Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19145 del 16/12/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19145 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ESPOSITO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LISO VINCENZO N. IL 21/05/1975
avverso la sentenza n. 3231/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
17/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO;

Data Udienza: 16/12/2016

RILEVATO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bari, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Trani del 20/06/2012, rideterminava la pena
inflitta a Liso Vincenzo in anni uno e mesi nove di reclusione in ordine ai reati di
cui agli artt. 81 cod. pen., 9, comma secondo, L. n. 1423 del 1956, 337, 582 e
585 cod. pen. (in Andria il 22/01/2008).
Avverso questa sentenza il Liso, a mezzo del suo difensore, proponeva

rilevando quanto segue: il comportamento di mera resistenza passiva posto in
essere, non inquadrabile nel paradigma di cui all’art. 337 cod. pen.; l’esclusione
del contenuto precettivo della prescrizione dell’obbligo di “vivere onestamente e
rispettare le leggi”, in relazione alla contestazione di cui all’art. 9, comma
secondo, L. n. 1423 del 1956.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
In ordine al primo motivo di impugnazione, il ricorrente intende per lo più
provocare una nuova, non consentita, valutazione di merito delle circostanze di
fatto già vagliate dal Tribunale; ebbene, l’interpretazione delle risultanze
processuali era compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei
canoni logici che presiedono alle forme del ragionamento ed era data una
spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate, con
motivazione adeguata e congrua. Il ricorrente, infatti, prospetta un’erronea
valutazione dell’organo giudicante in ordine alla natura illecita della “resistenza
passiva”, mentre in sentenza si chiarisce con apparato argomentativo lineare e
coerente che nel caso in esame ricorreva una ipotesi di vera e propria violenza
esercitata nei confronti degli operanti di P.G..
In riferimento al secondo motivo di ricorso, occorre rilevare che questa
Corte ha già affermato il principio secondo cui la norma di cui al citato art. 9,
laddove appresta sanzione penale all’infrazione dell’obbligo, imposto dall’art. 5 L.
n. 1423 del 1956 di “vivere onestamente, di rispettare le leggi e non dare
ragione di sospetti”, non viola il principio di tassatività della fattispecie penale
nonostante la portata generale e l’assenza di un contenuto precettivo tipico e
dettagliato di tale obbligo, che, al fine di assicurare la collettività dal pericolo
della commissione di fatti illeciti, va correlato sistematicamente alla complessiva
disciplina delle misure di prevenzione (Sez. 1, 20/06/2012 n. 26161, Albini, Rv.
253090).
2

ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione e

Inoltre, con riferimento al precetto che impone il rispetto delle leggi, con
sentenza n. 282 del 2010 la Corte Costituzionale ha escluso l’indeterminatezza
della disposizione e ha individuato la sua funzione nell’imposizione al sorvegliato
speciale “di rispettare tutte le norme a contenuto precettivo, che impongano cioè
di tenere o non tenere una certa condotta, non soltanto le norme penali, dunque,
ma qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della già
accertata pericolosità sociale; né vale addurre che questo è un obbligo generale,

lato, non ne rende generico il contenuto e, dall’altro, conferma la sottolineata
esigenza di prescriverne il rispetto a persone nei cui confronti è stato formulato,
con le garanzie proprie della giurisdizione, il suddetto giudizio di grave
pericolosità sociale.
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle
ammende, determinabile in 2.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Cosi deciso in Roma il 16 dicembre 2016.

riguardante tutta la collettività, perché il carattere generale dell’obbligo, da un

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