Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1915 del 20/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 1915 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORTESE PATRIZIO N. IL 01/01/1980
avverso l’ordinanza n. 142/2006 CORTE APPELLO di BARI, del
20/06/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette~le conclusioni del PG Dott. (It t e/
gie;
c,”-tíZ`IL LA
91-1-ek

ou

Uditi difensor Avv.;

111j~

Data Udienza: 20/12/2013

Z.
(

Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di
Bari, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 20.06.2011 rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Cortese
Patrizio per ingiusta detenzione in regime di
custodia in carcere dall’11/03/05 al 28/06/05 e in
regime di arresti domiciliari dal 28.06.05
all’8.07.05 perché sospettato del reato di concorso
in detenzione a fini di spaccio di sostanza
stupefacente, reato da cui era stato assolto con
sentenza dell’8.07.05 emessa dal Tribunale di Foggiasezione distaccata di Cerignola, divenuta
irrevocabile il 10.12.2005.
Cortese Patrizio,
a mezzo del suo difensore,
proponeva quindi ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Bari e
concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e)
cod.proc.pen., in particolare nella parte in cui la
Corte di appello rimproverava in termini di colpa
grave condotte insuscettibili di essere riguardate
alla stregua di macroscopica negligenza e
trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente,
non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del
riconoscimento del diritto all’equa riparazione.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Si rileva innanzitutto che, contrariamente da quanto
sostenuto dal Procuratore generale di questa Corte,
il ricorso non risulta presentato personalmente
dall’istante, bensì risulta sottoscritto dal
difensore.
Tanto premesso si osserva che il diritto a equa
riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato
dagli artt. 314 e ss. c.p.p., trova fondamento nella
condizione soggettiva della persona sottoposta a
detenzione immeritata e in tal senso ingiusta. Il
quadro sistematico di riferimento è un quadro di
diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c.
che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o
colpa un danno ingiusto ad altri. Il principio
regolatore è piuttosto quello della riparazione
legata ad eventi che producono il sorgere, quali

PI

conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia
distributiva, di responsabilità da atto lecito ( la
distinzione tra responsabilità per danno ingiusto ex
art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben
chiarita da Cass. SS.UU. civ.
11/6/2003 n. 9341). E’
ben fermo, in materia,
l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova
civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio
di diritto pubblico
e
comporti
perciò
il rafforzamento dei poteri officiosi del
giudice,
e’
tuttavia ispirato ai principi del
processo civile, con la conseguenza che l’istante
ha l’onere di provare i fatti costitutivi
della
domanda, la custodia cautelare subita e la
successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n.
23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il
sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di
una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
ragionevole e non congetturale
il giudice a
stabilire la misura della detenzione
(Cass. SSUU
13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè
in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni
Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent.
n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Bari, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
congrua verifica degli accertati elementi di
riferimento, la condotta del richiedente ostativa
all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In
primo luogo ha posto in rilievo che il Cortese era
alla guida dell’autovettura dalla quale scese Cianci
Vincenzo che fu trovato in possesso di 35 grammi di

(27

PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 20.12.2013

cocaina. Ha posto altresì in evidenza che allorquando
i Carabinieri intimarono l’alt all’autovettura, il
Cortese non solo non ottemperò all’ordine, ma si
diede alla fuga cercando di distanziare il veicolo
dei militari. Non essendo riuscito a seminarli, il
Cortese rallentò per far scendere il Cianci e riprese
la fuga ad alta velocità, riuscendo questa volta a
dileguarsi ed a sottrarsi al controllo.
Secondo la Corte di appello tale comportamento
integra gli estremi della colpa grave in chiaro
rapporto di efficienza causale con la genesi della
misura. La fuga infatti aveva creato l’apparenza del
coinvolgimento degli altri occupanti dell’autovettura
nella detenzione della sostanza stupefacente
rinvenuta addosso al Cianci,
Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo
proposto dall’odierno ricorrente non può essere
accolto.
Il
provvedimento
impugnato,
che
definisce
il
procedimento
per
la
riparazione
dell’ingiusta
detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte
che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare
adeguatamente
e
logicamente
il
suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
Il
legislatore
non
ha
infatti
riconosciuto
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
comportamento dell’indagato,
come appunto nella
fattispecie de qua, abbia dei
gravi
indotto
inindizi
errore il
giudice circa l’esistenza
di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA