Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19117 del 13/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19117 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
CAGLIARI nel proc. c/:
– PADERI GABRIELLA, n. 22/11/1962 a CAGLIARI

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di CAGLIARI in data 20/09/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio
dell’impugnata ordinanza;
udite, per l’indagata, le conclusioni dell’Avv. R. Meloni, che ha chiesto dichiararsi
inammissibile o rigettarsi il ricorso del P.M.;

Data Udienza: 13/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20/09/2013, depositata in data 21/09/2013, il tribunale del
riesame di CAGLIARI ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal
GIP presso il medesimo tribunale in data 17/07/2013, ordinando l’immediata
restituzione della somma di C 203.021,00 alla CA.GI.MA s.r.l. in persona del

legale rappresentante.

2. Giova premettere, al fine di una migliore comprensione, che la ricorrente è
indagata del delitto di cui all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74/00, perché, in qualità di
legale rappresentante della CA.GI.MA s.r.I., ometteva di versare VIVA pari
all’importo indicato nel paragrafo che precede (IVA autoliquidata con la
presentazione della relativa dichiarazione), dovuta per il periodo d’imposta 2011,
entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta
successivo (in Cagliari, il 27 dicembre 2012).

3.

Ha proposto tempestivo ricorso il Procuratore della Repubblica presso il

Tribunale di CAGLIARI, impugnando l’ordinanza predetta e deducendo un unico
motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con tale unico, articolato, motivo, l’inosservanza della normativa
penale tributaria e delle norme tributarie, in particolare, il d.P.R. n. 633/1972
(art. 606, lett. b), c.p.p.).
In sintesi, si duole il PM ricorrente per aver ritenuto il tribunale non
sequestrabili per equivalente i beni della società per i reati tributari commessi
dall’amministratore, salvo che la società non costituisca un mero apparato fittizio
per commettere illeciti, ciò in quanto il d. Igs. n. 231/2001 non include i reati
tributari nel catalogo dei reati presupposto che generano la responsabilità
dell’ente; diversamente, sostiene il PM ricorrente, l’art. 1, comma 143, della
legge n. 244/07 ha esteso l’operatività dello strumento del sequestro funzionale
alla confisca per equivalente anche ai reati tributari, tra cui l’art.

10-ter, d. Igs.

n. 74/00, che configura un reato proprio che può essere commesso
esclusivamente da un soggetto IVA che abbia presentato una dichiarazione
annuale con un saldo debitorio superiore alla soglia di punibilità; poiché, nel caso
di specie, soggetto passivo dell’imposizione tributaria è la società di capitali che
opera, in quanto ente, per mezzo del proprio amministratore, è la società il
2

il,

soggetto evasore, che ha direttamente conseguito nel proprio patrimonio il
profitto del reato, inteso in termini di risparmio; ad ulteriore conforto di tale
assunto, il PM ricorrente richiama poi l’art. 1, lett. e), d. Igs. n. 74/00, che
riferisce il dolo di evasione del rappresentante legale direttamente alla società,
ciò che dimostra inequivocabilmente che l’ente, nei reati tributari, non può
essere considerato persona estranea al reato, unica condizione che esclude la

equivalente, può attingere i beni dell’ente che del reato tributario ha conseguito
il profitto, inteso come risparmio fiscale, essendo il reato commesso nel suo
interesse che, pertanto, partecipa al reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.

5. Al fine di illustrare le ragioni che hanno indotto questa Corte a pervenire a
giudizio rescindente, occorre rilevare che la Guardia di Finanza, nel dare
esecuzione al decreto di sequestro preventivo per equivalente dei beni riferibili
alla società amministrata dal ricorrente, ha proceduto al sequestro (v. verbale
23/07/2013) della somma di C 203.021,00 (pari al debito IVA) giacente sui due
conti correnti della società, e, precisamente della somma di C 52.502,46
giacente sul c/c acceso presso la filiale di Sinnai della Banca di Credito Sardo
nonché della somma di C 150.518,54, giacente sul c/c acceso presso la filiale di
Sinnai del Banco di Sardegna.

6. Premesso in fatto quanto sopra, corre peraltro l’obbligo di precisare che la
questione giuridica sottoposta all’esame di questa Corte dal P.M. ricorrente è
stata risolta, com’è noto, da una recente decisione delle Sezioni Unite penali di
questa Corte. Con la sentenza n. 10561 emessa il 30 gennaio 2014 (dep. il 5
marzo 2014, ric. Gubert Leone), le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno
affermato che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto derivante dal reato
tributario commesso dai suoi organi, quando detto profitto, costituito da denaro
o da altri beni fungibili, o i beni direttamente riconducibili ad esso, siano nella
disponibilità di tale persona giuridica.
Con l’ordinanza n. 46726 del 22 novembre 2013, questa Sezione aveva infatti
rimesso alle Sezioni Unite la questione “se sia possibile o meno aggredire

3

confisca; in conclusione, la confisca e, prima ancora, il sequestro preventivo per

direttamente i beni di una persona giuridica per la violazione tributaria
commessa dall’amministratore o dal legale rappresentante della società”.
Con la sentenza Gubert le Sezioni Unite sono state chiamate a prendere
posizione sul tema scottante del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente nei reati tributari, da tempo oggetto di pronunce contrastanti.
Volendo sinteticamente ripercorrere le tappe giurisprudenziali

emessa da questa Sezione, che ha affermato che il d.lgs. n. 231 del 2001 non
costituisce un limite all’applicazione della confisca per equivalente dei beni
dell’ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi dall’amministratore o
dal legale rappresentante della società (Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2011 n.
28731, non massimata).
La posizione favorevole alla sequestrabilità/confiscabilità per equivalente
dei beni dell’ente collettivo nelle ipotesi di reati tributari commessi
dall’amministratore o dal legale rappresentante della società è stata ribadita da
altra sentenza di questa Sezione (Sez. 3, n. 38740 del 09/05/2012 – dep.
04/10/2012, Sgarbi, Rv. 254795), che, accogliendo il ricorso in considerazione
del mancato accertamento dell’impossibilità di procedere a sequestro diretto dei
beni costituenti il profitto del reato fiscale pur in assenza di una espressa
richiesta del P. M., ha affermato l’astratta sequestrabilità/confiscabilità per
equivalente dei beni della società dall’indagato legalmente rappresentata e
nell’interesse della quale era stato commesso l’illecito. Più precisamente, in tale
occasione, si sottolineò in motivazione che “la legge consente la confisca diretta
dei beni che costituiscono il profitto del reato indipendentemente dalla qualifica
di concorrente nel reato stesso del soggetto nella cui disponibilità è pervenuto il
detto profitto e, qualora si tratti di una società, indipendentemente dal fatto che
sia prevista o meno una responsabilità amministrativa per il reato in questione”,
precisando altresì che “la confisca del profitto non è possibile quando esso
appartenga a persona estranea al reato, ma nel caso di reato commesso da
amministratore di una società il cui profitto sia rimasto nelle casse della società
stessa, questa non può considerarsi persona estranea al reato, pur se non è
prevista una sua responsabilità amministrativa”.
Principi radicalmente opposti caratterizzano invece l’orientamento
opposto, sostenuto anzitutto da una prima decisione di questa Sezione (Sez. 3,
n. 25774 del 14/06/2012 – dep. 04/07/2012, P.M. in proc. Amoddio e altro, Rv.
253062 ), la quale ha, innanzitutto, statuito che la normativa di cui al d.lgs. n.
231 del 2001 non può esser applicata fuori dalla sedes materiae. Segnatamente,
in coerenza con il principio di stretta legalità, che trova specifico richiamo anche
4

fondamentali in subiecta materia, la prima decisione a venire in rilievo è quella

nel sistema del d.lgs. n. 231 del 2001 (art. 2), la sentenza ebbe a puntualizzare
che la disciplina del sequestro e della confisca anche per equivalente (rinvenibile
negli artt. 19 e 53) è applicabile soltanto in presenza di un illecito penale
rientrante nel catalogo dei reati che generano una responsabilità (penale)
dell’ente collettivo e che la tassatività delle fattispecie penali rilevanti ai fini del
d.lgs. n. 231 del 2001 esclude la possibilità di ricorrere all’analogia o alla eadem

sequestro preventivo finalizzato alla confisca (per equivalente) di un bene
dell’ente collettivo al cui apicale venga attribuita la commissione di un reato
tributario, salvo il caso in cui “la struttura societaria costituisca un apparato
fittizio utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale e altri
illeciti, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente
riconducibile alla disponibilità dell’autore”.

Ne consegue che quella che è stata

pensata ed è nata come sanzione della persona fisica non può in nessun caso,
per tale decisione, diventare sanzione della persona giuridica.
Da ultimo, tale posizione è stata ribadita da una recentissima pronuncia,
sempre di questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 1256 del 19/09/2012 – dep.
10/01/2013, Pg in proc. Unicredit S.p.A., Rv. 254796), secondo cui “la società
(…), pur non risultando affatto estranea ai reati tributari, non può essere
chiamata, a legislazione vigente, a rispondere per tali reati (…): di conseguenza
la società (…) ed i suoi beni non possono essere destinatari di provvedimenti
cautelari di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca del profitto dei reati
tributari per cui si indaga, pur commessi a suo vantaggio, reati ascritti ed allo
stato ascrivibili solo agli indagati-persone fisiche”.
Tali conclusioni sono state confermate in due successive pronunce (Sez.
3, n. 42350 del 10/07/2013 – dep. 15/10/2013, P.M. in proc. Stigelbauer, Rv.
257129 ; Sez. 3, n. 42476 del 20/09/2013 – dep. 16/10/2013, Salvatori, Rv.
257353), laddove è stata ricondotta alla specifica ed espressa volontà del
legislatore la individuazione dei reati presupposto che consentono il sequestro
funzionale alla confisca per equivalente.

7. E’ a tale ultimo orientamento che si è uniformato il tribunale del riesame nel
disporre l’annullamento del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in
data 17 luglio 2013.
Con la sentenza Gubert, le Sezioni Unite di questa Corte hanno
sostanzialmente seguito il secondo orientamento sopra richiamato, in particolare
affermando i seguenti principi di diritto: a) «È consentito nei confronti di una
persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di
5

ratio, eadem disciplina. Ad avviso di tale decisione, dunque, non è consentito il

altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario
commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o
beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona
giuridica»; b) «Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca
per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato
reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica
stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio»; c) «Non è

consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei
confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro
commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o
di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato
tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o
a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato»; d) «L’impossibilità
del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia
necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di
reato».

8. Punto centrale nel percorso argomentativo della sentenza è la distinzione tra
la confisca diretta del profitto del reato e l’istituto dalla confisca per equivalente.
La confisca diretta (detta anche confisca di proprietà), prevista dall’art. 240 c.p.
come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati dall’art. 322 ter c.p.,
ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità economica direttamente o
indirettamente conseguita con la commissione del reato.
La confisca per equivalente (detta anche confisca di valore), invece, ha per
oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per
un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi
in cui la confisca diretta non sia possibile.
Nella nozione di profitto che consente la confisca diretta, precisano le Sezioni
Unite, non rientrano solo i beni appresi per effetto diretto e immediato
dell’illecito, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via
indiretta o mediata, come ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato
dall’attività illecita oppure l’utile derivane dall’investimento del denaro di
provenienza criminosa. Si è in questo senso ritenuto che costituisce profitto del
reato anche il bene immobile acquistato con somme di denaro illecitamente
conseguite, quando l’impiego sia causalmente collegabile al reato e
soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo.
Come è noto, l’art. 1, co. 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge
finanziaria 2008), ha esteso ai delitti tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis,
6

k

10 ter, 10 quater e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, le disposizioni di cui all’art. 322
ter c.p., norma che rende obbligatoria per alcuni reati contro la pubblica
amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato e che introduce la
possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o
profitto non sia facilmente aggredibile.
Pertanto, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle

ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che
appartengano a persona estranea al reato» (confisca diretta); quando ciò non è
possibile, avrà luogo «la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un
valore corrispondente a tale prezzo o profitto» (confisca per equivalente).
In tema di reati tributari, osservano le Sezioni Unite, il profitto confiscabile è
costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale tratto dalla realizzazione del reato
e può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal
mancato pagamento di un tributo.
Nel caso in cui il profitto del reato sia costituito da denaro, la trasformazione
dello stesso in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al
sequestro preventivo che potrà avere ad oggetto il bene di investimento così
acquisito. Qualora il profitto sia costituito da una somma di denaro o altro bene
fungibile, se la misura ablativa ha per oggetto un bene acquistato con il denaro
proveniente dall’attività criminosa, non si è in presenza di confisca per
equivalente ma di confisca diretta del profitto.
Pertanto, concludono sul punto le Sezioni Unite, la confisca diretta del
profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le
violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della
persona giuridica nell’interesse della società, quando il profitto o i beni
direttamente riconducibili a tale profitto sono rimasti nella disponibilità della
persona giuridica medesima.

9. Per converso, si deve escludere la possibilità di procedere a confisca per
equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale
rappresentante, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto
priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui
l’amministratore agisce come effettivo titolare.
Anzitutto, osservano le Sezioni Unite, il rapporto organico che esiste tra
persona fisica e società non è di per sé idoneo a giustificare l’estensione
dell’ambito di applicazione della confisca per equivalente.

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parti, per uno dei delitti tributari previsti dagli articoli sopra richiamati «è sempre

In secondo luogo, proseguono le Sezioni Unite, non può trovare
applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le
conseguenze del reato. Nell’ordinamento vigente, infatti, è prevista solo una
responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché
l’ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente. In
ogni caso, si osserva, il d.lgs. n. 231 del 2001 non include i reati tributari fra

La confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure
sull’assunto che l’autore del reato ha la disponibilità di tali beni in quanto
amministratore, essendo tale disponibilità nell’interesse dell’ente e non della
persona fisica.
Sul piano del diritto positivo, osservano poi le Sezioni Unite, non vi è
alcuna disposizione normativa che consenta di disporre la confisca per
equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni
tributare commesse dal legale rappresentante.
Tale forma di confisca, infatti, non può essere disposta ai sensi dell’art. 19 del
d.lgs. n. 231 del 2001, perché nel citato d.lgs. manca una specifica ipotesi di
responsabilità dell’ente per i reati tributari. Non può essere disposta neppure ai
sensi dell’art. 322 ter c.p., il cui ambito di operatività è stato esteso ai reati
tributari dall’art. 1 co. 143 della legge 24 dicembre 2007, dal momento che la
citata disposizione si applica all’autore del reato e la persona giuridica, come si è
detto, non può essere considerata tale. Stante il carattere eminentemente
sanzionatorio della confisca per equivalente, le norme che la prevedono non
possono essere applicate oltre ai casi espressamente considerati, a ciò ostando il
divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale.

10. Orbene, così riassunti i diversi e delicati profili giuridici inerenti la questione
controversa, può quindi procedersi all’esame della questione, tenuto conto della
tipologia dell’illecito per cui si procede (art.

10-ter, d. Igs. n. 74/2000) e della

nozione di profitto che, in relazione a tale reato, è stata elaborata dalla
giurisprudenza di questa Corte.
La questione centrale attiene all’individuazione del concetto di profitto
nell’ambito del reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n. 74/2000 (Omesso
versamento Iva). In merito a quest’ultimo aspetto, occorre rilevare che dalla
natura omissiva dell’illecito deriva una peculiare configurazione del profitto, il
quale non assume i contorni di un incremento positivo del patrimonio del
contribuente, quanto invece quelli di una mancata decurtazione in ragione del
prelievo fiscale che viene evaso. L’equiparazione fra profitto derivante
8

quelli per cui è prevista la responsabilità della persona giuridica.

dall’omesso versamento dell’Iva (e, più in generale, dai reati tributari) e
risparmio di spesa, peraltro, trova nella giurisprudenza di questa Corte
innumerevoli conferme, al punto da doversi ritenere un dato pressoché pacifico
(v., ad esempio: Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011 – dep. 16/01/2012, Galiffo, Rv.
251893 ). Anche di recente si è concisamente affermato che “poiché l’art.

10-ter

d.lgs. n. 74/2000 sanziona il comportamento del soggetto che omette di versare

coincidere con l’importo dell’Iva trattenuta” (Sez. 3, n. 33587 del 19/06/2012 dep. 31/08/2012, Paulin, Rv. 253135 ). Le Sezioni Unite hanno, poi, ribadito il
concetto in termini più generali, sostenendo che il profitto confiscabile può
essere costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente
conseguente alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un
risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo,
interessi e sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez.
U, n. 18374 del 31/01/2013 – dep. 23/04/2013, Adami e altro, Rv. 255036).
Tornando al caso in esame, i giudici del riesame, hanno individuato il profitto
sequestrabile, così condividendo l’impostazione accusatoria già seguita dal GIP,
nell’ammontare dell’imposta evasa, pari all’IVA dovuta per il periodo d’imposta
2011.

11. Ciò posto, però, il problema che si pone è quello di valutare se, alla luce
della novità esegetica rappresentata dalla sentenza Gubert Leone, il
provvedimento del tribunale del riesame sia coerente con quanto affermato dalle
Sezioni Unite.
In particolare, ritiene il Collegio che s’imponga, nel caso in esame, una
(ri)valutazione da parte del giudice del riesame in ordine alla congruità del
percorso motivazionale seguito nell’annullare l’impugnato decreto di sequestro
preventivo per equivalente ove vi sia la possibilità di eseguire un sequestro
diretto delle somme di denaro costituenti il profitto del reato ipotizzato,
accertamento, questo, di merito che è sottratto al sindacato di questa Corte.
Occorrerà, in particolare, tener conto del principio di diritto affermato dalle
Sezioni Unite che escludono il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da
costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di
denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di
reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a
costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.

9

l’Iva risultante a debito in sede di dichiarazione annuale il profitto non può che

12. L’impugnata ordinanza dev’essere, quindi, annullata con rinvio al tribunale di
Cagliari per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Cagliari per nuovo

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2014

Il Consigli e

est.

Il

sidente

giudizio.

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