Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19119 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19119 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAMMOLITI VINCENZO N. IL 27/04/1942
avverso l’ordinanza n. 13/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 08/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
leoelsentite le conclusioni del PG Dott. Fted.0 Feeza,Ito

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Data Udienza: 18/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza dell’8.5.2012 dep. il 16.5.2012 la Corte d’Appello di Reggio
Calabria ha rigettato ex artt. 314 e 315 cod. proc. pen. la domanda di riparazione
per ingiusta detenzione avanzata da Mammoliti Vincenzo.
Si perveniva a tale provvedimento dopo che, sull’appello proposto dal P.G.
presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza 46865/11 la IV sezione di
questa Corte aveva annullato con rinvio l’ordinanza 9/09 resa dalla medesima Corte

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, era
stato condannato al pagamento in favore dell’istante della complessiva somma di
euro 215.775,30 con riferimento alla detenzione patita nel procedimento penale per
concorso morale nell’omicidio del Barone Cordopatri e nel tentato omicidio della di
lui sorella, avvenuto il 10.7.1991.
Mammoliti Vincenzo era stato sottoposto a cautela in prossimità della fine
della pena (previsto per il 12.9.2002) che stava scontando all’esito della condanna
per associazione mafiosa ed estorsione proprio ai danni del Barone Cordopatri
inflittagli nell’ambito della c.d. operazione “Pace tra gli ulivi”.
In quel processo il figlio Francesco aveva, invece, riportato la condanna
all’ergastolo per l’omicidio Cordopatri e il tentato omicidio della sorella.
Con il nuovo titolo cautelare si contestava all’odierno ricorrente il concorso
morale nell’omicidio e nel tentato omicidio, ma in relazione a tali imputazioni,
dapprima condannato con sentenza della Corte d’Assise di Reggio Calabria,
Mammoliti Vincenzo veniva assolto in grado d’appello con sentenza del 16.3.2005
che passava in giudicato.
Mammoliti Vincenzo chiedeva – e come visto in un primo momento otteneval’indennizzo ex art. 314 cod. proc. pen. per la custodia cautelare patita. Seguiva poi
l’annullamento con rinvio da parte di questa Corte Suprema e il provvedimento
reiettivo della nuova richiesta da parte della Corte di appello di Reggio Calabria

d’Appello di Reggio Calabria con cui, su istanza avanzata da Mammoliti Vincenzo, il

dell’8.5. 2012.

2. Contro tale provvedimento ricorre nuovamente in Cassazione, a mezzo del
proprio difensore, MAMMOLM VINCENZO, deducendo:
a. Violazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. in combinato disposto con
l’art. 125 cod. proc. pen. e 546 lett. e) cod. proc. pen. in ordine al requisito della
colpa grave, nonché carente ed erronea motivazione sul punto (art. 606 lett. c) ed
e) cod. proc. pen).

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Il ricorrente ricorda la giurisprudenza di questa Corte Suprema in materia di
colpa grave che possa escludere la riparazione per ingiusta detenzione (si riporta in
particolare alla pronuncia di cui a sez. 1 n. 4927 del 17/1/1992).
Alla luce dei principi in essa affermati la Corte di appello di Reggio Calabria
sarebbe incorsa in un palese vizio motivazionale e, conseguentemente, in violazione
di legge, laddove ha individuato il comportamento colposo di Mammoliti Vincenzo in
termini di gravità “in una condotta sinergicamente collegata alla produzione
tale tesi si sussumerebbe che, poiché il ricorrente era portatore di una causale nel
delitto compiuto dal figlio, tale circostanza non può non aver inciso nell’evento
determinante della produzione dell’evento detenzione.
In realtà, secondo il ricorrente, così non è, e non potrebbe esserlo, perché se
fosse evidentemente possibile trarre da una rivisitazione degli elementi indizianti la
colpa grave ex art. 314 co. 1 cod. proc. pen., al giudice dell’equa riparazione si
chiederebbe una duplicazione di giudizio con conseguente violazione del giudicato
assolutorio.
Viene evidenziato in ricorso come l’odierno ricorrente, nell’immediatezza dei
fatti, non venne nemmeno raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare, poiché si
ritenne che il suo comportamento non destasse alcun tipo di rilevanza della condotta
del figlio. E che, anche quando si provvide alla successiva emissione del titolo
cautelare, ciò avvenne sulla base di una rivalutazione dei fatti e non certamente per
un comportamento di errore nel quale si sarebbe determinato il ricorrente.
Anzi il ricorrente, nell’intervenire in difesa del figlio arrestato, operò delle
dichiarazioni, tra l’altro consacrate in un libro, dove appunto affermò che la vicenda
agraria che sarebbe stato lo sfondo dell’omicidio costituiva un aspetto non rilevante
ai fini dell’omicidio stesso ed in ogni caso che quei terreni erano realmente gestiti da
lui, ma in forma regolare e con il tacito consenso da parte della presunta parte
offesa.

dell’evento detenzione” in un dato che invece inerisce la causale del delitto. Secondo

Perciò il ricorrente si duole, senza entrare nel merito della valutazione della
causale del delitto, che certamente il profilo di quest’ultima non può diventare e non
può trasformarsi in un comportamento di induzione in errore atto ad escludere
l’equa riparazione per ingiusta detenzione.
Né può ritenersi -secondo la tesi proposta- che effettivamente il postumo
rinvenimento di una causale in capo all’odierno ricorrente diventi una condotta
“sinergica mente collegata alla produzione dell’evento detenzione”.
Ciò significherebbe, infatti -si lamenta- stravolgere il contenuto dell’articolo

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314 co. 1 cod. proc. pen., che invece prevede uno stretto legame eziologico tra la
detenzione patita presuntivamente ingiustamente ed il comportamento di chi l’ha
realizzata mediante un atteggiamento colposo che ha tratto in errore l’autorità
giudiziaria.
Viene anche evidenziato in ricorso come sarebbe inesatta l’affermazione che
lo spoglio avvenne in maniera violenta, così come è inesatto immaginare che la
condotta del Mammoliti sia stata una condotta di violenza nei confronti del

dell’omicidio possa essere ricollegata alla vicenda agraria, certamente quesrultimaa
non ha potuto trarre in errore l’autorità procedente né potrebbe aver determinato
quel comportamento colposo tale da giustificare oggi il mancato riconoscimento di
un indennizzo, così come stabilito da una sentenza che invece aveva riconosciuto
l’assenza di elementi che potessero far ritenere che il portatore della causale, in
assenza di altri elementi abbia potuto pensare di risolvere la questione attraverso
un gesto che invece non appartiene a tutta la storia della vicenda.
Nell’ambito di quest’ultima il Mammoliti, sostiene il ricorrente, non solo non
effettuò mai comportamenti di arroganza nei confronti di chi era il suo
contraddittore, ma addirittura, quando si rese conto che la situazione non era più
gestibile da un punto di vista legale, rinunciò ai contributi sul suddetto terreno, con
dichiarazione spontanea che poi fu rilasciata all’AIMA.

Venivano poi presentate due memorie, sia personalmente dall’imputato che
dal proprio difensore, con cui ci si riportava ai motivi suddetti, illustrandoli più
dettagliatamente.
Chiede pertanto l’annullamento dell’impugnata ordinanza con tutte le
conseguenze di legge.

Cordopatri. E si aggiunge che, in ogni caso, anche a voler ritenere che la causale

CONSIDERATO IN DIRITT.0

1.

Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato

inammissibile.
2.

Va premesso che è principio consolidato nel la giurisprudenza di questa

Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la
cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola legittimità del
provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della
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motivazione, e non può investire naturalmente il merito.
Ciò ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 646 secondo capoverso
cod. proc. pen., da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nel terzo comma
dell’articolo 315 cod. proc. pen.
3. La Corte d’Appello motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del

rigetto.
quarta sezione di questa Suprema Corte aveva richiamato i principi elaborati
materia, in virtù dei quali il giudice della riparazione deve procedere ad
un’autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto a quelle effettuate dal
giudice penale e aveva rilevato che la Corte d’appello, con l’ordinanza di
accoglimento della domanda di equa riparazione per ingiusta detenzione, aveva
ritenuto l’insussistenza di una condotta del Mammoliti sinergica all’evento
detenzione sulla scorta di una mera valutazione delle motivazioni dei provvedimenti
in atti (in particolare la sentenza assolutoria del 16/3/2005 e quella successiva della
Corte di cassazione che aveva sancito la definitività di quel giudizio).
Del resto le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in
tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi
dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la
condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini
fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la
condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento
riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidir secondo le regole di
esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa
al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma
dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in
essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza,
inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da
costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà
personale o nella mancata revoca di uno già emesso. (Sez. Unite n. 43 del
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Viene ricordato nel provvedimento impugnato che, in sede di rinvio, la

13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637; conf.
In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla
riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto
consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di
doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia
posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o
inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, Maisano, rv.
242034).
4. La Corte territoriale, come detto, motiva in maniera logica e coerente, in
applicazione dei principi di diritto affermati dalla Corte renitente.
Viene ripercorsa tutta la vicenda che ha portato all’omicidio del Barone
Cordopatri, viene ricordata la causale che ha spinto l’azione omicida del Mammoliti
Francesco e del correo La Rosa (l’esigenza di salvaguardare gli interessi economici
dell’odierno ricorrente, padre del primo, consistenti nell’incameramento degli introiti
dei terreni del Cordopatri, interessi fortemente minacciati dall’atteggiamento della
vittima che intendeva rientrare in possesso delle sue proprietà, di fatto da lungo
tempo in mano alla famiglia di Mammoliti Vincenzo.
Si era accertato proprio che Mammoliti Vincenzo era il portatore dell’interesse
più antico e, in definitiva l’unico soggetto che continuava ad avere la disponibilità
dei beni del Cordopatri. Viene ricordato come vi è un giudicato sulla vicenda
associativa e sull’estorsione, per le quali il Mammoliti Vincenzo è stato condannato
in via definitiva, e vengono ripercorsi tutti i passaggi che hanno portato a
individuare i soggetti da sottoporre a cautela per l’omicidio.
Si legge nel provvedimento impugnato che la sentenza assolutoria, pur

costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si

dando atto della circostanza che un giudicato aveva già riconosciuto nella vicenda
agraria la causale del delitto, ha ritenuto di doverne autonomamente ricostruire i
passaggi, concludendo che nell’ultimo anno antecedente la morte della vittima non
c’erano episodi che collegassero direttamente l’odierno ricorrente alla decisione
dell’omicidio, detti elementi riguardando solo il di lui figlio.
Viene tuttavia anche evidenziato come, in sede di legittimità, le motivazioni
rese dalla Corte d’appello con la sentenza assolutoria sono state ritenute affette da
incongruenze, senza alcun riflesso tuttavia sul giudicato assolutorio stante
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l’inidoneità della causale da sola a sostenere l’accusa, pur non mancando di
evidenziare la Corte, in chiusura, che la logica stessa portava a ritenere che proprio
Mammoliti Vincenzo fosse l’unico mandante dell’omicidio.
Ebbene, correttamente e logicamente, la Corte territoriale, in applicazione
del principio di diritto contenuto nella sentenza di annullamento, che aveva
sollecitato la valutazione anche degli elementi riversati nel titolo cautelare anche
alla luce delle preziose puntualizzazioni contenute nella sentenza di legittimità che
abbia tenuto una condotta sinergicamente collegata alla produzione dell’evento
detenzione, poiché il suo pervicace interessamento ai fondi oggetto della
contrapposizione certa tra la sua famiglia e quella della vittima, anche a fronte della
chiara presa di posizione contraria da parte di quest’ultimo, hanno contribuito a
fondare la gravità indiziaria sul ruolo da costui svolto nella decisione del figlio di
uccidere il Cordopatri”.
Alle pagine 10 e 11 del provvedimento impugnato si dà logicamente conto
non solo della esistenza di una causale dell’omicidio, che senza violare il giudicato
assolutorio già il giudice di legittimità aveva logicamente ricondotta all’odierno
ricorrente, ma di come siano stati i pervicace comportamenti dell’odierno ricorrente,
le sue perduranti insistenze sulla proprietà (“al fine non già di dirimere una lite sul
piano legale (invero neppure seriamente coltivata), ma di dissuadere il Cordopatri
dal perseverare nel suo atteggiamento oppositivo che costituiva un evidente
ostacolo al mantenimento dei profitti che la moglie del Mammoliti continuava a
trarre da quei fondi, nella cui detenzione la famiglia dell’istante la subentrata con le
modalità illecite accertare definitivamente in altra sede giudiziaria”.
Si legge nel provvedimento impugnato: “Tale pervicace proposito, coltivato
ad onta dell’illecita origine del rapporto agrario imposto alla proprietà che costituisce
oggetto di accertamento definitivo in altra sede, ha certamente contribuito a creare
la situazione di allarme sociale, alla quale il titolo cautelare secondo una valutazione
condotta ex ante ha inteso dare risposta, a prescindere dall’esito successivo del
giudizio di merito, a ben vedere articolatosi attraverso la svalutazione della causale
ritenuta dal primo giudice, anche sulla scorta del giudicato di condanna nei
confronti di Mammoliti Francesco, che però la stessa Corte di Cassazione ha ritenuto
correttamente individuata e che quindi, può in questa sede essere valorizzata nel
ritenere che il comportamento del Mammoliti non fu, nell’occorso degli eventi che
hanno preceduto l’uccisione del Cordopatri, corretto e rispettoso di leggi e
regolamenti, ma anzi gravemente e pervicacemente contrastante con le regole che
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ha parzialmente cassato quella di assoluzione, rileva come “Mammoliti Vincenzo

sovrintendono alla soluzione delle controversie del tipo di quella che ha opposto il
proprietario violentemente spogliato a colui al quale andava ricondotto Io spoglio”.
Tale motivazione risponde, dunque, appieno ai principi più volte affermati da
questa Corte Suprema secondo cui il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave
dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare,

successivamente alla sottoposizione alla misura (sez. Unite n. 32283 del 27.5.2010,
D’Ambrosio, rv. 247664).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non

ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 alla Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 18 marzo 2014
Il CflTsigliere estensore

Il Presidente

deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che

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