Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19161 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19161 Anno 2018
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Fonzo Domenico, nato a Napoli il 2/07/1954,
Nocera Lucia, nata a Napoli il 16/07/1955.
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli in data 27/07/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del sostituto
Procuratore generale, dott. Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo la declaratoria
di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 27/07/2016, il Tribunale di Napoli, quale
giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza con la quale Domenico Fonzo e
Lucia Nocera avevano chiesto la revoca o, comunque, la sospensione
dell’esecuzione dell’ordine di demolizione n. 76/2003 emesso dalla locale Procura
della Repubblica, fondando la propria istanza sull’avvenuto rilascio di un
provvedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994. Ciò
in quanto il relativo condono sarebbe stato concesso illegittimamente, essendo
stato superato il limite dei 750 m3 posto dalla menzionata disposizione, secondo
il giudice riferibile all’intero immobile, complessivamente considerato, e non già
alla singola unità abitativa.
2. Avverso il predetto provvedimento hanno personalmente proposto ricorso
per cassazione gli stessi Fonzo e Nocera, deducendo, con un unico motivo di

Data Udienza: 08/11/2017

doglianza, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di
motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen..
Secondo i ricorrenti, infatti, il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente fatto
riferimento, ai fini del computo dei limiti volumetrici previsti dalla normativa sul
condono, all’intero manufatto e non alla singola unità immobiliare, tenuto conto
che ciascuna di tali unità era stata attribuita in proprietà ad un soggetto diverso,
sicché avrebbe dovuto tenersi conto non dell’intero immobile, quanto piuttosto

3. In data 13/09/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha
depositato in Cancelleria la propria requisitoria scritta con la quale ha chiesto la
declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, ritenendo fondate le ragioni esposte dal
giudice dell’esecuzione, la cui cognizione potrebbe estendersi anche alla
legittimità del provvedimento amministrativo di condono.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Giova, preliminarmente, ricordare che successivamente alla decisione
penale la Pubblica amministrazione è libera di agire e di portare a termine il suo
procedimento: e tale attività non può essere ignorata dalla giurisdizione, che ha
l’obbligo di coordinare le proprie determinazioni con quelle assunte
dall’amministrazione o dai giudici amministrativi (Sez. 3, n. 1104 del
25/11/2004, dep. 19/01/2005, P.G. in proc. Calabrese ed altro, Rv. 230815).
Invero, la sanzione della demolizione del manufatto abusivo, prevista dall’art. 31
del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, in quanto sanzione amministrativa, è sottratta
alla regola del giudicato ed è riesaminabile in fase esecutiva (Sez. 3, n. 3456 del
21/11/2012, dep. 23/01/2013, Oliva, Rv. 254426; Sez. 3, n. 25212 del
18/01/2012, dep. 26/06/2012, Maffia, Rv. 253050), competendo al giudice
dell’esecuzione valutare la compatibilità dell’ordine di demolizione con i
provvedimenti eventualmente emessi dall’autorità o dalla giurisdizione
amministrativa, disponendone obbligatoriamente la revoca se sussistono
determinazioni che si pongono in insanabile contrasto con il disposto
abbattimento del manufatto (Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, dep.
13/10/2005, Morelli, Rv. 232173); o procedendo, facoltativamente, alla
sospensione del medesimo (Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, dep. 24/06/2010,
P.G. in proc. Petrone, Rv. 247791) ove possa ragionevolmente presumersi, sulla
base di elementi concreti, che tali provvedimenti stiano per essere emessi in
tempi brevi (Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007, dep. 21/11/2007, Parisi, Rv.
238145), non essendo peraltro sufficiente la mera possibilità di una loro
adozione (Sez. 3, n. 23992 del 16/04/2004, dep. 26/05/2004, Cena, Rv.
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della singola unità abitativa.

228691) in tempi lontani e non prevedibili (Sez. 3, n. 16686 del 5/03/2009, dep.
20/04/2009, Marano, Rv. 243463): ciò in quanto non è possibile rinviare a
tempo indeterminato la tutela degli interessi urbanistici che l’ordine di
demolizione mira a reintegrare (Sez. 3, n. 38997 del 26/09/2007, dep.
23/10/2007, Di Somma, Rv. 237815).
Pertanto, il giudice dell’esecuzione, a cui sia richiesto di revocare l’ordine di
demolizione di un manufatto abusivo in ragione di sopravvenuto provvedimento
di condono, ha il potere di sindacare detto atto concessorio, verificandone la

emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il
corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, dep.
18/11/2014, Chisci e altro, Rv. 260972)
3. Orbene, nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione ha correttamente
ritenuto, diversamente dal comune di Napoli, che non ricorressero le condizioni
per l’applicazione del condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del
1994.
Sul punto, osserva il Collegio che la legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante
«Misure di razionalizzazione delle finanza pubblica», nell’introdurre il secondo
condono edilizio e prevedendo l’applicabilità delle disposizioni di cui ai capi IV e V
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 come ulteriormente modificate dalla stessa
legge, alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, ha stabilito anche
(art. 39, comma 1), quale ulteriore condizione rispetto al limite temporale, che la
sanatoria potesse riguardare quegli immobili che non avessero comportato un
ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione
originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento
superiore a 750 m3, specificando ulteriormente che tali disposizioni trovavano
applicazione anche per le opere abusive realizzate entro il termine predetto
relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 m3 per singola richiesta di
concessione edilizia in sanatoria.
Nel caso in questione, peraltro, benché sia pacifico che le singole richieste di
condono fossero relative a porzioni di immobile inferiori alla predetta cubatura, le
stesse, considerate unitariamente, erano invece superiori a tale limite,
considerato che l’intera costruzione abusiva, per la cui realizzazione erano stati
condannati i due odierni ricorrenti, era costituita da tre piani fuori terra aventi
una superficie di 500 metri quadri per ciascun piano.
Ora, costituisce principio consolidato, in seno alla giurisprudenza di questa
Corte, che “non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la
richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l’unità immobiliare in plurimi
interventi edilizi, in quanto è illecito l’espediente di denunciare fittiziamente la
realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse

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legittimità sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua

risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso
funzionali, sì da costituire una costruzione unica” (così Sez. 3, n. 20420 del
8/04/2015, dep. 18/05/2015, Esposito, Rv. 263639; in termini sostanzialmente
analoghi v. anche Sez. 3, n. 12353 del 2/10/2013, Cantiello, Rv. 259292; Sez.
3, n. 33796 del 23/06/2005, dep. 22/09/2005, Brigante, Rv. 232481; Sez. 3, n.
20161 del 19/04/2005, Merra, Rv. 231643; Sez. 3, n. 16550 del 19/02/2002,
Zagaria, Rv. 223861; Sez. 4, n. 36794 del 24/01/2001, Murica, Rv. 220592;
Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Manda, Rv. 214280; Sez. 3, n. 1454 del

2/07/1998, dep. 7/10/1998, San Martino, Rv. 211856).
Si opina, da parte della difesa, che la richiesta era stata formulata da persone
fisiche diverse, sicché il relativo principio non sarebbe, nella specie, applicabile.
Tuttavia, deve osservarsi che secondo l’opinione espressa sia dalle pronunce di
questa Corte, sia dalla giurisprudenza amministrativa, l’opera abusiva va
identificata con riferimento alla unitarietà dell’immobile o del complesso
immobiliare, ove sia stato realizzato in esecuzione di un disegno unitario,
essendo irrilevante la suddivisione in più unità abitative, e non essendo
consentita la presentazione di distinte domande, ancorché da parte di soggetti
differenti, per aggirare il limite di volumetria normativamente previsto (Sez. 3,
n. 12353 del 2/10/2013, dep. 17/03/2014, Cantiello, Rv. 259292; in termini,
nella giurisprudenza amministrativa, Cons. St., Sez. 6, n. 4711 del 28/12/2012,
dep. 5/09/2012, Gialone e altri; Cons. St., Sez. 5, n. 1229 del 3/03/2001).
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha correttamente considerato
l’immobile nel suo complesso, tenuto conto che le singole unità immobiliari
facevano parte, pacificamente, del medesimo fabbricato per civile abitazione,
riconducibile ai medesimi soggetti (gli odierni ricorrenti autori dell’illecito) e a un
disegno costruttivo certamente unitario; sicché l’amministrazione comunale
avrebbe dovuto calcolare la volumetria abusivamente realizzata con riferimento
all’intero immobile e non già alle singole unità abitative. Ciò tanto più ove si
consideri che, secondo quanto puntualmente riportato dal provvedimento
impugnato, le richieste di condono erano state presentate, oltre che dagli stessi
ricorrenti, dal padre e dal figlio minorenne di Domenico Fonzo (da quest’ultimo
rappresentato nella sua qualità di esercente la potestà genitoriale). Ciò che ha
indotto il giudice dell’esecuzione a ritenere, in maniera niente affatto illogica, che
la presentazione di una richiesta di condono da parte di soggetti della cerchia
parentale degli autori dell’illecito fosse palesemente diretta ad aggirare il limite
di legge e che, pertanto, dovesse considerarsi, in ogni caso, come illegittima.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere,
pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
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25/11/1998, dep. 4/02/1999, Valio, Rv. 212382; Sez. 3, n. 10500 del

elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.
5. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione
di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della

PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in
favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 8/11/2017

Il Consig re estensore

Il Presidente

decisione in forma semplificata.

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