Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19155 del 22/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19155 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CICALESE Giuseppe, nato a Salerno il 31 luglio 1982;

avverso la sentenza n. 2350/16 della Corte di appello di Salerno del 21 novembre
2016;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata ed il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Ciro ANGELILLIS,
il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente, l’avv. Pierluigi VICIDOMINI, del foro di Salerno, il
quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

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Data Udienza: 22/11/2017

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 novembre 2016 la Corte di appello di Salerno ha
confermato la sentenza con la quale il precedente 27 settembre 2014 il
Tribunale di Salerno aveva dichiarato la penale responsabilità di Cicalese
Giuseppe, in ordine al reato di cui all’art. 4 della legge n. 401 del 1989, per
avere in assenza di apposita autorizzazione svolto attività organizzata al fine
di accettare o raccogliere per via telematica scommesse su eventi sportivi e lo

Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il
Cicalese deducendo quali argomenti di impugnazione, il fatto che non
sarebbero emersi elementi in ordine alla attribuibilità al medesimo della
condotta a lui ascritta, posto che la motivazione della sentenza impugnata
nulla dimostrerebbe al riguardo.
In secondo ordine il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte abbia
ritenuto non applicabile la speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen., adducendo la abitualità della condotta, senza tenere conto della
assoluta modestia del fatto addebitato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Osserva il Collegio – quanto al primo motivo di impugnazione, con il
quale, in termini invero piuttosto generici, il ricorrente ha lamentato che la
Corte di appello non avrebbe motivato in ordine alla prova della condotta
illecita a lui attribuita – che, diversamente da quanto sostenuto dal Cicalese, i
giudici del merito hanno accertato, sulla base degli univoci elementi indicati in
sentenza, il fatto che l’imputato non si era limitato a svolgere le funzioni di
intermediario fra i singoli scommettitori ed il concessionario

Bet Bull,

inoltrando a quest’ultimo le giocate fatte presso la sua ricevitoria, ma
provvedeva a prendere direttamente parte al rapporto contrattuale,
raccogliendo direttamente le scommesse, riscuotendo le relative poste e
pagando immediatamente le eventuali vincite; in tal modo certamente
realizzando, stante la pacifica assenza della prescritta autorizzazione, un
comportamento integrante gli estremi del reato a lui contestato.
Con riferimento al secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto,
non è ben chiaro sotto quale dei profili di impugnazione di cui all’art. 606 cod.
proc. pen., la mancata qualificazione del fatto contestato entro l’ambito della
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aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione.

particolare tenuità, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., rileva il Collegio, che,
al di là di una certa ambiguità terminologica da cui è caratterizzata la
sentenza impugnata, non è dato ravvisare nella decisione assunta dalla Corte
salernitana alcuna illegittimità.
Invero, va premesso che la testuale formulazione della sentenza, secondo
la quale non sarebbe consentito riconoscere nel fatto ascritto al Cicalese gli
elementi per ritenere lo stesso di particolare tenuità in quanto osterebbe a ciò

una qualche opacità concettuale.
Invero, premesso che, secondo la nozione scolastica, comunemente
accolta, si definisce reato abituale, o, più correttamente, a condotta reiterata,
l’illecito per la cui realizzazione è necessaria, affinché ne sia integrata la
rilevanza penale, la ripetizione nel tempo di più condotte della stessa specie,
sebbene intervallate, diversamente da quanto si verifica nel reato
permanente, da possibili fasi di stasi, rileva il Collegio come il reato contestato
al Cicalese non presenti i caratteri or ora descritti.
Infatti esso deve intendersi perfezionato attraverso la accettazione, in
forma organizzata, anche di una singola scommessa, non essendo necessaria
la reiterazione della condotta in questione o, comunque, la accettazione di una
pluralità di giocate.
In tal senso la espressione utilizzata dal giudice del gravame (“natura
abituale del … reato”) per escludere la possibilità di qualificare come di
particolare tenuità il fatto contestato, porrebbe in evidenza un vizio della
sentenza impugnata in quanto la ragione addotta a sostegno del rigetto del
motivo di gravame svolto dalla difesa del Cicalese sarebbe in contrasto con il
contenuto della disposizione incriminatrice che, invece, non porta a qualificare
come abituale il reato in questione.
Ritiene, tuttavia, questa Corte che, al di là della evidenziata imprecisione
terminologica in cui è incorsa la Corte di Salerno, ad essa non deve intendersi
corrispondere, ad una più attenta lettura della sentenza impugnata, una
conseguente erroneità tassonomica, posto che il reale significato della
espressione utilizzata non era riferibile all’inquadramento dogmatico della
figura di reato contestata quanto, invece, al fatto che, non essendo consistita
l’attività di raccolta delle scommesse svolta dal Cicalese nel compimento di
atti isolati o occasionalmente sporadici, ma essendo essa inserita in una serie
continua di condotte (come emerge dal fatto che plurime sono le ricevute
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la “natura abituale del reato contestato”, apparirebbe presentare primo visu

delle giocate sottoposte a sequestro contrassegnate con il codice fiscale
dell’imputato, sicuro indice di una pluralità di atti autonomamente costituenti
reato), essa è caratterizzata da quella abitualità del comportamento che,
secondo la disciplina di cui all’art. 131-bis cod. pen. è formalmente ostativa al
riconoscimento della particolare causa di non punibilità prevista dalla norma in
questione.
Il predicato della abitualità richiamato dalla Corte di Salerno, pertanto, va

derivanti conseguenze definitorie, ma al comportamento tenuto dal Cicalese,
con la conseguenza, correttamente tratta dalla Corte territoriale, che lo stesso
non poteva dirsi caratterizzato dalla particolare tenuità ai sensi e per gli effetti
di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Il ricorso proposto va, pertanto, rigettato ed il ricorrente va, condannato,
secondo la previsione dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese
processuali.

PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

considerato riferito non al reato, esulando quindi da esso le altrimenti

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