Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19154 del 22/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19154 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Kamberi Ledio, nato in Albania il 16/12/1993,

avverso la sentenza del 21/02/2017 della Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 sig. Kamberi Ledio ricorre per l’annullamento della sentenza del
21/02/2017 della Corte di appello di Roma che, rigettando la sua impugnazione,
ha confermato la condanna alla pena (principale) di tre anni di reclusione e
14.000,00 euro di multa inflitta, a seguito di giudizio abbreviato, dal G.i.p. del
Tribunale di quello stesso capoluogo per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen.,
73, d.P.R. n. 309 del 1990, perché, in concorso con altra persona, aveva
detenuto kg. 4,780 di sostanza stupefacente del tipo hashish e kg. 16,016 di

Data Udienza: 22/11/2017

sostanza stupefacente del tipo marijuana. Il fatto è contestato come commesso
in Roma 1’8/01/2016.
1.1.Con il primo motivo, deducendo la mancata conoscenza della lingua
italiana e lamentando l’omessa traduzione in lingua a lui nota della sentenza di
primo grado e del decreto di citazione a giudizio in appello, eccepisce, ai sensi
dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 143 cod.
proc. pen., 111 Cost., e 6, comma 3, Convenzione E.D.U..
1.2.Con il secondo motivo, lamentando l’eccessiva severità del trattamento

sufficiente, nel caso in esame, il richiamo al dato ponderale), eccepisce
l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione degli artt. 133 cod. pen., 73,
comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione mancante e
manifestamente illogica.

2.11 ricorso è inammissibile.

3.11 primo motivo è generico, manifestamente infondato e non sorretto da
alcun interesse a impugnare.
3.1.11 Collegio deve ribadire il costante indirizzo interpretativo di questa
Suprema Corte secondo il quale, in caso di impugnazione ritualmente proposta
dal difensore di fiducia di un imputato alloglotta, avente ad oggetto un
provvedimento di cui è stata omessa la traduzione, può configurarsi una lesione
del diritto di difesa, correlata all’attivazione personale dell’impugnazione da parte
dell’imputato, solo qualora quest’ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio
alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione (Sez. 3, n. 25276 del
06/04/2017, Money, Rv. 270491; Sez. 3, n. 22261 del 09/12/2016, dep. 2017,
Zaroual, Rv. 26998; Sez. 6, n. 22814 del 10/05/2016, Pannatier, Rv. 267941;
Sez. 6, n. 45457 del 29/09/2015, Astorga, Rv. 265521). Tale indirizzo, che
costituisce espressione di un principio generale in tema di interesse ad
impugnare, è stato applicato, diversamente da quanto sostenuto dal difensore,
anche a provvedimenti (comprese le sentenze) pronunciati in epoca successiva
alla modifica dell’art. 143 cod. proc. pen..
3.2.Nel caso di specie il ricorrente non ha dedotto alcun concreto pregiudizio
derivante dall’omessa traduzione della sentenza di primo grado che è stata
ritualmente impugnata dal difensore solo in punto di trattamento sanzionatorio
perché egli aveva ammesso le proprie responsabilità mediante lettera trasmessa
al pubblico ministero (comportamento che oggettivamente contrasta con la
dedotta ignoranza della lingua italiana).
3.3.Quanto all’omessa traduzione del decreto di citazione in appello, è
sufficiente richiamare il principio autorevolmente affermato da questa Suprema

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sanzionatorio e la mancanza di una motivazione adeguata (non essendo

Corte secondo il quale la mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta
del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall’ad.
143 cod. proc. pen., integra una nullità generale di tipo intermedio (artt. 178,
lett. c e 180 cod. proc. pen.) la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di
decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte (Sez. U, n. 12 del
31/05/2000, Rv. 216259).
3.4.Nel caso di specie l’imputato era regolarmente presente all’udienza e
non ha mai allegato alcun pregiudizio dalla mancata traduzione in lingua a lui

4.11 secondo motivo è proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nel
giudizio di legittimità.
4.1.Risulta insuperato l’insegnamento di Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979,
Pelosi, Rv. 142252, secondo il quale è da ritenere adempiuto l’obbligo della
motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l’elemento, tra
quelli di cui all’ad 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non
essendo tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o
sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del
caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (così,
in motivazione, anche Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche
Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).
4.2.Nel caso di specie, la Corte di appello giustifica la quantificazione della
pena base in corrispondenza del massimo edittale del reato di cui all’art. 73,
comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, così come operata dal primo giudice, con la
evidente gravità del reato stesso (avuto riguardo al rilevante dato ponderale),
ritenuta sintomatica della professionalità della condotta e della contiguità
dell’imputato con ambienti malavitosi.
4.3.Si tratta di motivazione non manifestamente illogica che rende
insindacabile in questa sede la decisione della Corte di appello. Peraltro, al di là
dell’insussistenza della circostanza aggravante di cui all’ad. 80, cpv., d.P.R. n.
309 del 1990, argomento che di per sé non contrasta affatto con l’applicazione
del massimo edittale del reato “semplice”, l’imputato non illustra quali ulteriori
indicatori di una possibile attenuazione della pena, diversi da quelli già valutati ai
fini della applicazione delle circostanze attenuanti generiche, siano stati devoluti
in sede di appello e, in tesi, negletti.

5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
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nota del decreto di citazione a giudizio in appello.

si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C
2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma, il 2t/11/2017.

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