Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1913 del 20/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 1913 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMPO ORAZIO N. IL 28/01/1944
avverso l’ordinanza n. 45/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
19/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/spItite le conclusioni del PG Dott. 41 ov ANN hi AN6,@co

4
ei t4

29′ 444
tunto

‘Jditi,2f
c ,èT,D
is

i,A

tes. ilb44.0»

44« i ( N110 714.,42.4 91,44 14-4-444^5l..

4-2( A’ 4

,>1.4 e”- ‘1 ” •

Data Udienza: 20/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 19 settembre 2011 la Corte d’appello di Catania
rigettava l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata nell’interesse
di Orazio Campo.
Tratto in arresto in data 21 maggio 1997 in esecuzione di ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Catania, in quanto ritenuto gravemente indiziato del delitto

aver commesso il fatto dal Tribunale di Catania con sentenza del 20/12/2007.
Il giudice della riparazione riteneva che a determinare la detenzione sofferta del richiedente per quasi un anno, fino al 9/5/1998 – avesse contribuito
la condotta dello stesso connotata da colpa grave.
Premesso che «dalle indagini eseguite emergeva come l’istante intrattenesse
numerosi contatti di affari sia con Rapisarda Riccardo che con Patané Leonardo»,
attribuiva rilievo ostativo, nel senso predetto, alla domanda di indennizzo, alla
circostanza che «il Campo, pochi giorni prima della partenza del Rapisarda con il
suo carico di droga, sull’auto della moglie del Patanè per la Sicilia, abbia
procurato al Patanè una fornitura e che da quest’ultimo sia stato informato sia
dell’avvenuta partenza che della mancanza di notizie e, infine, dell’arresto del
Rapisarda». Valorizzava inoltre nello stesso senso gli «esiti delle intercettazioni
telefoniche, risultate addebitabili al Campo medesimo, nelle quali si fa
riferimento ad un commercio di autovetture tra i soggetti coinvolti nella indagine,
mentre, detta attività non trova riscontro alcuno nelle indagini, trattandosi di
linguaggio convenzionale utilizzato dagli indagati».

2. Avverso questa decisione il Campo propone, per mezzo del proprio
difensore, ricorso per cassazione, denunciando vizio di motivazione.
Censura, in sintesi, l’ordinanza impugnata, per avere – sostanzialmente
ricopiando il passaggio relativo alla sua posizione contenuto nell’ordinanza di
custodia cautelare – posto a fondamento della propria decisione circostanze
emergenti esclusivamente da alcune conversazioni intercettate ad esso attribuite
in fase di indagini ma tuttavia escluse dal tribunale con la sentenza di
assoluzione per essere rimasto accertato, a seguito di perizia, che
l’individuazione del Campo quale interlocutore di quelle conversazioni non era
corretta.

3. Il Ministero si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso.
Il P.G. ha concluso chiedendo, in accoglimento del ricorso, l’annullamento

di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90, il Campo era successivamente assolto per non

con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di

dolo o colpa grave.
Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve
manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ente, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del
provvedimento di custodia cautelare.
A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili,
relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita
della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero
anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che
ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo.
In tale operazione il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato
da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni
divergenti da quelle assunte dal giudice penale. Ad esempio, circostanze
oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive
dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di
sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna,
ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad
integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione.
È evidente però che, giammai, in sede di riparazione per ingiusta
detenzione, può essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al
diritto all’indennizzo, a condotte escluse o ritenute non sufficiente provate con la
sentenza di assoluzione (cfr. Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993 – dep. 19/05/1994,
Tinacci, Rv. 198491).
La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per
l’ingiusta detenzione rappresentata dall’aver dato causa, da parte del
richiedente, all’ingiusta detenzione, deve dunque concretarsi in comportamenti
che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possono essere di

verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con

tipo extra-processuale (comportamenti caratterizzati da spiccata leggerezza o
macroscopica trascuratezza tali da porre in essere un meccanismo di
imputazione) o di tipo processuale (come un’autoincolpazione, un silenzio
cosciente su di un alibi, età): e sugli elementi costitutivi della colpa grave così
determinati, il giudice è tenuto sia ad indicare gli specifici comportamenti
addebitabili all’interessato, sia a motivare in che modo tali comportamenti
abbiano inciso sull’evento detenzione.
E mette conto sottolineare che una condotta sinergica all’evento detenzione

testimoniali descrittive di tale condotta, purché ritualmente acquisite e ritenute
attendibili in relazione alla condotta descritta, a prescindere poi dall’esito del
vaglio del giudice della cognizione ai fini della idoneità della condotta
dell’imputato, così accertata, a legittimare una sentenza di condanna.
Posto, dunque, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo
per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che
abbiano “dato causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà o abbiano
“concorso a darvi causa” – sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto
causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà
personale – si deve innanzitutto rilevare che è sempre necessario che il giudice
della riparazione pervenga alla sua decisione di escludere il diritto in questione in
base a dati di fatto certi, cioè ad elementi “accertati o non negati” (Sez. U n. 43
del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv. 203636); tale valutazione,
quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non
definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche
nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come
elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla
fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato (v.
anche, in motivazione, Sez. 4, n. 10684 del 26/01/2010, Morra, non mass.).

3.2. Nel caso in esame, come si rileva dalla motivazione dell’impugnato
provvedimento, la Corte territoriale ha assertivamente dato per accertata dal
giudice della cognizione, dal punto di vista fattuale, la condotta quale descritta
nell’ordinanza impugnata, condotta che risulta invece, nella sentenza di
assoluzione esclusa, proprio perché – come dedotto dal ricorrente – risulta non
adeguatamente provata la riferibilità all’odierno ricorrente delle conversazioni
intercettate da cui ne è tratta dimostrazione.

4. L’ordinanza oggetto del ricorso deve essere pertanto annullata, con
rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Catania.

ben può essere desunta, in via di principio generale, anche da dichiarazioni

P.Q.M.

Annulla la impugnata ordinanza e rinvia alla Corte d’Appello di Catania per
nuovo esame.

Così deciso il 20/12/2013

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA