Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19111 del 07/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 19111 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

VASSALLO Giuseppe, nato a Altofonte (Pa) il 21 dicembre 1961;

avverso la ordinanza n. 1394/2013 R Libertà del Tribunale di Palermo del 10
ottobre 2013;

letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Nicola
LETTIERI, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

1

Data Udienza: 07/02/2014

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, Sezione del riesame, con ordinanza del 10 ottobre
2013, provvedendo in ordine all’appello presentato dal Pm presso il Tribunale di
Palermo avverso il rigetto da parte del locale Gip della richiesta di misura
cautelare della custodia in carcere a carico di Vassallo Giuseppe Antonio,
indagato in ordine al reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 73, commi 1 e 6, e 80,
comma 2, del dPR n. 309 del 1990, per avere, in concorso con altri soggetti in
numero superiore a tre, illecitamente coltivato al fine di spaccio una piantagione

della misura cautelare richiesta.
Il Tribunale prioritariamente riscontrava l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a carico del Vassallo desumibili dalla informativa di PG del 3
dicembre 2012, dalla quale risultava che l’indagato, unitamente ad altre persone
generalizzate in atti, aveva provveduto a impiantare, su terreno adibito ad
oliveto di soggetti terzi, estranei alla vicenda, una coltivazione che, proprio per
essere installata in terreni di terzi, per richiedere delle particolari cure ed
attenzioni (quali la avvistabilità, data la posizione del terreno, di eventuali
persone in avvicinamento) che non sarebbero spiegabili in caso di lecita
coltivazione di olivi, per consentire un reddito previsto dagli stessi indagati in
quattro milioni di euro da dividere fra i vari partecipanti, per essere stata
suddivisa, a seguito di un sopralluogo operato dalla forze dell’Ordine lì dove la
piantagione era stata installata in un primo momento, in tante piccole
coltivazioni fra loro indipendenti, faceva ritenere che si trattasse di coltivazione
di piante da cui trarre sostanze stupefacenti.
Considerazione verificata dal fatto che taluni dei compartecipi alla
organizzazione erano stati individuati mentre accudivano, in una delle porzioni di
terreno ove le piccole piantagioni erano state trasferite, a circa 190 piante di
cannabis indica e dal fatto che i medesimi, oltre allo stesso Vassallo già avevano
provveduto ad essiccare varie decine di chili di marijuana, verosimilmente
provento della originaria estesa coltivazione, all’evidente fine di venderla.
Da numerose intercettazioni telefoniche risultava il coinvolgimento di Vassallo
Giuseppe Antonio nelle attività connesse alla predetta coltivazione.
Quanto alla aggravante di cui all’art. 80 del dpr n. 309, osservava il Tribunale
che essa era facilmente desumibile dalla elevata quantità di piante coltivate, che
faceva ragionevolmente presumere la ingente quantità di sostanza raccolta.
Ritiene il Collegio che, invece, non risultino elementi per ritenere che i reati
per i quali si indaga siano stati posti in essere al fine di agevolare la associazione
mafiosa denominata Cosa Nostra; tale elemento, infatti, non è desumibile
dall’unico dato indiziario, cioè che taluni degli indagati siano appartenenti a tale
2

di cannabis indica con circa 6000 piante, disponeva la applicazione al Vassallo

sodalizio criminoso o comunque siano gravemente indiziati in tal senso, nulla
impedendo che un affiliato a Cosa Nostra commetta delitti che non sono
consapevolmente finalizzati alla realizzazione degli scopi della predetta
associazione.
Ciò posto in ordine ai gravi indizi, osserva il Tribunale che non osta alla
emissione della misura cautelare il fatto che il Vassallo già sia ristretto in carcere
ad altro titolo, posto che, per costante giurisprudenza, non può ritenersi che lo

diversa ed autonoma misura cautelare.
Fatta questa premessa il Tribunale rileva che sussistono le esigenze cautelari
che giustificano l’emissione della misura, desumibili in particolare dalla
personalità dell’indagato, affiliato a Cosa nostra, dalla gravità del reato ascritto,
dal concreto pericolo della sua reiterazione; unica misura idonea è quella della
custodia in carcere, stante la sua efficacia ai fini della interruzione dei legami fra
l’indagato ed i settori della criminalità organizzata e del narcotraffico.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il Vassallo,
tramite il proprio difensore, deducendo, in sostanza la illegittimità del
provvedimento impugnato in quanto esso risulta essere stato richiesto
nell’ambito di una più ampia indagine in relazione alla quale il Vassallo già è
stato attinto da diverso provvedimento custodiale, in relazione ad altri reati per i
quali vige la presunzione di adeguatezza della sola misura intramuraria, di tal
che il nuovo titolo, la cui decorrenza (trattandosi di cosiddette contestazioni a
catena) non potrebbe essere che la stessa del precedente titolo già in atto, non
potrebbe svolgere effetti diversi da quelli già svolti dal primo.
La mancata o insufficiente motivazione sulla necessità del nuovo titolo
custodiale, costituirebbe, ad avviso del ricorrente, vizio della impugnata
ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risultato infondato non è, pertanto, meritevole di essere accolto.
Rileva la Corte che le doglianze del Vassallo riguardano esclusivamente il
fatto che, essendo questi già ristretto in stato di custodia cautelare in carcere
per reati aventi un rapporto di connessione investigativa con quelli ora in
questione, la adozione della presente misura si presenta ingiustificata, non
sussistendo, stante l’attuale condizione del ricorrente, alcun pericolo che egli
possa compire reati della stessa specie di quello per cui ora si procede.
Ciò, in particolare, è affermato dal Vassallo sulla base di due dati: a) gli altri
reati per i quale è egli ora ristretto in custodia cautelare prevedono quale unica
misura cautelare idonea quella inframuraria, di talché è improbabile la sua
cessazione; b) trattandosi di contestazioni cosiddette a catena, la scadenza del
3

stato detentivo di un soggetto assuma rilievo in ordine alla applicazione di

termine finale delle diverse misure applicate sarà la medesima, atteso il
comune termine iniziale, decorrente dalla applicazione della più risalente fra le
misure.
Il ragionamento su cui si fonda il motivo di impugnazione proposto dal
ricorrente è, oltre che contraddetto dalla costante giurisprudenza di questa
Corte, fallace.
Invero, più volte questa Corte ha osservato che in tema di esigenze
cautelari, lo stato di detenzione per altra causa, anche per effetto di condanna

pericolo di reiterazione di condotte criminose, in considerazione dei molteplici
benefici che l’ordinamento prevede per l’attenuazione del regime carcerario
(Corte di cassazione, Sezione VI penale, 14 giugno 2013, n. 26231;
Sezione II penale, 28 ottobre 2012, n. 41271;

idem,

idem, Sezione IV penale, 5

gennaio 2006, n. 149; idem, Sezione I penale, 18 febbraio 1999, n. 460).
Né vale osservare che, come sostenuto dalla difesa del Vassallo, nel
presente caso le due misure sono eventualmente destinate a soggiacere al
principio del

simul stabunt simul cadent,

sicchè la loro contemporanea

applicazione sarebbe solamente una inutile duplicazione.
Infatti, se è ben vero che la misura già attualmente in corso di applicazione
a carico del Vassallo è relativa a reati che non ne consentono la applicazione di
più blande, è altrettanto vero che il predetto inasprimento del regime cautelare
presuppone pur sempre la esistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Posto che gli stessi, in astratta linea di principio, potrebbero anche essere
soggetti ad una rivalutazione da parte degli organi giudiziari competenti ove
emergessero fatti nuovi in ipotesi favorevoli all’odierno ricorrente, di tal che la
prima misura potrebbe anche essere revocata, senza che ciò debba egualmente
incidere su quella di cui ora si tratta, ecco che il teorema della necessaria
contemporanea vigenze delle due misure proposto dalla difesa dell’indagato
mostra la sua fallacia.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2014
Il Consigliere estensor

Presidente

definitiva, non impedisce la configurabilità né del pericolo di fuga, né del

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA