Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19120 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19120 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANGIANTINI SERGIO N. IL 13/09/1944
avverso l’ordinanza n. 21/2013 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del
30/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 18/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza dell’8/5/2013 il Gip di Pistoia emetteva decreto di
sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto, tra l’altro, cinque unità
immobiliari site nel comune di Monsummano Terne (PT) riconducibili a
MANGIANTINI SERGIO.
Il sequestro veniva disposto nell’ambito di un procedimento penale avente
ad oggetto l’esistenza di un’associazione a delinquere, composta dai legali
rappresentanti di diverse associazioni sportive, finalizzata alla emissione di

medesimi soggetti nella realizzazione dei reati fine di cui all’art. 8 Divo 74/2000
relativamente agli anni dal 2009 al 2012 e del reato di frode fiscale posta in
essere da taluni imprenditori avvalendosi delle suddette fatture.
Il Tribunale del riesame di Pistoia, in parziale accoglimento dell’appello
proposto in data 30/5/2013, disponeva il mantenimento del sequestro preventivo
su beni già in sequestro solo fino a concorrenza del valore dell’IVA evasa, come
rideterminato in euro 950.000.

2. Ricorre per Cassazione a mezzo del proprio difensore, MANGIANTINI
SERGIO, deducendo:
a. Erronea applicazione dell’articolo 321 del codice di procedura penale
adottato nei confronti dell’indagato per fatti a lui non attribuibili.
Violazione della norma di cui all’articolo 110 cod. pen. circa il concorso di
persone reato.
Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 8 I. 74/2000.
Il ricorrente afferma che il sequestro preventivo per equivalente emesso
dal gip in data 8/5/2013 si fonda esclusivamente sul reato tributario contestato,
di cui all’art. 8 D.Ivo 74/2000, e sulle conseguenze di tale reato.
Per tale motivo l’impugnazione riguarda principalmente il reato fine di cui
al capo b) della contestazione, mentre solo nel dibattimento si potrà accertare

fatture per operazioni inesistenti, in cui veniva ipotizzato anche il concorso dei

l’esistenza o meno dell’associazione a delinquere e la partecipazione del
ricorrente. Il reato associativo – si sostiene- è autonomo rispetto al o ai reati
fine.
Per questo viene impugnata l’ordinanza del 30.5.2013 del Tribunale del
riesame nel capo che riguarda il reato o i reati fine posti a fondamento del
sequestro preventivo.
Il ricorrente sostiene che il sequestro preventivo autorizzato dal gip e
confermato parzialmente dal tribunale del riesame di Brindisi riguarda
unicamente l’evasione Iva conseguente al reato tributario contestato e non

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anche l’eventuale evasione alle imposte dirette degli imprenditori destinatari
della fattura che, allo stato, non può essere determinata.
Ciò avrebbe indotto il tribunale a ridurre C 950.000 il mantenimento del
sequestro preventivo sui beni già in sequestro solo fino a concorrenza del valore
dell’Iva evasa. Ed è’ agevole rilevare che il Gip prima e il tribunale poi
determinano un importo dell’Iva evasa in modo indifferenziato per i partecipanti
alla contestata associazione.
Il ricorrente si duole perciò che il soggetto dell’emissione delle fatture
U.S. Monsummano bensì l’associazione contestata.
Si prescinde, infatti, dai reati commessi da questo o quel partecipante e si
assume che l’importo dell’IVA evasa sia uguale per tutti i partecipanti,
indipendentemente dal fatto che l’uno sia autore -da solo o in concorso- del
singolo reato fine.
Il ricorrente richiama il dettato dell’art. 8 del decreto legislativo 74 del
2000 ricordando che l’azione consiste nell’emettere o rilasciare fatture per
operazioni inesistenti. L’azione, in altri termini, non è prevista dal legislatore a
schema libero, ma come formale comportamento di emissione o rilascio di
fatture relative a operazioni inesistenti. La norma – si prosegue- incrimina solo
colui che emette la fattura e l’evento è costituito dall’emissione della fattura
relativo ad operazioni inesistenti, mentre il fine di consentire a terzi l’evasione di
imposta costituisce il dolo specifico necessario per la punibilità.
Se è così, dunque, l’odierno ricorrente sostiene di dover rispondere solo
dei reati da lui commessi consistenti dell’emissione o rilascio di fatture e saranno
punibili a titolo di concorso coloro che hanno concorso nel singolo reato di
emissione (ad esempio professionisti, funzionari, procacciatori e o intermediari).
Nel provvedimento impugnato -si duole il ricorrente- viene richiamata la
pronuncia numero 13562/2012 di questa Suprema Corte, la quale afferma che il
sequestro per equivalente, avendo natura provvisoria, può interessare ciascuno
dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, in applicazione del

sembra essere non già il responsabile dell’associazione sportiva dilettantistica

principio solidaristico che informa la disciplina del concorso del reato. Tuttavia
rileva che il principio di solidarietà riguarda tutti i concorrenti nel reato fine, non
anche coloro che hanno commesso reati diversi ancorché si ritenga facenti parte
della stessa associazione. Questi, infatti, potrebbero essere associati, ma non
sono concorrenti nel reato fine.
Viene evidenziato come, dal quadro sinottico riportato nell’ordinanza del
Gip, risulti che Mangiantini Sergio, quale legale rappresentante della U.S.
Monsummanese, avrebbe emesso nel 2009 quattro fatture, nel 2010 sei fatture,
nel 2011 sette fatture, nel 2012 sette fatture, relative ad operazioni inesistenti.

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Va considerato -viene ricordato- che ai sensi dell’articolo 8 co. 2 le fatture
emesse nello stesso anno debbono considerarsi come reato unico.
Trattandosi di prestazioni pubblicitarie effettuate da un’associazione
sportiva dilettantistica il difensore del ricorrente fa presente che il Mangiantini ha
provveduto al tempestivo versamento dell’IVA nella misura ridotta del 50%
rispetto alla tariffa normale in base alla legge 398 del 1991. Conseguentemente,
se l’associazione sportiva in questione aveva diritto alla riduzione, l’odierno
ricorrente ha provveduto all’integrale versamento dell’IVA e pertanto non vi
questione non aveva diritto all’agevolazione Iva, sarebbe comunque stata
versata in misura parziale e cioè al 10% anziché al 20%. In entrambe le ipotesi
-si sostiene- il criterio adottato dall’ordinanza impugnata parrebbe illegittimo, in
quanto omette di calcolare l’importo versato dall’indagato.
Il ricorrente si duole che se nelle associazioni parmensi facenti capo al
Chiesa l’IVA non è stata versata nemmeno nella misura ridotta non si vede come
tale sottrazione possa riguardare l’odierno ricorrente al quale si viene ad
imputare una sottrazione dell/va nella misura del 30% nell’anno 2009, 2010 e
2011 e del 31,5% nell’anno 2012. Del resto riesce difficile capire – secondo lo
stesso – come egli possa essere ritenuto responsabile di fatti ai quali non ha
partecipato e dei quali non ha neppure avuto conoscenza.
Vengono richiamate le pagg. 43 e 45 dell’ordinanza oggetto del riesame,
da cui dovrebbe rilevarsi l’assoluta autonomia gestionale delle associazioni
facenti capo ai due gruppi, con l’ulteriore affermazione che ciascuno non entrava
nello specifico delle singole fatture emesse dall’altro.
Viene evidenziato poi come, anche dal punto di vista contabile, le
associazioni monsummanesi erano nettamente distinte da quelle dello Chiesa.
Da tutto ciò emerge che l’indagato oggi ricorrente non aveva modo di
conoscere l’operato di altri partecipanti all’associazione ipotizzata tanto meno ai
partecipanti gestiti in modo esclusivo e segreto dallo Chiesa.

sarebbe stata alcuna sottrazione. Ove si ritenga che l’associazione sportiva in

L’errore -secondo il ricorrente- sarebbe quello di considerare tutti i reati
fine con un unicum, indipendentemente dal fatto che siano stati commessi da
questo o quel soggetto. Ed allora il soggetto dell’emissione diverrebbe la
fantomatica associazione con violazione dei principi dell’autonomia tra reato
associativo e reato fine e con violazione delle norme che disciplinano il concorso
di persone nel singolo reato fine.
Sul punto viene richiamata in ricorso la giurisprudenza di questa Suprema
Corte (in particolare sez. 4 30966/2007, 35120/2007 numero 237290) che
affermano che, in caso di pluralità di indagati, il sequestro preventivo funzionale
alla confisca per equivalente non può eccedere per ciascuno dei concorrenti la

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misura della quota di prezzo o profitto del reato a lui attribuibile qualora tale
quota risulti chiaramente individuabile. Laddove ciò non sia possibile il sequestro
preventivo può essere adottato per l’intero importo del prezzo del profitto nei
confronti di ciascuno di concorrenti in vista dell’eventuale futura confisca,
destinata quest’ultima ad operare in termini differenziati senza duplicazioni o
maggiorazione dell’importo da confiscare.

Chiede pertanto l’annullamento con rinvio al Tribunale di Pistoia

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi meglio specificati in premessa sono infondati e pertanto il
proposto ricorso va rigettato.

2.

L’art. 325 cod. proc. pen. prevede, com’è noto, che contro le

ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione
possa essere proposto solo per violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli
“errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento
o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692;
conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur
consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei

dell’ordinanza impugnata

requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo
all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non
aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni
ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di
riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità
amministrative,).

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Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a
mancare un elemento essenziale dell’atto.

3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame non si
sia in presenza di un deficit motivazionale tale da configurare l’errata
applicazione di norme di diritto.
Come si evince dal provvedimento impugnato, le risultanze degli atti di
decreto impugnato hanno consentito di ritenere sussistente il fumus in ordine al
reato contestato, sia con riferimento all’associazione per delinquere che al reato
di cui all’art. 8 D.Ivo 74/2000.
In particolare vengono ricordate nel provvedimento impugnato le
dichiarazioni rese da Paolo Chiesa con riguardo al “sistema” instaurato tra le
varie associazioni (cfr. pagg. 38 e ss. del decreto), nonché il ruolo in esso svolto
dal odierno ricorrente quale stretto collaboratore del Pasqui con il quale
partecipava attivamente alle suddette attività non solo con riguardo alle
associazioni di cui egli è legale rappresentante, ma anche in relazione a quelle
che fanno capo agli altri coindagati.
Risulta pertanto infondato il profilo di doglianza che vorrebbe parcellizzata
la responsabilità del Mangiantini rispetto a quella dei concorrenti.
Il Tribunale del riesame di Pistoia ricorda che la partecipazione
dell’odierno ricorrente all’intera attività ha trovato riscontro nel contenuto delle
intercettazioni telefoniche e ambientali, nella documentazione acquisita (false
fatture emesse dalle società) e negli accertamenti bancari condotti dalla Guardia
di Finanza (accertamenti sui conti intestati alle società che hanno evidenziato
tutti i versamenti e i prelievi collegati alle false fatture emesse).
4. Va ricordato – come viene posto in evidenza nel provvedimento

indagine compiuti dalla Guardia di Finanza e posti dal GIP a fondamento del

impugnato- che VIVA sottratta al fisco costituisce il profitto del reato (sez. 3 n.
25890/2010; Sez. Unite 38691/2009) e che che in tema di reati tributari, il
sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere
disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato. (sez. 3, n.
23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha
precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all’art.
322 ter cod. pen. dalla I. n. 190 del 2012; conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010,
Bellonzi e altri, rv. 248618; sez. 3 n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058).
Il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall’art. 1,
comma 143, della legge n. 244 del 2007 va riferito all’ammontare dell’imposta

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i

evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente
derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di
profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla
sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente
beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi
conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in
seguito all’accertamento del debito tributario (così questa sez. 3, 23 ottobre
2012, n. 45849).
richiamata sul principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel
reato (sent. 13562/2012) avendo il sequestro natura provvisoria e potendosi
solo all’esito del processo verificare in concreto quale sia il profitto che ciascuno
ha conseguito nell’ambito dell’attività delittuosa posta in essere.
Come ricorda il tribunale nel provvedimento impugnato il reato contestato
al Mangiantini non è quello di frode fiscale bensì il diverso delitto di emissione di
false fatture, il quale è certo prodromico funzionale all’evasione fiscale da parte
di terzi, ma da esso è distinto (e rispetto al quale, ai sensi dell’art. 9, non è
ipotizzabile il concorso di colui che commette reato di cui all’art. 8). Ai fini
dell’integrazione del reato in parola pertanto è dunque irrilevante che le
associazioni sportive dell’indagato beneficiassero o meno del regime fiscale
agevolato previsto dalla normativa richiamata dalla difesa.
5. Corretto appare il computo che ha portato il tribunale del riesame ad

indicare in via cautelativa in euro 950.000 l’importo per il quale ha ridotto il
sequestro in essere.
Va peraltro ricordato che in tema di misure cautelari reali, il tribunale del
riesame che proceda alla conferma del sequestro preventivo finalizzato alla
confisca per equivalente, non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di
proporzionalità, l’esatta corrispondenza tra profitto del reato e

“quantum”

sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non

Nel caso all’odierno esame trova specifica applicazione la giurisprudenza

esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito (sez. 3, n.
39091 del 23.4.2013, Cianfrone, rv. 257284).
Ne consegue che, laddove la valutazione del giudice risponda a tali criteri,
essa è insindacabile in sede di legittimità. Il provvedimento del tribunale del
riesame che conferma il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente può essere, infatti, ritenuto illegittimo nel solo caso in cui non
contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati; valutazione
necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il
credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo

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*

consentito differire l’adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca

(ex multis, sez. 3, 7 ottobre 2010, n. 41731).

6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 18 marzo 2014.

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