Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19154 del 29/01/2014
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19154 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIORGI ROBERTO N. IL 01/03/1985
ACONE ALESSIO N. IL 08/09/1977
avverso la sentenza n. 2293/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
14/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. )( <1.'24 cet--ez• /‘
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;fG, Cee Data Udienza: 29/01/2014 ACONE Alessio e GIORGI Roberto sono imputati del reato di cui agli artt.
81 cpv., 110, 6280. 3 n. 1,648 cp e art. 71. 2.10.1967 n. 895, perché in
concorso fra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso,
in tempi diversi, a bordo di un motociclo provento di furto in danno di
NARGI Vittoria (che ne ha fatto denuncia in data 7.6.2011 in Roma) si
avvicinavo alla autovettura condotta da FERRONI Matteo, sottraendo a
quest 'ultimo lo zaino che portava con sé, dopo averlo minacciato
pronunciando la frase "damme lo zaino, te sparo" e puntandogli alla nuca
una pistola modello Smith. & Wesson matr. 23K1398 con sei cartucce
inserite nel tamburo portata illegalmente, anche essa provento di furto in
danno di MANFRINI Adelano (denuncia in data 30.6.2011 in Roma); con la
recidiva per entrambi. Fatti accertati in Roma 1'1.10.2011.
A seguito di giudizio abbreviato, gli imputati, arrestati nella flagranza del
reato, con sentenza 10.1.2012 del Tribunale di Roma, venivano dichiarati
colpevoli dei reati loro ascritti e (ritenuta la continuazione fra i reati,
ritenuta la contestata recidiva solo nei confronti del GIORGI, applicata la
diminuente per il rito) rispettivamente condannati alla pena di anni quattro,
mesi quattro di reclusione (Acone) e 1.000,00 E di multa; di anni cinque di
reclusione e 1.400 E di multa (Giorgi). Entrambi gli imputati erano
condannati al pagamento delle spese processuali.
Gli imputati interponevano appello sostenendo che:
ACONE Alessio: a) era erronea qualificazione del fatto che doveva
essere derubricato in delitto tentato perché: 1) l'azione criminosa si era
svolta sotto il costante controllo della polizia giudiziaria; 2) manca un
apprezzabile lasso temporale tra il momento dell'apprensione della res e
quello dell'intervento della polizia; b) doveva essere riconosciuta
l'attenuante ex art. 62 n. 4 cp; c) doveva essere riconosciuta l'attenuante
ex art. 62 n. 6 cp, perché era stata comunque fatta un'offerta di carattere
risarcitorio; d) doveva essere riconosciuta l'attenuante ex art. 62 bis cp; e)
la pena irrogata era eccessiva.
GIORGI Roberto: a) fatto andava diversamente qualificato; b) la pena
era eccessiva
Con sentenza del 14.12.2012 la Corte d'Appello di Roma rigettava tutti i
motivi, con eccezione di quello relativo al trattamento sanzionatorio che
veniva accolto con conseguente riduzione della pena inflitta.
Avverso la decisione della Corte d'Appello ricorrono per Cassazione gli
imputati deducendo:
GIORGI:
§1.) violazione dell'art. 628 cp perché la Corte d'Appello, rigettando l'atto
di impugnazione ha mantenuto ferma la qualificazione originaria di rapina
consumata. La difesa sottolinea che per la contestualità tra la sottrazione
dello zaino da parte degli imputati e il susseguente arresto da parte della
polizia giudiziaria non può sostenersi che si sia verificata la "traditio" dello
zaino, che segna il momento consumativi del reato.
ACONE:
§1.) violazione dell'art. 628 cp perché la Corte d'Appello, rigettando l'atto
di impugnazione ha mantenuto ferma la qualificazione originaria di rapina
consumata. La difesa sottolinea che per la contestualità tra la sottrazione MOTIVI DELLA DECISIONE RITENUTO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti è infondato e va
rigettato, infatti il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa
sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve
tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se,
subito dopo il breve impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad
abbandonare la cosa sottratta per l'intervento dell'avente diritto o della forza
pubblica [Cass. sez. II 9.6.2010 n. 35006 in Ced Cass. Rv 248611; Cass.
sez. H 20.11.2012 n. 5663 in Ced Cass. Rv 254961].
La decisione impugnata, corretta in diritto, è coerente con le risultanze
processuali riferite in sentenza ove è riportata una ricostruzione della
dinamica della vicenda che non è stata oggetto di confutazione da parte
della difesa, la quale riconosce che gli imputati, dopo avere puntato la
pistola alla testa della vittima, gli hanno sottratto lo zainetto, così
conseguendo un possesso autonomo e completo, anche se di breve durata.
La difesa propone una rivalutazione del fatto sul piano giuridico
proponendo soluzioni giuridiche che possono essere ritenute del tutto
superate dalla costante giurisprudenza formatasi sul punto, pertanto il
motivo va rigettato.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso dello ACONE sono inammissibili. La
difesa sostiene che la Corte d'Appello avrebbe erroneamente applicato l'art.
62 n. 4 cp, sul presupposto che l'attenuante in parola non sarebbe
applicabile nel delitto di rapina. Invero l' argomentazione sviluppata dalla
Corte d'Appello, conforme al costante insegnamento di legittimità è più
articolato e diverso da quello rappresentato dalla difesa. I giudici di merito,
dopo avere rievocato che il delitto di rapina è reato plurioffensivo,
affermano che il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cp
deve essere ricollegata ad una complessiva valutazione del fatto/reato che dello zaino da parte degli imputati e il susseguente arresto da parte della
polizia giudiziaria non può sostenersi che si sia verificata la "traditio" dello
zaino, che segna il momento consumativi del reato.
§2.) violazione dell'art. 62 bis cp e vizio di motivazione, perché la Corte
d'Appello non ha riconosciuto le attenuanti generiche affermando che
l'imputato aveva avuto un atteggiamento scarsamente collaborativo, senza
adeguatamente considerare l'incensuratezza dell'imputato che, se pur
tardivamente, aveva compiuto il gesto di risarcire il danno chiedendo scusa
alle vittime.
§3.) violazione dell'art. 62 n. 4 cp, perché la Corte territoriale ha affermato
l'incompatibilità dell'attenuante invocata con la fattispecie del delitto di
rapina; la difesa sostiene che la decisione della Corte d'Appello stride con la
giurisprudenza di legittimità ove si afferma che l'attenuante del danno di
speciale tenuità può essere riconosciuta anche nell'ipotesi del delitto di
rapina dovendo il giudice di merito prendere in considerazione il
complessivo pregiudizio arrecato alla persona offesa.
Con motivi aggiunti depositati in data 5.11.2013, la difesa dell'imputato
lamenta l'erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione
con particolare riferimento alla determinazione della pena. La difesa
sostiene che il Tribunale ha errato nel determinare la sanzione e afferma che
anche la Corte d'Appello avrebbe errato prendendo in considerazione la
medesima pena base indicata dal Tribunale. P.Q.M. deve tenere conto, per il caso della rapina, non solo del danno squisitamente
patrimoniale patito dalla persona offesa, ma anche degli effetti dannosi
connessi alla lesione della persona nei cui confronti è stata esercitata la
violenza o la minaccia. La valutazione della Corte d'Appello della
complessiva offensività del delitto di rapina è corretta in diritto ed è
insindacabile nel merito [v. Cass. sez. H 20.1.2010 n. 19308 in Ced Cass.
Rv 247363]. Con riferimento alla attenuante di cui all'art. 62 bis cp, va
osservato che la decisione della Corte d'Appello è ancorata a valutazioni
riferibili ai principi fissati dall'art. 133 cp.
La Corte territoriale ha messo in evidenza circostanze di fatto (che non sono
state oggetto di specifica confutazione da parte della difesa) dimostrative del
ruolo dinamico dell'imputato che ha impugnato la pistola, carica e
funzionante puntandola alla testa della vittima. Si tratta di gesto che la
Corte d'Appello ha reputato molto grave e tale da superare l'aspetto della
"incensuratezza" dell'imputato. Si tratta di valutazione che rientra nei limiti
della ragionevolezza e della manifesta logicità: tale apprezzamento non è
suscettibile di considerazione nel merito.
Per quanto attiene ai motivi "nuovi di ricorso" proposti dalla difesa
dell'imputato IACONE, va osservato ancora quanto segue:
a) le censure inerenti la determinazione della pena non possono essere
prese in considerazione perché da un lato introducono un tema che non
è stato oggetto di trattazione con il ricorso principale, infatti in tema di
termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi
nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali
dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o
migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate,
ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti; ne consegue che
sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del
"petitum" dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere
giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda
allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non
tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione.
b) La doglianza è comunque errata in diritto. La Corte d'Appello,
accogliendo il motivo di gravame proposto dalla difesa ha riformulato la
decisione sulla entità della sanzione, stabilendo un autonomo calcolo di
essa basato su un pena per il reato base del tutto differente da quella
indicata dal Tribunale, procedendo quindi ad un'autonoma
rideterminazione degli aumenti di continuazione derivante dalla
commissione di due ricettazioni e di violazione della legge sulle armi.
La decisione rientra nell'ambito della cognizione devoluta alla Corte
territoriale attraverso l'atto di gravame, la pena è stata determinata dalla
Corte territoriale in modo del tutto autonomo rispetto al contenuto della
decisione del Tribunale, la decisione non viola alcuna disposizione di
legge, con la conseguenza che la censura è manifestamente infondata.
Le ulteriori doglianze , contenute nella memoria difensiva sono da
ricondursi ad aspetti argomentativi inerenti al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche, e sono sostanzialmente meramente reiterative di
quanto già riportato nel ricorso principale.
Per le suddette ragioni i ricorsi devono quindi essere rigettati e gli imputati
vanno condannati al pagamento delle spese processuali. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 29.1.2014