza di tali strepiti, avendo il giudice del merito – verosimilmente
sulla base della erronea convinzione che la previsione del reato in questione
sia volta anche alla tutela della sicurezza pubblico – ritenuto la sussistenza
dell’illecito solo sulla base dell’accertamento della presenza di numerosi cani
randagi in un certo luogo, fattore questo, di per sé forse idoneo a mettere a
potenziale repentaglio la sicurezza pubblica, dato l’insito pericolo che la
presenza di numerosi cani randagi può determinare per la incolumità fisica dei
singoli, ma certamente non idoneo a integrare il reato contestato alla
Cardigliano, che, come si è detto impone, ai fini della sua ricorrenza, che la
molestia alla quiete pubblica sia conseguenza di rumori e non di altro.
Va d’altra parte osservato che seppure si volesse ritenere che, al di là
dell’effettivo raggiungimento della prova, potrebbe essere ragionevolmente
opinato che la presenza di un numero considerevole di cani randagi possa far
sì che gli stessi, privi di controllo, determinino con il loro abbaiare, la lesione
del bene tutelato dalla disposizione che si ritiene violata, dovrebbe essere
dimostrata l’esistenza in capo alla prevenuta del dovere giuridico di impedire
l’evento, posto che l’art. 659 cod. pen. non sanzione la condotta di chiunque
non impedendo gli strepiti degli animali, disturbi le occupazioni o il riposo
delle persone, ma solamente la condotta di chi, avendo il dovere giuridico di
farlo, non impedisca quanto sopra.

esso non può sussistere, in ossequio al principio di tassatività delle fattispecie

Tale dovere può discendere solo da un rapporto di diretta e
tendenzialmente stabile relazione con le bestie in questione, corrispondente,
se non ad un rapporto proprietario, quantomeno ad una relazione possessoria
o di detenzione, ma non certamente ad un vincolo di tipo assolutamente
precario quale può essere quello connesso alla sola somministrazione del cibo
a scopo lato sensu assistenziale.
Il Tribunale di Lecce ha presupposto l’esistenza di tale stabile relazione in

cure ha riscontrato che la condotta della Cardigliano si limitava alla
somministrazione del cibo alle bestie randagie che, una volta sfamate,
uscivano dalla disponibilità della prevenuta.
Né può ritenersi che vi sia altro dato da cui desumere il fatto che i cani in
questione appartenessero alla ricorrente, atteso che le dichiarazioni in tal
senso rese dai testi escussi fanno riferimento a quanto a sua volta dichiarato
dal personale della Azienda sanitaria; tali dichiarazioni, però, essendo de
relato, potrebbero essere utilizzabili nei soli limiti di cui al comma 3 dell’art.
195 cod. proc. pen., i cui estremi non risultano ricorrere nel caso in esame.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata perché il fatto
non sussiste.
La più ampia formula assolutoria adottata travolge, ai sensi dell’art. 574,
comma 4, cod. proc. pen., anche le statuizioni prese dal giudice di primo
grado in punto di condanna al risarcimento del danno civile e di regolamento
delle spese civili del giudizio di primo grado.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Revoca le statuizioni civili.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2014
Il Consigliere est nsore

Il Presidente

assenza di alcun elemento indicatore, posto che lo stesso giudice di prime

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