Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19118 del 13/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19118 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– BONO ANTONELLA, n. 5/07/1980 a PORTO TORRES

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di SASSARI in data 14/10/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite, per la ricorrente, le conclusioni dell’Avv. P. N. Diaz – non comparso;

Data Udienza: 13/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14/10/2013, depositata in data 18/10/2013, il tribunale del
riesame di SASSARI ha respinto l’appello cautelare presentato in data
16/09/2013 dalla ricorrente avverso il rigetto della richiesta di revoca del decreto
di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il medesimo tribunale in data

18/05/2013.

2. Giova premettere, al fine di una migliore comprensione, che la ricorrente è
indagata per il reato di cui all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74/00, per avere, quale socio
accomandatario della società EDIL A. & R. di Bono Antonella & C. s.a.s., omesso
di versare, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al
periodo d’imposta successivo (anno 2008), VIVA dovuta in base alla
dichiarazione annuale, per un ammontare corrispondente ad C 68.267,00.

3. Ha proposto tempestivo ricorso la BONO, a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando l’ordinanza predetta e deducendo un unico motivo, di
seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di violazione di legge.
In sintesi, nell’illustrazione del motivo di ricorso, la difesa ha chiesto annullarsi
l’ordinanza impugnata per non aver tenuto conto di alcuni, consolidati, principi di
diritto affermati nella giurisprudenza di questa Corte, in particolare: a) perché il
profitto del reato, quale vantaggio economico, era dell’ente e non dell’autore
formale del reato, ossia al legale rappresentante; b) perché il sequestro
funzionale alla confisca per equivalente deve imporre un sacrificio patrimoniale
(e deve essere afflittiva nei confronti della) alla società, autore sostanziale
dell’illecito, e non all’autore formale, ossia il legale rappresentante; c) perché la
finalità sanzionatoria del sequestro per equivalente si realizza attraverso
l’eliminazione dell’ingiustificato arricchimento, ancora una volta, riferito alla
società, autore sostanziale dell’illecito, e non all’autore formale, ossia il legale
rappresentante; d) perché il sequestro preventivo per equivalente non è
applicabile ad un soggetto diverso dall’autore del reato, qual è il legale
rappresentante, atteso che solo la società può essere destinataria della sanzione
e non l’amministratore, autore formale; e) perché, con riferimento ai reati
tributari, solo se la società è utilizzata come apparato fittizio per commettere
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illeciti, con conseguente confusione sostanziale tra autore formale e sostanziale
dell’illecito, il sequestro per equivalente può colpire l’autore formale; f) perché
l’ordinanza, infine, avrebbe dovuto confrontarsi con le osservazioni esposte
nell’atto di appello, cosa che non ha fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5.

4. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.

Deve, preliminarmente ricordarsi, che in sede di ricorso per cassazione

proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen.
ammette il sindacato di legittimità solo per motivi attinenti alla violazione di
legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la
mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente
apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità
soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e)
dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep.
13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003 – dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

6.

Tanto premesso sui limiti del sindacato di questa Corte, può dunque

procedersi ad esaminare i motivi di doglianza mossi all’ordinanza impugnata che,
sul punto, appaiono fondati, atteso che l’ordinanza non risponde adeguatamente
con il suo percorso argomentativo, fondato sostanzialmente su una ricca
illustrazione della giurisprudenza, alle critiche sollevate dalla difesa in sede di
appello, riguardanti i due profili di doglianza proposti dalla ricorrente in sede di
appello cautelare, rivolvendosi dunque in una motivazione apparente secondo i
criteri esplicitati da questa Corte (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013 – dep.
11/02/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Ed invero, se può ritenersi sufficiente quanto argomentato dal tribunale
con riferimento al secondo profilo di doglianza (ossia l’asserita illegittimità della
rimessione all’organo esecutivo – P.M., per l’individuazione dei beni oggetto della
cautela, atteso che i giudici del riesame si uniformano ai principi affermati da
questa Corte sul punto: Sez. 3, n. 12580 del 25/02/2010 – dep. 31/03/2010,
Baruffa, Rv. 246444), non altrettanto può affermarsi con riferimento al primo
profilo di doglianza, riguardante l’assoggettabilità alla misura cautelare reale dei

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f,

beni appartenenti all’amministratore della società (nella specie, la ricorrente è
socio accomandatario).
Su tale profilo, invero, l’ordinanza si limita ad un pedissequo quanto non
risolutivo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte sulla natura del sequestro
per equivalente, peraltro argomentando nel senso di escludere – sulla base della
giurisprudenza citata – che la confisca per equivalente possa applicarsi nei

specie, appunto, il socio accomandatario di società in accomandita semplice, al
quale soltanto è conferita l’amministrazione della società, con i relativi
adempimenti anche tributari, rimasti inosservati”. Tale affermazione si presenta,
all’evidenza, distonica rispetto al decisum ed eccentrica rispetto alle deduzioni
difensive prospettate in sede di appello cautelare, avendo incentrato la difesa
della ricorrente la difesa, anzitutto, proprio sulla non assoggettabilità a sequestro
dei beni appartenenti all’amministratore di società commerciale, assoggettabilità
che, in motivazione, il tribunale esclude, inspiegabilmente però pervenendo al
rigetto del ricorso.

7. L’annullamento dell’ordinanza impugnata, inoltre, si impone alla luce della
recente decisione della Sezioni Unite penali di questa Corte. Con la sentenza n.
10561 emessa il 30 gennaio 2014 (dep. il 5 marzo 2014, ric. Gubert Leone), le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che è consentito nei
confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca
diretta del profitto derivante dal reato tributario commesso dai suoi organi,
quando detto profitto, costituito da denaro o da altri beni fungibili, o i beni
direttamente riconducibili ad esso, siano nella disponibilità di tale persona
giuridica.
Con l’ordinanza n. 46726 del 22 novembre 2013, questa Sezione aveva infatti
rimesso alle Sezioni Unite la questione “se sia possibile o meno aggredire
direttamente i beni di una persona giuridica per la violazione tributaria
commessa dall’amministratore o dal legale rappresentante della società”.
Con la sentenza Gubert le Sezioni Unite sono state chiamate a prendere
posizione sul tema scottante del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente nei reati tributari, da tempo oggetto di pronunce contrastanti.
Volendo sinteticamente ripercorrere le tappe giurisprudenziali
fondamentali in subiecta materia, la prima decisione a venire in rilievo è quella
emessa da questa Sezione, che ha affermato che il d.lgs. n. 231 del 2001 non
costituisce un limite all’applicazione della confisca per equivalente dei beni
dell’ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi dall’amministratore o
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confronti di un soggetto diverso dall’autore del reato ex art. 27 Cost. “nella

dal legale rappresentante della società (Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2011 n.
28731, non massimata).
La posizione favorevole alla sequestrabilità/confiscabilità per equivalente
dei beni dell’ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi
dall’amministratore o dal legale rappresentante della società è stata ribadita da
altra sentenza di questa Sezione (Sez. 3, n. 38740 del 09/05/2012 – dep.

del mancato accertamento dell’impossibilità di procedere a sequestro diretto dei
beni costituenti il profitto del reato fiscale pur in assenza di una espressa
richiesta del P. M., ha affermato l’astratta sequestrabilità/confiscabilità per
equivalente dei beni della società dall’indagato legalmente rappresentata e
nell’interesse della quale era stato commesso l’illecito. Più precisamente, in tale
occasione, si sottolineò in motivazione che “la legge consente la confisca diretta
dei beni che costituiscono il profitto del reato indipendentemente dalla qualifica
di concorrente nel reato stesso del soggetto nella cui disponibilità è pervenuto il
detto profitto e, qualora si tratti di una società, indipendentemente dal fatto che
sia prevista o meno una responsabilità amministrativa per il reato in questione”,
precisando altresì che “la confisca del profitto non è possibile quando esso
appartenga a persona estranea al reato, ma nel caso di reato commesso da
amministratore di una società il cui profitto sia rimasto nelle casse della società
stessa, questa non può considerarsi persona estranea al reato, pur se non è
prevista una sua responsabilità amministrativa”.
Principi radicalmente opposti caratterizzano invece l’orientamento
opposto, sostenuto anzitutto da una prima decisione di questa Sezione (Sez. 3,
n. 25774 del 14/06/2012 – dep. 04/07/2012, P.M. in proc. Amoddio e altro, Rv.
253062 ), la quale ha, innanzitutto, statuito che la normativa di cui al d.lgs. n.
231 del 2001 non può esser applicata fuori dalla sedes materiae. Segnatamente,
in coerenza con il principio di stretta legalità, che trova specifico richiamo anche
nel sistema del d.lgs. n. 231 del 2001 (art. 2), la sentenza ebbe a puntualizzare
che la disciplina del sequestro e della confisca anche per equivalente (rinvenibile
negli artt. 19 e 53) è applicabile soltanto in presenza di un illecito penale
rientrante nel catalogo dei reati che generano una responsabilità (penale)
dell’ente collettivo e che la tassatività delle fattispecie penali rilevanti ai fini del
d.lgs. n. 231 del 2001 esclude la possibilità di ricorrere all’analogia o alla eadem
ratio, eadem disciplina. Ad avviso di tale decisione, dunque, non è consentito il
sequestro preventivo finalizzato alla confisca (per equivalente) di un bene
dell’ente collettivo al cui apicale venga attribuita la commissione di un reato
tributario, salvo il caso in cui “la struttura societaria costituisca un apparato
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04/10/2012, Sgarbi, Rv. 254795), che, accogliendo il ricorso in considerazione

fittizio utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale e altri
illeciti, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente
riconducibile alla disponibilità dell’autore”.

Ne consegue che quella che è stata

pensata ed è nata come sanzione della persona fisica non può in nessun caso,
per tale decisione, diventare sanzione della persona giuridica.
Da ultimo, tale posizione è stata ribadita da una recentissima pronuncia,

10/01/2013, Pg in proc. Unicredit S.p.A., Rv. 254796), secondo cui “la società
(…), pur non risultando affatto estranea ai reati tributari, non può essere
chiamata, a legislazione vigente, a rispondere per tali reati (…): di conseguenza
la società (…) ed i suoi beni non possono essere destinatari di provvedimenti
cautelari di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca del profitto dei reati
tributari per cui si indaga, pur commessi a suo vantaggio, reati ascritti ed allo
stato ascrivibili solo agli indagati-persone fisiche”.
Tali conclusioni sono state confermate in due successive pronunce (Sez.
3, n. 42350 del 10/07/2013 – dep. 15/10/2013, P.M. in proc. Stigelbauer, Rv.
257129 ; Sez. 3, n. 42476 del 20/09/2013 – dep. 16/10/2013, Salvatori, Rv.
257353), laddove è stata ricondotta alla specifica ed espressa volontà del
legislatore la individuazione dei reati presupposto che consentono il sequestro
funzionale alla confisca per equivalente.

8.

Con la sentenza Gubert, le Sezioni Unite di questa Corte hanno

sostanzialmente seguito il secondo orientamento sopra richiamato, in particolare
affermando i seguenti principi di diritto: a) «È consentito nei confronti di una
persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di
altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario
commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o
beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona
giuridica»; b) «Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca
per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato
reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica
stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio»; c) «Non è
consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei
confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro
commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o
di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato
tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o
a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato»; d) «L’impossibilità
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sempre di questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 1256 del 19/09/2012 – dep.

del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia
necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di
reato».

9. Punto centrale nel percorso argomentativo della sentenza è la distinzione tra
la confisca diretta del profitto del reato e l’istituto dalla confisca per equivalente.
La confisca diretta (detta anche confisca di proprietà), prevista dall’art. 240 c.p.

come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati dall’art. 322 ter c.p.,
ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità economica direttamente o
indirettamente conseguita con la commissione del reato.
La confisca per equivalente (detta anche confisca di valore), invece, ha per
oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per
un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi
in cui la confisca diretta non sia possibile.
Nella nozione di profitto che consente la confisca diretta, precisano le Sezioni
Unite, non rientrano solo i beni appresi per effetto diretto e immediato
dell’illecito, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via
indiretta o mediata, come ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato
dall’attività illecita oppure l’utile derivane dall’investimento del denaro di
provenienza criminosa. Si è in questo senso ritenuto che costituisce profitto del
reato anche il bene immobile acquistato con somme di denaro illecitamente
conseguite, quando l’impiego sia causalmente collegabile al reato e
soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo.
Come è noto, l’art. 1, co. 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge
finanziaria 2008), ha esteso ai delitti tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis,
10 ter, 10 quater e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, le disposizioni di cui all’art. 322
ter c.p., norma che rende obbligatoria per alcuni reati contro la pubblica
amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato e che introduce la
possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o
profitto non sia facilmente aggredibile.
Pertanto, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle
parti, per uno dei delitti tributari previsti dagli articoli sopra richiamati «è sempre
ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che
appartengano a persona estranea al reato» (confisca diretta); quando ciò non è
possibile, avrà luogo «la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un
valore corrispondente a tale prezzo o profitto» (confisca per equivalente).
In tema di reati tributari, osservano le Sezioni Unite, il profitto confiscabile è
costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale tratto dalla realizzazione del reato
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IjJ

e può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal
mancato pagamento di un tributo.
Nel caso in cui il profitto del reato sia costituito da denaro, la trasformazione
dello stesso in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al
sequestro preventivo che potrà avere ad oggetto il bene di investimento così
acquisito. Qualora il profitto sia costituito da una somma di denaro o altro bene

proveniente dall’attività criminosa, non si è in presenza di confisca per
equivalente ma di confisca diretta del profitto.
Pertanto, concludono sul punto le Sezioni Unite, la confisca diretta del
profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le
violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della
persona giuridica nell’interesse della società, quando il profitto o i beni
direttamente riconducibili a tale profitto sono rimasti nella disponibilità della
persona giuridica medesima.

10. Per converso, si deve escludere la possibilità di procedere a confisca per
equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale
rappresentante, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto
priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui
l’amministratore agisce come effettivo titolare.
Anzitutto, osservano le Sezioni Unite, il rapporto organico che esiste tra
persona fisica e società non è di per sé idoneo a giustificare l’estensione
dell’ambito di applicazione della confisca per equivalente.
In secondo luogo, proseguono le Sezioni Unite, non può trovare
applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le
conseguenze del reato. Nell’ordinamento vigente, infatti, è prevista solo una
responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché
l’ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente. In
ogni caso, si osserva, il d.lgs. n. 231 del 2001 non include i reati tributari fra
quelli per cui è prevista la responsabilità della persona giuridica.
La confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure
sull’assunto che l’autore del reato ha la disponibilità di tali beni in quanto
amministratore, essendo tale disponibilità nell’interesse dell’ente e non della
persona fisica.
Sul piano del diritto positivo, osservano poi le Sezioni Unite, non vi è
alcuna disposizione normativa che consenta di disporre la confisca per

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fungibile, se la misura ablativa ha per oggetto un bene acquistato con il denaro

equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni
tributare commesse dal legale rappresentante.
Tale forma di confisca, infatti, non può essere disposta ai sensi dell’art. 19 del
d.lgs. n. 231 del 2001, perché nel citato d.lgs. manca una specifica ipotesi di
responsabilità dell’ente per i reati tributari. Non può essere disposta neppure ai
sensi dell’art. 322 ter c.p., il cui ambito di operatività è stato esteso ai reati
tributari dall’art. 1 co. 143 della legge 24 dicembre 2007, dal momento che la

citata disposizione si applica all’autore del reato e la persona giuridica, come si è
detto, non può essere considerata tale. Stante il carattere eminentemente
sanzionatorio della confisca per equivalente, le norme che la prevedono non
possono essere applicate oltre ai casi espressamente considerati, a ciò ostando il
divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale.

11. Orbene, così riassunti i diversi e delicati profili giuridici inerenti la questione
controversa, può quindi procedersi all’esame della questione, tenuto conto della
tipologia dell’illecito per cui si procede (art.

10-ter, d. Igs. n. 74/2000) e della

nozione di profitto che, in relazione a tale reato, è stata elaborata dalla
giurisprudenza di questa Corte.
La questione centrale attiene all’individuazione del concetto di profitto
nell’ambito del reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n. 74/2000 (Omesso
versamento Iva). In merito a quest’ultimo aspetto, occorre rilevare che dalla
natura omissiva dell’illecito deriva una peculiare configurazione del profitto, il
quale non assume i contorni di un incremento positivo del patrimonio del
contribuente, quanto invece quelli di una mancata decurtazione in ragione del
prelievo fiscale che viene evaso. L’equiparazione fra profitto derivante
dall’omesso versamento dell’Iva (e, più in generale, dai reati tributari) e
risparmio di spesa, peraltro, trova nella giurisprudenza di questa Corte
innumerevoli conferme, al punto da doversi ritenere un dato pressoché pacifico
(v., ad esempio: Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011 – dep. 16/01/2012, Galiffo, Rv.
251893 ). Anche di recente si è concisamente affermato che “poiché l’art.

10-ter

d.lgs. n. 74/2000 sanziona il comportamento del soggetto che omette di versare
l’Iva risultante a debito in sede di dichiarazione annuale il profitto non può che
coincidere con l’importo dell’Iva trattenuta” (Sez. 3, n. 33587 del 19/06/2012 dep. 31/08/2012, Paulin, Rv. 253135 ). Le Sezioni Unite hanno, poi, ribadito il
concetto in termini più generali, sostenendo che il profitto confiscabile può
essere costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente
conseguente alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un
risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo,
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interessi e sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez.
U, n. 18374 del 31/01/2013 – dep. 23/04/2013, Adami e altro, Rv. 255036).
Tornando al caso in esame, i giudici del riesame, hanno individuato il profitto
sequestrabile, così condividendo l’impostazione accusatoria già seguita dal GIP,
nell’ammontare dell’imposta evasa, pari all’IVA dovuta per il periodo d’imposta

12. Ciò posto, però, il problema che si pone è quello di valutare se, alla luce
della novità esegetica rappresentata dalla sentenza Gubert Leone, il
provvedimento del tribunale del riesame sia coerente con quanto affermato dalle
Sezioni Unite.
In particolare, ritiene il Collegio che s’imponga, nel caso in esame, una
(ri)valutazione da parte del giudice del riesame in ordine alla congruità del
percorso motivazionale seguito nel rigettare l’appello cautelare proposto avverso
l’impugnato decreto di sequestro preventivo per equivalente sui beni della
ricorrente ove vi sia la possibilità di eseguire un sequestro diretto delle somme di
denaro costituenti il profitto del reato ipotizzato, accertamento, questo, di merito
che è sottratto al sindacato di questa Corte. Occorrerà, in particolare, tener
conto: da un lato, del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite che
escludono il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei
confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro
commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o
di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato
tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o
a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.; dall’altro, del dato
oggettivo secondo cui la sequestrabilità per equivalente dei beni del socio
accomandatario – legale rappresentante, costituenti il profitto del reato
tributario, è desumibile “a contrario” da quanto affermato dal principio di diritto
sub c), esposto nel precedente paragrafo 8.

13. L’impugnata ordinanza dev’essere, quindi, annullata con rinvio al tribunale di
Sassari per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Sassari per nuovo
giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2014
10

2011.

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