Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19135 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19135 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Caponio Francesco, nato il 8.10.1972
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce del 19.4.2011.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale Aldo Policastro, il
quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Udito il difensore, avv. Raffaele Errico, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, ha confermato la
sentenza di condanna dell’imputato Francesco Caponio pronunciata in primo
grado per il delitto di ricettazione.

Data Udienza: 05/04/2013

2. Ricorre l’imputato contestando:
– vizio di motivazione per avere la Corte di appello fondato la propria
decisione sulla mera mancanza di riscontro della giustificazione fornita
dall’imputato sul possesso dell’assegno rubato (essendo risultate non
corrispondenti a nessuna persona i dati identificativi del dante causa
dell’imputato, che ebbe a consegnargli l’assegno); tuttavia, la mancanza di
riscontro della giustificazione non potrebbe equipararsi, secondo la difesa,

l’elemento psicologico;
– violazione di legge per essere applicabile alla fattispecie non la
disposizione dell’art. 648 c.p. bensì quella dell’art. 712 c.p., essendo
l’imputato incorso in un incauto acquisto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, giacché la Corte territoriale ha correttamente,
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. II 11
giugno 2008 n.25756, Nardino; sez.II 27 febbraio 1997 n.2436, Savic),
desunto la prova dell’elemento soggettivo dall’omessa -o non attendibileindicazione da parte dell’imputato della provenienza della cosa ricevuta, la
quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede.
In tal modo, la Corte territoriale si è adeguata al costante orientamento
della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della
configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della
provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile
che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle
circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo
anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in
qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune
esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa
Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto,
e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la
consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla
mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa

alla mancanza di giustificazione quale elemento necessario a integrare

ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez.II 11 giugno
2008 n.25756, Nardino; sez.II 27 febbraio 1997 n.2436, Savic). Nella
sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima
acquisizione dell’assegno si pone come coerente e necessaria conseguenza
di un acquisto illecito.
Di talché nemmeno sussiste la pur lamentata violazione di legge con

fattispecie di cui all’art. 648 c.p.
La inammissibilità del ricorso preclude la dichiarazione di intervenuta
prescrizione, essendo quest’ultima maturata il giorno 11.6.2012, ossia in
data successiva alla pronuncia impugnata (risalente al 19.4.2011).
2. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende
della somma di C 1.000,00.

Roma, 5.4.2013

riguardo alla qualificazione del fatto, pienamente sussumibile nella

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