Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19144 del 08/11/2017
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19144 Anno 2018
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RENOLDI CARLO
Data Udienza: 08/11/2017
SENTENZA
sul ricorso proposto da
AA,
BB
CC
avverso la sentenza del 22/09/2016 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.ssa
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei
ricorsi;
udito, per AA BB, l’avv. Vincenzo Arcangelo, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
udito, per CC, l’avv. Stefano Fusco, comparso in sostituzione dell’avv.
Filippo Tacchi, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. AA, BB e CC erano stati tratti davanti
al Tribunale di Lucca per rispondere del reato di cui agli artt. 44, comma 1, lett.
b) del d.p.r. n. 380 del 2001 per avere realizzato, il primo nella qualità di
proprietario e committente, il secondo di esecutore e il terzo di direttore dei
lavori, sei unità immobiliari in difformità rispetto al progetto approvato e in
assenza dei titoli autorizzatori, in quanto scaduti di validità; fatti accertati in
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Lucca in data 28/09/2011. All’esito del relativo giudizio, essi erano stati
condannati, con sentenza del Tribunale di Lucca in data 20/10/2015, alla pena di
venti giorni di arresto e di 10.500 euro di ammenda per ciascuno. Con lo steso
provvedimento la pena era stata sospesa subordinatamente all’esecuzione delle
opere indicate nell’accertamento di conformità in sanatoria e di cui alla SCIA
presentata nel gennaio 2014. Inoltre, era stata ordinata la demolizione delle
opere abusive nei termini indicati dal comune in sede di accertamento di
conformità.
parziale riforma della sentenza di primo grado, escluse, nei confronti del solo
CC, la subordinazione della sospensione condizionale della pena
all’esecuzione delle opere indicate nell’accertamento di conformità in sanatoria e
di cui alla SCIA presentata nel gennaio 2014.
3. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione i tre
imputati, a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari.
3.1. In particolare, l’avv. Vincenzo Arcangelo ha proposto impugnazione
nell’interesse di AA e BB, articolando il ricorso in quattro motivi di
doglianza, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3.1.1. Con il primo di essi, í ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione
della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione in relazione agli artt. 36 e 45 del d.P.R. n. 380 del 2001, 140
della L.R. Toscana n. 1 del 2015. In particolare, i ricorrenti censurano la mancata
applicazione della fattispecie estintiva connessa al rilascio dell’accertamento di
conformità, considerato che l’aumento di volumetria, pari a 1079 m 3 , sarebbe
stato comunque rispettoso delle previsioni urbanistiche, che individuavano il
limite nei 1080 m 3 .
3.1.2. Con il secondo motivo, la difesa di AA e BB censura, ex
art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea
applicazione della legge penale ed extrapenale in relazione agli artt. 44, comma
1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 con riferimento agli artt. 22, 32, 32, 33 e
34 del medesimo d.P.R. e agli artt. 132 e 133 della legge regionale della Toscana
n. 1 del 2005. Secondo i ricorrenti, le discrasie esistenti tra il fabbricato
realizzato e il progetto assentito non potrebbero essere classificate in termini di
difformità totale, tali non potendo essere considerata le difformità dei prospetti,
né quelle volumetriche, atteso che l’incremento volumetrico realizzato entro il
limite dei 1080 m 3 non consentirebbe di integrare né la difformità “parziale” di
cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, né a fortiori quella “totale”.
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2. Con sentenza emessa in data 22/09/2016, la Corte d’appello di Firenze, in
3.1.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione
della legge penale in relazione all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione
alla valutazione della prova. In particolare, si opina che la Corte di appello, pur
avendo riconosciuto che l’incremento volumetrico realizzato non superava i 1080
m 3 , avrebbe comunque ritenuto, contraddittoriamente, che l’accertamento di
conformità fosse illegittimo, pur essendo conforme agli strumenti urbanistici.
comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen., dell’inosservanza o dell’erronea
applicazione della legge penale in relazione all’art. 131-bis cod. pen. nonché
della mancanza della motivazione sul punto, atteso che la Corte di appello
avrebbe integralmente omesso di pronunciarsi sulla richiesta di concessione del
beneficio formulata in sede di atto di appello.
3.2. L’avv. Filippo Tacchi ha proposto ricorso nell’interesse di
CC, deducendo due distinti motivi di doglianza, di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc.
pen..
3.2.1. Con il primo motivo, la difesa di CC censura, ex art. 606, comma
1, lett. D) ed E), cod. proc. pen., la mancata assunzione di una prova decisiva
nonché il vizio di motivazione in relazione a tale profilo. In particolare, la Corte di
appello avrebbe ingiustificatamente rigettato la richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale finalizzata ad acquisire la testimonianza di soggetti
in grado di riferire sulla avvenuta rinuncia dell’incarico da parte del direttore dei
lavori.
3.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. B), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della
legge processuale penale in relazione agli artt. 521 e 531 cod. proc. pen.. La
condanna sarebbe stata inflitta in relazione ad alcuni interventi effettuati
successivamente all’esecuzione del primo sopralluogo, non contestati in
imputazione, con conseguente violazione del principio di necessaria correlazione
tra accusa e sentenza. In ogni caso, non vi sarebbe alcuna prova che le opere in
questione, peraltro marginali, siano riferibili a CC; e non essendo collocabili
nel tempo esse avrebbero dovuto essere collocate, per il principio del favor rei,
in prossimità della data del sopralluogo (avvenuto il 21/09/2011), sicché il reato
sarebbe stato prescritto già alla data della pronuncia della sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
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3.1.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 606,
2. Secondo l’ordine logico vanno affrontate, in primo luogo, le questioni che
attengono alla formazione della prova e all’affermazione di responsabilità degli
imputati.
2.1. La difesa di CC lamenta la mancata assunzione di una prova
decisiva da parte dei giudici di merito. La censura è manifestamente infondata.
In sede di primo gravame, l’imputato aveva chiesto la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale finalizzata all’esame di testi che avrebbero potuto
riferire in ordine alla avvenuta rinuncia all’incarico di direzione dei lavori da parte
violazioni in contestazione.
Sul punto, osserva il Collegio che l’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001 pone a
carico del direttore dei lavori un onere di vigilanza costante sulla corretta
esecuzione delle opere, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità
riscontrate e, ove necessario, di rinunzia all’incarico, essendo egli, oltre che il
referente del committente per gli aspetti di carattere tecnico, anche il garante
nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli
abilitativi all’esecuzione dei lavori (Sez. 3, n. 34602 del 17/06/2010, dep.
24/09/2010, Ponzio, Rv. 248328). Per tale motivo, la disposizione in questione
richiede che per esonerare da responsabilità il direttore dei lavori essa debba
avere luogo con determinate formalità e, in primo luogo, con comunicazione per
iscritto al comune competente (v. Sez. 3, n. 34879 del 23/06/2009, dep.
9/09/2009, Buracchi, Rv. 244927, secondo cui il direttore dei lavori non risponde
degli illeciti edilizi se presenta denuncia di detti illeciti ai competenti uffici
dell’Amministrazione comunale e se rinuncia all’incarico, osservando per
entrambi gli adempimenti l’obbligo della forma scritta).
Nulla di tutto ciò è stato, però, prospettato dall’imputato, sicché la prova per
testi, dedotta in sede di appello, non sarebbe stata in ogni caso sufficiente a
dimostrare la presenza di un’efficace rinuncia all’incarico, in realtà mai realizzata
con le prescritte cadenze formali. In ogni caso, rileva il Collegio che appare del
tutto conforme ai comuni canoni della logica l’affermazione della Corte di appello
secondo la quale il ruolo attivo dell’imputato doveva trarsi dalla circostanza che
l’istanza di annullamento in autotutela del provvedimento di decadenza del
permesso di costruire e di sospensione dei lavori fosse stata presentata dallo
studio dello stesso CC; affermazione alla quale il ricorso si limita a
controdedurre, in maniera del tutto generica, che non sarebbe stata dimostrata
la personale riferibilità dell’atto all’odierno imputato.
2.2. Venendo, quindi, alle censure relative all’affermazione di responsabilità
degli imputati, esse sono contenute nel secondo motivo dei rispettivi ricorsi.
2.2.1. Per quanto concerne AA e BB, manifestamente
infondate sono le deduzioni con le quali i ricorrenti argomentano in ordine alla
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di CC, al quale, conseguentemente, non sarebbe stato possibile ascrivere le
insussistenza della contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. B) del d.P.R.
n. 380 del 2001. In argomento, deve, infatti, osservarsi che la contestazione
concerne, accanto alla realizzazione di opere in difformità totale e in variazione
essenziale rispetto al progetto assentito, l’esecuzione delle stesse in assenza dei
titoli abilitativi, essendo questi ultimi scaduti, per decorrenza del termine
triennale di fine lavori, alla data del 12/10/2010; profilo rispetto alla quale i due
imputati non hanno dedotto alcunché. Ne consegue che, sotto tale assorbente
aspetto, la contravvenzione contestata deve ritenersi pienamente integrata.
2.2.2. Per quanto, poi, concerne la posizione di CC, nel secondo motivo
di ricorso si opina che non vi sarebbe alcuna prova del fatto che le opere in
contestazione siano allo stesso riferibili.
Anche a prescindere dalla assoluta genericità di tale deduzione, è appena il
caso di rilevare che, una volta esclusa, in assenza di una rinuncia formale, la
cessazione dall’incarico, le condotte esecutive dovevano comunque essere riferite
anche al direttore dei lavori, sia sul piano dei meccanismi di imputazione
oggettiva, fondati sulla posizione di garanzia ricoperta, sia su quello dei criteri di
imputazione soggettiva, atteso l’atteggiamento palesemente negligente mostrato
nell’esercizio dei poteri di controllo attribuitigli.
3. Venendo alle questioni attinenti alla prescrizione del reato, dedotte con il
ricorso del solo CC, si sostiene che gli interventi abusivi, non essendo
collocabili nel tempo, avrebbero dovuto essere collocati, per il principio del favor
rei, in prossimità della data del sopralluogo, sicché il reato sarebbe stato
prescritto già alla data della pronuncia della sentenza di appello.
In argomento giova, tuttavia, premettere che secondo l’orientamento
interpretativo accolto da questa Corte, il reato in contestazione ha natura
permanente, sicché la relativa prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione
della permanenza, la quale, a sua volta, deve essere collocata o nel momento in
cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori
abusivi (si pensi all’ordine di sospensione emanato dall’autorità comunale: Sez.
3, n. 14501 del 7/12/2016, dep. 24/03/2017, P.M. in proc. Rocchio e altri, Rv.
269325; oppure al decreto di sequestro preventivo), ovvero, se i lavori sono
proseguiti anche dopo l’accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della
emissione della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 29974 del 6/05/2014, dep.
9/07/2014, P.M. in proc. Sullo, Rv. 260498). Inoltre, ai fini della valutazione
della avvenuta ultimazione dei lavori, è necessario fare riferimento alla
conclusione dei lavori di rifinitura, interni ed esterni, del manufatto (Sez. 3, n.
48002 del 17/09/2014, dep. 20/11/2014, Surano, Rv. 261153).
In questa prospettiva, i giudici di appello hanno messo in evidenza che
ancora alla data del 6/04/2012, e dunque ben dopo l’accesso del 21/09/2011, le
opere edilizie non erano state ancora ultimate, atteso che, in tale frangente, gli
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operatori di polizia giudiziaria avevano riscontrato la avvenuta installazione di
canne fumarie, infissi, gronde nonché la realizzazione dell’intonaco interno ed
esterno dell’immobile; interventi che, con accertamento di fatto non scrutinabile
in questa sede, la sentenza ha collocato tra la data della notifica dell’ordine di
sospensione dei lavori (7/10/2011) e dell’ingiunzione di demolizione
(20/12/2011) e la data del nuovo sopralluogo (6/04/2012).
A tale motivazione, niente affatto illogica, la difesa dell’imputato non ha
opposto alcuna censura di merito, limitandosi ad affermare, del tutto
Da ultimo, deve rilevarsi l’infondatezza anche di quanto ulteriormente
dedotto dalla difesa di CC con il secondo motivo di ricorso in relazione
all’inosservanza o all’erronea applicazione della legge processuale penale con
riferimento agli artt. 521 cod. proc. pen.. Invero, la condanna non è stata inflitta
in relazione ad interventi eseguiti successivamente all’esecuzione del primo
sopralluogo, individuato, nel capo di imputazione, come momento
dell’accertamento del reato. Infatti, tali interventi, più sopra riepilogati, sono
stati valorizzati unicamente al fine di dimostrare, secondo quanto più sopra
rilevato, la mancata ultimazione dei lavori, rilevante ai fini della consumazione
del reato e del decorso del relativo termine di prescrizione.
4. Venendo, quindi, all’analisi del quarto motivo del ricorso proposti:Mario e
BB, relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità
di cui all’art. 131-bis cod. pen., occorre premettere che secondo la
giurisprudenza di questa Corte, onde poter addivenire ad una pronuncia
favorevole deve aversi riguardo sia alla consistenza dell’intervento abusivo – data
da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – sia alla destinazione
dell’immobile, all’incidenza sul carico urbanistico, all’eventuale contrasto con gli
strumenti urbanistici, al mancato rispetto di vincoli e alla conseguente violazione
di più disposizioni, all’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi
preesistenti, alla totale assenza di titolo abilitativo o al grado di difformità dallo
stesso, al rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi
dall’amministrazione competente, alle modalità di esecuzione dell’intervento
(Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, dep. 9/05/2016, Mancuso, Rv. 266586; Sez.
3, n. 47039 del 8/10/2015, dep. 27/11/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv.
265450).
In questa prospettiva, osserva il Collegio che né la richiesta formulata in sede
di appello, né la relativa censura in sede di giudizio di legittimità hanno
adeguatamente articolato le ragioni per le quali la realizzazione di un edificio in
assenza di titoli abilitativi, in quanto scaduti, avrebbe dovuto essere valutato
come di particolare tenuità alla luce della complessiva motivazione della
sentenza, che certamente non ha mostrato di ritenere di modesta entità l’offesa
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genericamente, la mancata determinazione della data degli abusi.
realizzata, giungendo all’applicazione di una pena non lontana dal minimo
soltanto in ragione della incensuratezza di BB e CC e
della lontananza temporale del precedenti di AA ; sicché deve
concludersi per l’evidente aspecificità del motivo.
5. Il primo e il terzo motivo del ricorso presentato da AA e BB,
con il quale i ricorrenti deducono la legittimità dell’accertamento di conformità
sul presupposto che il relativo provvedimento fosse conforme agli strumenti
urbanistici e censurano la contraddittorietà della sentenza di secondo grado sul
Come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, infatti,
l’accertamento di conformità n. 203/2013 era stato rilasciato subordinatamente
al ripristino della scala fino al terzo piano, con realizzazione del pianerottolo di
arrivo e del muro per la chiusura della soffitta. Dunque, la sentenza impugnata
ha condivisibilmente escluso il prodursi dell’effetto estintivo, atteso che secondo
il consolidato orientamento di questa Corte, è illegittimo e non determina
l’estinzione del reato edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45
del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in
sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi
abusivi realizzati o ancora, per quanto qui di interesse, subordinato
all’esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli
elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già
avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina
urbanistica (Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, dep. 18/05/2011, Montini e altro,
Rv. 250477; in termini sostanzialmente analoghi, nella giurisprudenza
successiva, ex plurimis Sez. 3, n. 51013 del 5/11/2015, dep. 29/12/2015,
Carratu’ e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, dep.
18/11/2014, Chisci e altro, Rv. 260973).
6. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere,
pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue per ciascun ricorrente, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equítativamente
fissata in 2.000,00 euro.
7. La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi per cassazione per manifesta
infondatezza dei motivi e la conseguente mancata instaurazione di un valido
rapporto di impugnazione, precludono la possibilità di dichiarare le cause di non
punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione
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punto, sono manifestamente infondati.
intervenuta nelle more del procedimento di legittimità
(ex plurimis Sez. 2, n.
28848 del 8/05/2013, dep. 8/07/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 8/11/2017