Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19160 del 05/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19160 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Cerbo Ugo Eros, nato a Catania, il 17.04.1964
Avverso la sentenza, in data 26.02.2013, della Corte di Appello di Catania, con la quale è stata
confermata integralmente la sentenza di primo grado e la condanna a carico del Cerbo per i
reati di falso e tentata truffa.
Sentita la relazione del Consigliere relatore Giovanni Diotallevi
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Massimo Galli, che ha
concluso con la richiesta di rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Cerbo Ugo Eros ricorre avverso la sentenza, in data 26.02.2013, della Corte di Appello di
Catania, con la quale è stata confermata la pronuncia del giudice di prime cure a carico del
Cerbo, per i reati di falso e tentata truffa ex art. 485 e 56-640 cod. pen.
Chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, il ricorrente deduce:

a) violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) per mancata applicazione dell’art. 50 cod.
pen., ovvero per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione

Data Udienza: 05/03/2014

A parere del ricorrente sussisterebbero i presupposti per annullare il provvedimento
impugnato, posto che dall’esame delle dichiarazioni della persona offesa, rese in sede
dibattimentale, risulterebbe il consenso presunto della stessa e, pertanto, non potrebbe
configurarsi il delitto di cui all’art. 640 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. La Corte d’Appello e, prima ancora, il giudice di primo grado, hanno correttamente
inquadrato la fattispecie imputata al Cerbo entro i confini dei delitti di falso e tentata truffa.
La censura secondo cui il fatto non potrebbe ritenersi sussistente in virtù del consenso
presunto della persona offesa ex art. 50 cod. pen. è destituita di fondamento; questa Corte ha
più volte stabilito che “Ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata (art. 485
cod. pen.), il consenso o l’acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma, non svolge
alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona
offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è
compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare
a sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento
sull’effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale.”
(Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 16328 del 10/03/2009).
Peraltro nel ricorso si prospetta una valutazione diversa degli elementi di prova assunti in fase
dibattimentale, che sono invece stati correttamente giudicati dal giudice di prime cure e
riproposti in secondo grado, con una valutazione esaustiva e priva di contraddizioni e vizi logici
(v. il richiamo alla deposizione della p.o. confermata dal teste Salerno v. pag. 3 della sentenza
d’appello).

3. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., l’inammissibilità del ricorso e la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende
Roma, i .03.2014

1. Il ricorso è infondato e va dichiarato inammissibile.

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