Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19150 del 22/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19150 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ferrarini Lorella Tamara, nata a Castelnuovo Ne’ Monti (RE) il 30/11/1958,

avverso la sentenza del 06/07/2016 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Ciro Angelillis, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.La sig.ra Lorella Tamara Ferrarini ricorre per l’annullamento della sentenza
del 06/07/2016 della Corte di appello di Lecce che, in parziale riforma di quella
del 16/10/2014 pronunciata dal Gip del Tribunale di quello stesso capoluogo a
seguito di giudizio abbreviato e da lei impugnata, ha rideterminato la pena nella
minor misura di quattro mesi di arresto e 2.000,00 euro di ammenda,
confermando nel resto l’affermazione della sua penale responsabilità per il reato
di cui all’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 209 del 2003 perché, quale titolare
dell’omonima impresa esercente attività di autodemolizione, aveva effettuato

Data Udienza: 22/11/2017

attività di gestione di veicoli fuori uso e relativi componenti in violazione dell’art.
6, comma 2, lett. b), c) e d), d.lgs. n. 209, cit., e dei punti 4.6, 4.9, 5.1, lett. b),
c), d) ed e), 6.1, lett. a) e b), 8.6 e 8.7 dell’allegato I al detto decreto.
1.1.Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., l’irrilevanza penale della violazione dei punti 4.6, 4.9, 8.6 e 8.7
dell’allegato I al d.lgs. n. 209 del 2003, non richiamati dagli artt. 6, comma 2, e
13 stesso decreto. Le prescrizioni contestate come violate non riguardano il
trattamento dei veicoli fuori uso, come recita la rubrica dell’art. 6, norma

punti 4.6, 4.9, 8.6 e 8.7. In ogni caso, prosegue, la Corte di appello non ha
considerato che l’impianto era regolarmente munito di appositi contenitori stagni
per lo stoccaggio degli accumulatori, dotati di sistemi di raccolta di eventuali
liquidi che possono fuoriuscire dalle batterie e, sopratutto, della pavimentazione
in calcestruzzo impermeabile capace di resistere all’attacco chimico dei rifiuti
nelle zone del complesso in cui vengono posti i mezzi in attesa della pressatura o
quelli già oggetto di tale operazione. Tale pavimentazione è presente in quasi
tutta l’area produttiva ed in alcuni punti è sottostante ad uno strato di terriccio
sul quale è sorta vegetazione spontanea; essa impedisce l’infiltrazione nel
sottosuolo di qualsiasi tipo di rifiuto che possa sfuggire al controllo degli
operatori, ivi comprese le poche macchie d’olio rilevate in sede di sopralluogo e
quelli derivanti dalle parti di veicoli non accatastati.
1.2. Con il secondo motivo eccepisce l’illogicità della motivazione
relativamente alla violazione del punto 5, lett. b), c), d) ed f), dell’allegato I al
d.lgs. n. 209 del 2003 e dell’art. 6, comma 2, lett. c) e d), stesso decreto,
violazioni la cui insussistenza è stata oggetto di devoluzione con l’atto di appello.
In particolare, con riferimento al punto 5 dell’allegato I:
– gli agenti accertatori non hanno fatto riferimento alcuno alla presenza di
veicoli dotati di serbatoi di gas compresso (lett. b) o nei quali fossero presenti
residui di carburante (lett. d), che peraltro l’impresa aveva tutto l’interesse a
recuperare, visto il suo indubbio valore di mercato, o ancora di veicoli dotati di
filtro dell’olio (lett. f);
– lo smontaggio della centralina e la materiale separazione dei sensori
d’impatto (riciclabili e vendibili) neutralizzano l’esplosivo contenuto negli air bag
(lett. c);
– l’etichettatura dei componenti liquidi di cui alla lettera d) non costituisce
un obbligo penalmente sanzionato, come invece espressamente previsto per i
componenti e i materiali di cui all’allegato II, richiamato dall’art. 6, comma 2,
lett. c), essendo necessario e sufficiente che tali liquidi siano contenuti in
contenitori separati rispetto al veicolo da rottamare (e non tra loro), come
accertato nel caso di specie.
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quest’ultima che individua attività di gestione diverse da quelle di cui ai citati

Con riferimento alla contestata violazione dell’art. 6, lett. c), d.lgs. n. 209
del 2003, deduce che in nessuno dei veicoli presenti nell’impianto in attesa di
immediata rottamazione o già rottannati è stata rilevata la presenza di materiale
indicato dall’allegato II con conseguente impossibilità della loro etichettatura. Ciò
perché tali componenti vengono eliminati non appena l’auto da demolire
intraprende la “filiera” che porta alla sua demolizione.
Da ultimo, eccepisce l’insussistenza della violazione (residuale) dell’art. 6,
lett. d), d.lgs. n. 209 del 2003, considerato che, come sin qui dedotto, l’impresa

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è inammissibile perché generico, manifestamente infondato e
proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.

3.11 primo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi
consentiti nel giudizio di legittimità.
3.1.La tesi difensiva della penale irrilevanza della violazione delle
prescrizioni di cui ai punti 4.6, 4.9, 8.6 e 8.7 dell’allegato I del d.lgs. n. 209 del
2003 è manifestamente infondata.
3.2.L’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 209, cit., punisce con l’arresto da sei mesi
a due anni e con l’ammenda da 3.000 euro a 30.000 euro chiunque effettua
attività di gestione dei veicoli fuori uso e dei rifiuti costituiti dai relativi
componenti e materiali in violazione dell’art. 6, comma 2, stesso decreto. L’art.
6, comma 2, prescrive che le operazioni di trattamento (come definite dall’art. 3,
comma 1, lett. f) devono essere svolte in conformità, tra l’altro, alle pertinenti
prescrizioni dell’allegato I, nonché nel rispetto degli obblighi di cui alle lettere da
a) ad e) dello stesso comma secondo.

Ne consegue, stante il chiaro tenore

letterale della norma, che l’intero allegato I integra il precetto penale contenuto
nell’art. 6, comma 2, d.lgs. n 209 del 2003. Non si comprende, di conseguenza,
in base a quale interpretazione della norma l’imputata sostenga la rilevanza
meramente amministrativa della violazione delle prescrizioni di cui ai punti 4.6,
4.9, 8.6 e 8.7 del citato allegato I.
3.3.Le ulteriori deduzioni che supportano il primo motivo di ricorso sono
decisamente fattuali e del tutto incoerenti rispetto al vizio denunziato.
L’imputata, infatti, eccepisce l’erronea applicazione della norma incriminatrice ma
nel far ciò sottopone a questa Corte un fatto radicalmente diverso da quello
descritto in sentenza, dimenticando che l’eccezione di erronea applicazione
ovvero inosservanza della legge penale presuppone l’identità tra il fatto descritto
in sentenza e quello oggetto di eccezione, non la dissociazione tra l’uno e l’altro.

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dell’imputata ha ottemperato a tutti gli obblighi di legge.

4.11 secondo motivo è generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla
legge nel giudizio di legittimità.
4.1.Quanto al vizio di motivazione e ai limiti della sua deducibilità in
cassazione, devono essere ribaditi i principi più volte affermati da questa Corte
secondo i quali:
4.1.1.1’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione

un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali;
4.1.2.1’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile,

deve essere

evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese
le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in
modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794);
4.1.3.1a mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono
risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in
sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è
manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla
logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa
ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di
Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato
logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti
si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di
logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903);
4.1.4.è possibile estendere l’indagine di legittimità a «specifici atti del
processo» quando ne sia eccepito il travisamento, configurabile quando si
introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel
processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della
pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo
a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione
per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n.
5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del
03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499);
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essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di

4.1.5.il travisamento della prova, come detto, consiste in un errore
percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il
ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare,
consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come
inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la
motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del
ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità
tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo.

fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile.
Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m.
sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura
sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In
questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul
significato (sul documentato);
4.1.6.poiché il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando
la prova travisata, se l’errore è imputabile al giudice di primo grado la relativa
questione deve essere devoluta al giudice dell’appello, pena la sua preclusione
nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per
cassazione, in caso di c.d “doppia conforme”, il vizio di motivazione in cui
sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato
rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6,
n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei
motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori
non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio può essere eccepito in
sede di legittimità, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438).
4.1.1.Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato
per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato,
nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro
probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori
dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l’esame può avere ad oggetto
direttamente la prova solo quando se ne denunci il travisamento, purché l’atto
processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente
trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando
una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta
della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un
limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di
sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque,
ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli; d)
non è consentito, in caso di cd. “doppia conforme”, eccepire il travisamento della

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Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa

prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni
fattuali già devolute in appello sopratutto quando, come nel caso di specie, la
censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte
territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado.
4.1.2.Non è dunque possibile, in sede di legittimità, interloquire
direttamente con la Suprema Corte sul significato delle prove assunte in sede di
giudizio di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di
valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si

Giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito, nemmeno quando
venga eccepito il travisamento/significante della prova. Il travisamento non
costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento – come
detto – per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza
logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
4.2.L’intero secondo motivo è intriso di inammissibili richiami al contenuto
delle prove scrutinate in primo grado delle quali, peraltro, non viene nemmeno
eccepito il travisamento. Del resto esso costituisce, al pari del primo, una
riedizione letterale dell’atto di appello dal quale mutua, inevitabilmente,
l’inammissibile richiamo alle prove assunte dal primo Giudice senza alcun serio
confronto con le ragioni della sentenza impugnata. Di qui la genericità del
ricorso, quale ulteriore profilo della sua inammissibilità.
4.3.Come affermato da questa Corte, infatti, è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che
ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del
gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le
argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4,
n. 256 del 18/09/1997, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000,
Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634;
Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano).
4.4.L’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare cause di
estinzione del reato, quale la prescrizione, verificatesi successivamente alla
pronunzia della sentenza impugnata.
4.5.Alla detta declaratoria consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi
escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13
giugno 2000, n. 186), l’onere per la stessa delle spese del procedimento nonché
del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa
equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2000,00.

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sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma, il A/11/2017.

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