Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19147 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19147 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Papa Emilio, nato il 16.5.1977
Corrao Rosalia, nata il 18.3.1968
avverso la sentenza del Tribunale di Palermo, del 13.10.2011.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale Roberto Aniello, il
quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
Udito, per la parte civile, l’avv. Luigi Spinosa, che si associa;
Udito il difensore, Avv.

Loredana Lo Cascío, il quale ha concluso

chiedendo l’accoglimento del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Palermo ha confermato la

Data Udienza: 16/04/2013

sentenza del Giudice di pace della medesima città del 31.5.2010, di
condanna degli imputati per il delitto di cui all’art. 633 c.p.
2. Ricorrono, assistiti da difensore, gli imputati lamentando violazione di
legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale confermato la condanna
in primo grado nonostante mancasse la condizione di procedibilità integrata
da una valida querela (non ritenendo tale quella presentata dalla parte
offesa, affetta da vizio di mente e come tale incapace) e comunque

necessità (atteso lo stato di indigenza degli imputati).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Sul primo profilo, in quanto – secondo il costante insegnamento di questa
Corte – è valida la querela presentata personalmente dal maggiorenne
infermo di mente e non dichiarato interdetto, in quanto la situazione
d’infermità, impeditiva dell’esercizio del diritto di querela implica l’incapacità
di autodeterminazione consapevole e volontaria. (In motivazione la Corte ha
precisato che sarebbe incongruo affermare che la volontà di un soggetto,
che pure ha compreso il disvalore sociale di atti da cui risulta danneggiato,
una volta espressa, debba soccombere di fronte all’astratta considerazione
che la sua volizione sia legalmente viziata) (Cass. sez. III, n. 12.5.2010, n.
27044).
Sul secondo profilo, per quanto segue.
Il primo dato di fatto dal quale partire è che gli imputati hanno occupato
stabilmente l’immobile avendolo trasformato nella loro residenza fissa.
Il secondo elemento che viene in rilievo è il dettato dell’art. 54 c.p., nella
parte in cui stabilisce che, per la configurabilità dello stato di necessità (la
cui prova spetta all’imputato che la invoca), occorre che il pericolo sia
“attuale”. Tale ultimo requisito presuppone che, nel momento in cui l’agente
agisce contra ius – al fine di evitare “un danno grave alla persona” – il
pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello
spazio (Cass. 3310/1981 riv 148374).
L’attualità del pericolo, per argumentum a contrario, esclude, in linea di
massima, tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da
una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo.

ricorressero i presupposti per l’applicazione della scriminante dello stato di

Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilità dello
stato di necessità, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato
legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del
requisito dell’attualità del pericolo con quello della permanenza, alterando
così il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale,
necessariamente va interpretata in senso stretto.
Invero, il pericolo non sarebbe più attuale (rectius: imminente) bensì

derivante dalla stretta ed immediata necessità “di salvare sè od altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona” – necessariamente è
destinata a prolungarsi nel tempo.
Va, poi, osservato che, venendo in rilievo il diritto di proprietà,
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 54 c.p. alla luce
dell’art. 42 Cost., non può che pervenire ad una nozione che concili
l’attualità del pericolo con l’esigenza di tutela del diritto di proprietà del
terzo che non può essere compresso in permanenza perchè, in caso
contrario, si verificherebbe, di fatto, un’ipotesi di esproprio senza indennizzo
o, comunque, un’alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di
ogni procedura legale o convenzionale: cfr. sul punto, Cass. 35580/2007 riv
237305; Cass. 7183/2008 riv 239447.
Quanto appena detto, porta, pertanto a ritenere che lo stato di necessità,
nella specifica e limitata ipotesi dell’occupazione di beni altrui, può essere
invocato solo per un pericolo attuale e transitorio non certo per sopperire
alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la
propria esigenza abitativa.
In conclusione, la doglianza deve ritenersi infondata in quanto una
condizione di indigenza non può legittimare, ai sensi dell’art. 54 c.p.,
un’occupazione permanente di un immobile per risolvere, in realtà, in modo
surrettizio, un’esigenza abitativa.
2. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione in solido delle spese sostenute dalla parte

permanente proprio perchè l’esigenza abitativa – ove non sia transeunte e

civile Raia Francesca in questo grado di giudizio che liquida in curo 2000
oltre iva e cpa

Così deliberato il 16.4.2013

Il qonsigliere estensore

(F brizio Di Marzio)

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