Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19100 del 02/05/2018


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Penale Ord. Sez. 2 Num. 19100 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: BELTRANI SERGIO

AI Z/4.

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8 D101111 011 10r102

sul ricorso proposto da:
GIORGI ATTILIO N. IL 20/03/1984
avverso l’ordinanza n. 771/2017 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 17/08/2017
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
l e/sentite le conclusioni del PG Dott. Ei e
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 02/05/2018

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha
confermato l’ordinanza con la quale il GIP dello stesso Tribunale, in data 25.7.2017, aveva
applicato nei confronti di ATTILIO GIORGI, in atti generalizzato, indagato per i delitti di
partecipazione (nell’ambito della c.d. locale di Locri) ad associazione di tipo mafioso
aggravata ex art. 416-bis c.p., denominata ‘ndrangheta, ed altro, la misura cautelare della

Contro tale provvedimento, l’indagato, con l’ausilio di un difensore abilitato al patrocinio
innanzi a questa Corte, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione degli artt.
125 e 297 c.p.p. e plurimi vizi di motivazione, lamentando, in particolare, che sarebbe stata
erroneamente negata l’applicazione della “retrodatazione” del termine di fase, chiesta in
applicazione della disciplina dettata dall’art. 297 c.p.p., in presenza di “contestazioni a
catena”, per il rilievo che il diverso procedimento richiamato versa in fase diversa – essendo
già intervenuto il decreto che ha disposto il giudizio di primo grado – rispetto all’odierno
procedimento, pendente ancora in fase d’indagini preliminari: sul punto esisterebbe, tuttavia,
un contrasto di giurisprudenza, poiché l’orientamento asseritamente maggioritario, e
comunque da ritenere fondato, riterrebbe la predetta circostanza priva di rilievo ai fini

de

quibus, sulla scia di quanto sarebbe stato in più occasioni affermato dalla Sezioni Unite. Per

tali ragioni, ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, ed
in subordine la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma

1-bis,

cod. proc. pen., o comunque dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen.
All’odierna udienza camerale, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, le
parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio,
ha deciso come da dispositivo in atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rimesso alle Sezioni Unite.

1. Il Tribunale del riesame (f. 24 s. dell’ordinanza impugnata) premette che la difesa del
GIORGI aveva, in una propria memoria, eccepito la violazione del divieto delle cc.dd.
“contestazioni a catena”, invocando l’operatività dell’istituto della retrodatazione dei termini,
ed in particolare del termine di fase, ex art. 297, comma 2, cod. proc. pen., poiché, a suo
avviso, la piattaforma indiziaria posta a fondamento dell’ordinanza coercitiva impugnata era
connessa e già conoscibile, all’epoca dell’emissione nei propri confronti, di una precedente
ordinanza coercitiva, all’esito della c.d. «operazione Saggio Compagno>>, nell’ambito della
quale il ricorrente risulta imputato per i reati di detenzione illecita di sostanze stupefacenti e
di armi, aggravate ex art. 7 I. n. 201 del 1991 (ora art. 416-bis.1 c.p.), in applicazione della4
quale egli è ristretto in carcere dal gennaio 2016.

custodia in carcere.

1.1. Ciò premesso, e senza valutare specificamente la sussistenza o meno, in fatto, della
situazione che legittimerebbe l’operatività della disciplina della retrodatazione dei termini di
custodia cautelare relativi alla misura de qua ai sensi dell’art. 297 c.p.p., l’adito Tribunale, in
dichiarata adesione ad una decisione della IV Sezione penale (sentenza n. 18111 del 2017),
della cui motivazione riporta ampi brani, ha disatteso la richiesta difensiva, osservando che
«nel procedimento Saggio Compagno GIORGI ATTILIO è di già stato rinviato a giudizio
(come è stato peraltro documentato dalla difesa stessa) e pertanto in quel procedimento la

inoltre, che la misura cautelare comminata [rectius, applicata] in Saggio Compagno è ancora
in atto e perfettamente efficace, per tali motivi si deve respingere la questione relativa alla
retrodatazione di cui all’art. 297, co. 3, c.p.p., posta dalla difesa».

2. Deve immediatamente rilevarsi che la questione oggetto di ricorso è una questione di
diritto, in relazione alla quale non è consentito dedurre vizi di motivazione.

2.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. II, n. 3706
del 21 gennaio 2009, rv. 242634, e n. 19696 del 20 maggio 2010, rv. 247123), anche sotto
la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV, n. 6243 del 7 marzo 1988, rv. 178442), il vizio
di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di
fatto, non anche quello attinente alle questioni di diritto, giacché ove queste ultime, pur se in
maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque
esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove la
soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
2.2. D’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo dall’errata soluzione
di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento
giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV, n. 4173 del
22 febbraio 1994, rv. 197993).
2.3. Deve, pertanto, ribadirsi che, nel giudizio di legittimità, il vizio di motivazione non è
denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando
la soluzione di esse sia giuridicamente corretta, anche perché l’interesse all’impugnazione
potrebbe nascere soltanto dall’errata soluzione delle suddette questioni, non dall’indicazione
di ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta.
3. Ciò premesso, ritiene il collegio che, in ordine alla soluzione della questione di diritto
evocata in ricorso, sussista contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.
3.1. La decisione posta dal Tribunale del riesame a fondamento dell’impugnata decisione
(Sez. 4, n. 18111 del 02/03/2017, P.M. c. Futia, non massimata), premesso che

3

«il

fase cautelare in essere è diversa da quella in atto nel presente procedimento. Risulta,

computo del termine di fase delle misure caute/ari relative a fatti tra loro connessi e ab
origine desumibili dagli atti è suscettibile di retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc.
pen.», e che «la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi
dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., impone, ai fini del calcolo dei termini di fase, di
frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi
omogenee (Sez. F, n. 47581 del 21/08/2014, Di Lauro, Rv. 261262)», ha ritenuto che
«Quest’ultimo principio, peraltro, assume rilievo allorché ambedue i procedimenti,

medesima fase; mentre laddove – come nella specie – il procedimento nell’ambito del quale é
stata emessa la prima misura cautelare sia passato a una fase successiva, in costanza
dell’efficacia della misura ivi applicata, la ratio stessa dell’istituto della contestazione a catena
implica che la misura da ultimo applicata non perde di efficacia quand’anche il procedimento
cui essa accede versi ancora nella fase antecedente (ad esempio, nella specie, in quella delle
indagini preliminari)».
3.1.1. La citata decisione dichiara di aderire, in linea di principio, all’orientamento per il
quale, «In ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi,
la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297,
comma terzo, cod. proc. pen., impone, ai fini del calcolo dei termini di fase, di frazionare la
globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee»
(Sez. fer., n. 47581 del 21/08/2014, Rv. 261262: in applicazione del principio, in quella
occasione questa Corte ritenne che, al fine di verificare l’eventuale decorso del termine di
durata previsto per la fase delle indagini preliminari, il periodo di custodia cautelare sofferto
in altro procedimento dovesse essere computato esclusivamente per la parte compresa tra il
momento dell’arresto e quello di emissione del decreto che disponeva il giudizio).
Nel senso che la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi
dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., impone, per il computo dei termini di fase, di
frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputando solo i periodi relativi a fasi
omogenee, si era, in precedenza, già pronunciata, in due occasioni, la VI Sezione (n. 15736
del 06/02/2013, Rv. 257204: nella specie, questa Corte, pur riconoscendo la retrodatazione
della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ritenne, al fine di verificare se fosse
decorso il termine di durata previsto per la fase delle indagini preliminari, di scomputare dal
periodo complessivo di durata della custodia cautelare, solo le frazioni di tempo relative alla
fase in questione per i due procedimenti; n. 50761 del 12/11/2014, Rv. 261700: nella specie,
questa Corte, in un caso nel quale la seconda ordinanza era stata emessa nel corso delle
indagini preliminari, ritenne corretta la decisione impugnata che, al fine di stabilire se fosse
decorso il termine di durata previsto per detta fase, aveva computato del periodo complessivo

nell’ambito dei quali le susseguenti misure cautelari sono state emesse, versino nella

di durata della custodia cautelare sofferta solo le frazioni di tempo -relative, nei due
procedimenti, alle indagini preliminari).
3.1.2. La citata sentenza n. 18111 del 2017 ha precisato, come premesso, che, nel caso
in cui il procedimento nell’ambito del quale é stata emessa la prima misura cautelare sia
passato a una fase successiva, in costanza dell’efficacia della misura ivi applicata, la ratio
stessa dell’istituto della contestazione a catena implicherebbe che la misura da ultimo
applicata non diventi inefficace quand’anche il procedimento cui essa accede versi ancora

3.2. A questo orientamento se ne contrappone uno di segno diverso, emerso di recente in
seno alle medesime sezioni.
3.2.1. La VI sezione (n. 3058 del 28/12/2016, dep. 2017, Rv. 269285) ha, infatti,
ritenuto che, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti
connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art.
297, comma terzo, cod. proc. pen., non deve essere effettuata frazionando la globale durata
della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee.
Nel caso esaminato, il ricorrente, premessa la sussistenza di una connessione qualificata
tra i reati contestati nelle due diverse ordinanze cautelari de quibus in procedimenti diversi,
nonché la possibilità per il P.M. procedente di desumere alla data dell’emissione della prima
misura gli elementi indiziari in base ai quali era stata emessa la seconda misura, aveva
dedotto l’erronea applicazione del criterio del calcolo del termine con riferimento alle «fasi
omogenee», che avrebbe vanificato la disciplina codicistica ispirata alla

ratio di evitare

l’artificiosa protrazione della custodia cautelare con frazionate contestazioni cautelari, quando
– come nel caso in esame – sia ancora vigente la custodia cautelare applicata per la più
datata misura.
La VI Sezione ha osservato che «Il passaggio di fase nel procedimento nel quale è stato
emesso il primo titolo custodiale nella retrodatazione influisce (…) soltanto nei limiti di cui alla
seconda parte del 3 comma dell’art. 297, dovendo la stessa operare solo se i fatti per i quali è
stata emessa la seconda misura, legati da connessione qualificata, erano già desumibili dagli
atti prima del rinvio a giudizio. Ma non può certo determinare la diluzione dei termini di
custodia cautelare. Attraverso frazionati passaggi di fase dei procedimenti, che dovevano
procedere riuniti, si verrebbe a vanificare quella che il Giudice delle leggi ha identificato come
la fondamentale garanzia sottesa alla regola della retrodatazione, che è quella che si è sopra
evidenziata della necessità di concentrare in un unico contesto temporale le vicende caute/ari,
destinate a dar luogo a simultanei titoli custodiali (perché relative a quelle situazioni tipizzate
dalle Sezioni Unite, cfr. Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato). Se è questa la

nella fase antecedente (ad esempio, nella specie, in quella delle indagini preliminari).

finalità del meccanismo di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. non è certo il mero
scomputo del solo presofferto per la fase omogenea a realizzare la garanzia prevista dal
legislatore, proprio perché, alla base dell’istituto, vi è la constatazione che i diversi titoli
cautelari dovevano essere emessi simultaneamente, dando luogo ad un medesimo percorso
cautelare, indipendentemente dalle scelte del pubblico ministero in ordine all’eventuale
separazione dei relativi procedimenti penali».

3.2.2. Nel medesimo senso, la IV Sezione (n. 36088 del 06/06/2017, Rv. 270759) ha

pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della
decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., non
deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi
solo i periodi relativi a fasi omogenee.
4. Il ricorrente ha chiesto, per il caso in cui non dovesse essere condiviso quest’ultimo
orientamento, a sé favorevole, poiché potrebbe comportare la declaratoria di inefficacia
dell’impugnata misura, la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618,
comma

1-bis,

cod. proc. pen., introdotto con I. n. 103 del 2017, sul presupposto

dell’esistenza in argomento anche di un principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.
4.1. La richiesta è infondata.
4.1.1. Come osservato dalla IV Sezione con la già citata sentenza n. 36088 del 2017, le
Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 21957 del 22/03/2005, dep. 10/06/2005, Rv. 231057;
Sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, Rv. 235909; Sez. U, Sentenza
n. 45246 del 19/07/2012, dep. 20/11/2012, Rv. 253549) hanno individuato come segue le
diverse ipotesi di retrodatazione dei termini di custodia cautelare, in riferimento al disposto di
cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., anche a seguito delle sentenze della Corte
Costituzionale n. 408 del 2005 e n. 233 del 2011:
– nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei
confronti di un imputato una misura custodiale per lo stesso fatto, diversamente
circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale, da continuazione o
da connessione teleologica, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, la
retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive
opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al
momento dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare
le successive misure; si tratta della prima ipotesi, disciplinata dall’art. 297, comma 3, cod.
proc. pen.;

successivamente ribadito, in dichiarata adesione alla predetta decisione, che, in ipotesi di

- nel caso in cui le ordinanze caute/ari adottate nello stesso procedimento riguardino
invece fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata prevista dall’art. 297,
comma 3, cod. proc. pen., la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della
prima erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le misure applicate con le
ordinanze successive; si tratta di ipotesi non espressamente disciplinata dall’art. 297, comma
3, cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21957 del 22/03/2005, dep. 10/06/2005, Rv.
231059);

custodiali per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la
retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., opera per i fatti desumibili
dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima
ordinanza;
– nel caso in cui le ordinanze caute/ari adottate in procedimenti diversi riguardino invece
fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda
erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda
ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata, la prima solo se i due
procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può
essere frutto di una scelta del pubblico ministero (Sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006,
dep. 10/04/2007, Rv. 235909);
– la disciplina stabilita dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., per la decorrenza dei
termini di durata della custodia cautelare, si applica anche nell’ipotesi in cui, per i fatti
contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in
giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura.
4.1.2. Le Sezioni Unite non si sono, quindi, mai direttamente interessate della questione,

essendosi limitate ad affermare (come osservato dalla VI sezione, con la già citata sentenza
n. 3058 del 2017), che l’esigenza di «riallineare» fattispecie cautelari, che, pur dovendo
nascere in un unico contesto temporale (con l’effetto di comportare una contestuale
compressione della libertà personale), si siano sviluppate in tempi successivi, diluendo i
termini di durata della custodia cautelare – che costituisce

ratio della regola della

retrodatazione dei termini di custodia cautelare (ovvero la decorrenza del termine di custodia
cautelare dal giorno della esecuzione del primo provvedimento) sussiste non solo in presenza
di fatti oggetto del medesimo procedimento (che per la loro connessione, sono destinati ad
essere trattati congiuntamente), ma anche di fatti, oggetto di procedimenti diversi, che,
ci.ì…..
essendo connessi e noti prima del rinvio a giudizio, avrebbero dovuto essere riuniti nello
stesso procedimento, ovvero che di fatti, per i quali non sussiste la connessione qualificata

•+.

– quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze

ma che per «scelta» del pubblico ministero non siano stati riuniti nello stesso procedimento
(Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235909).
Inoltre, con riguardo ai casi nei quali la riunione dei procedimenti non è più possibile, per
la scelta del pubblico ministero di procedere con la fase del giudizio per i reati oggetto della
ordinanza più risalente, il pubblico ministero può evitare la scadenza dei termini per i suddetti
reati, laddove sia necessario altro tempo per completare le indagini per i reati relativi alla
seconda ordinanza cautelare, ma non può impedire di far operare il meccanismo della

quanto «l’autorità giudiziaria non può «scegliere» momenti diversi dai quali far decorrere i
termini delle relative misure quando si trova in presenza di più fatti per i quali i provvedimenti
restrittivi potrebbero essere adottati contemporaneamente>>.
5. Nondimeno, la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, pur non obbligatoria, appare
senz’altro opportuna,

ex

art. 618, comma 1, c.p.p., in presenza di contrasto

sull’interpretazione dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., i cui effetti

de líbertate

appaiono potenzialmente rilevantissimi, e pertanto tali da non potere costituire oggetto di
incertezze.
5.1. D’altro canto, secondo la giurisprudenza della Corte EDU (Sez. I, sentenza 30 luglio
2015, caso Ferreira Santos Pardal c. Portogallo, che esprime un orientamento mai posto in
discussione successivamente, e quindi consolidato, tenuto anche conto dei meccanismi
processuali di devoluzione della questioni controverse o di particolare rilevanza, alla Grande
Chambre, previsti dall’art. 30 della Convenzione EDU),

«divergenze nella giurisprudenza

sono un risultato insito in ogni sistema giuridica basato su una rete di tribunali e corti
d’appello con autorità sull’area della propria giurisdizione territoriale (…) tuttavia, il ruolo di
una Corte suprema è precisamente quello di risolvere tali conflitti. Qualora si sviluppasse una
prassi divergente all’interno di una delle più alte autorità giudiziarie del paese, tale Corte
diverrebbe una sorgente d’incertezza giuridica, minando in tal modo il principio di certezza del
diritto e riducendo la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario>>, con violazione della
garanzia accordata dall’art. 6, § 1, della Convenzione EDU, poiché il processo celebrato in
presenza di un tale stato d’incertezza giuridica non potrebbe definirsi equo.
6. Deve, per completezza, rilevarsi che l’indagato ha senz’altro interesse alla sollecitata
decisione, essendo contestualmente attinto da due ordinanze che hanno disposto in suo
danno la misura cautelare della custodia in carcere, una nel presente procedimento – che
versa in fase d’indagine preliminare – per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., con applicazione
del regime cautelare previsto dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen.; l’altra, più datata,
nel separato procedimento – in fase di giudizio – per i reati di detenzione illecita di sostanze

retrodatazione (Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia, Rv. 231058, in motivazione), in

stupefacenti e di armi, aggravate ex art. 7 I. n. 201 del 1991 (ora art. 416-bis.1 c.p.), con
applicazione di un regime cautelare in parte più favorevole.
La misura applicata nell’ambito del presente procedimento potrebbe, infatti, secondo uno
degli orientamenti emersi, essere dichiarata inefficace.

7. In conclusione, preso atto dell’esistenza dell’illustrato contrasto giurisprudenziale in
ordine alla questione sottoposta a questa Corte dal ricorrente con l’unico motivo posto a

regolatore delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., sulla seguente questione
di diritto:
«Se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure caute/ari per fatti connessi,
la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma
terzo, cod. proc. pen., deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia
cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee>>.

7.1. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.
P.Q.M.
letto l’art. 618 cod. proc. pen., rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.
proc. pen.
Così deciso in Roma, udienza camerale 2 maggio 2018
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fondamento del chiesto annullamento della sentenza impugnata, si impone l’intervento

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