Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19084 del 13/02/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19084 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARRALE SALVATORE N. IL 10/06/1957
CIANCIMINO GIUSEPPE N. IL 01/04/1955
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 93/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
25/11/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
lette/sestite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 13/02/2013

…. 1• 1u 1

18654/2011

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25 novembre 2010, pronunciata a seguito di annullamento con rinvio di
questa Suprema Corte avente per oggetto un precedente provvedimento che concedeva loro
indennizzo riparatorio di ingiusta detenzione, la Corte d’appello di Firenze ha respinto la
relativa istanza di Salvatore Barrale e Giuseppe Ciancimino di riparazione per ingiusta
detenzione subita in un procedimento penale instauratosi a loro carico per reati di spaccio di
stupefacenti provenienti dalla Colombia e di associazione a delinquere di tipo mafioso in cui

2. Avverso l’ordinanza il loro difensore ha presentato ricorso, denunciando violazione
dell’articolo 314 c.p.p. e vizio motivazionale: non sarebbero state correttamente valutati ex
articolo 314 c.p.p. gli elementi addotti, anche alla luce della finale assoluzione. In particolare,
osserva che la sentenza di questa Suprema Corte (sez. IV, 7 ottobre 2009 n. 1469) aveva
devoluto alla corte territoriale di valutare se nella condotta antecedente all’arresto degli istanti
fossero ravvisabili dei comportamenti idonei a ingenerare la convinzione, sebbene erronea, dei
presupposti della custodia cautelare. Ciò avrebbe dovuto peraltro essere valutato rispetto alle
gravi accuse da cui era scaturito l’arresto. Sarebbe stato pertanto erroneo assumere che i
contatti telefonici o personali con altri coimputati ed addirittura con quelli che poi avevano
rilasciato dichiarazioni eteroaccusatorie fossero “sospetti” considerato che la definitiva
sentenza assolutoria li aveva reputati leciti; inoltre l’ordinanza applicativa della misura
cautelare si fondava sulle chiamate in correità e non su tali contatti. Occorre poi un criterio di
proporzionalità tra le condotte sospette e la tipologia dell’accusa, nel caso mancante. Non
varrebbe poi ritenere che i rapporti commerciali intercorsi fossero stati di dubbia correttezza;
la valutazione della colpa infatti non può prescindere da quanto accertato nel processo. Anche
qualora, infine, vi fosse stata una condotta colposa degli istanti in ordine alla causazione della
misura cautelare, sarebbe applicabile l’articolo 1227 c.c., perché l’eventuale loro colpa avrebbe
interagito con una condotta colposa di altri.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
La corte territoriale ha svolto un accurato esame per valutare quale fosse il quadro indiziario
al momento della emissione della misura cautelare rispetto alla quale si chiede riparazione per
ingiusta detenzione, allo scopo anche acquisendo il fascicolo processuale del procedimento
penale de quo. Dando atto della irrilevanza delle chiamate in correità, perché agli istanti non
riconducibili, individua “plurimi elementi indizianti discendenti dalla loro condotta”. Considera al
riguardo il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali da cui si evince che i
ricorrenti “hanno mantenuto per lungo tempo costanti e continui rapporti con soggetti
malavitosi (fra cui gli stessi chiamanti in correità e rei confessi sui traffici di droga in

erano stati assolti per non aver commesso il fatto.

questione…)” ed effettuato ripetuti viaggi per avere rapporti con costoro, con i quali inoltre
“usavano un linguaggio volutamente criptico e omertoso, con l’utilizzo di termini di copertura”
incompatibile con le loro ufficiali attività, così da rafforzare negli inquirenti la convinzione che
stessero coprendo attività illecite. A ciò si aggiunge che nei loro interrogatori non hanno dato
adeguate risposte, limitandosi a una generica negazione degli addebiti e che nella macchina di
Ciancimino furono trovate banconote false per L. 1.200.000 subito dopo l’incontro con uno dei
chiamanti in correità. La corte ha poi evidenziato l’irrilevanza dell’essere stati ritenuti tali
dovendosi, come imposto dalla sentenza di rinvio, valutare la condotta degli istanti al momento
della emissione della misura cautelare e del suo mantenimento. Il mantenimento in carcere,
segnala altresì la corte, veniva corroborato da ulteriori fondate ragioni rappresentate dai due
provvedimenti del Tribunale di Palermo con cui i suddetti furono sottoposti a sorveglianza
speciale, evidenziando la loro prossimità ad associazioni criminali dedite a traffici di droga e un
tenore di vita così alto da non essere spiegabile con le loro lecite disponibilità. In conclusione la
corte ha ritenuto sussistente un comportamento gravemente colposo valutato con giudizio ex
ante, come detta l’articolo 314 c.p.p. quale ostacolo al riconoscimento del diritto alla
riparazione, non potendosi quindi definire ingiusta la detenzione.
Il ragionamento così sintetizzato della corte è chiaramente congruo ed esente da illogicità, e
d’altronde perfettamente conforme alla corretta interpretazione dell’articolo 314 c.p.p. Per
consolidata giurisprudenza, invero, avere dato causa o concausa alla custodia cautelare per
dolo o colpa grave costituisce circostanza ostativa al riconoscimento del diritto all’equa
riparazione per ingiusta detenzione (per tutte S.U. 27 maggio 2010 n. 32383) e al suo
accertamento si deve procedere in modo del tutto autonomo rispetto al ragionamento del
giudice del processo penale (ex multis S.U. 26 giugno 2002, n. 34559) in rapporto alla
situazione esistente al momento in cui il provvedimento cautelare è stato emesso o mantenuto
(p. es. Cass.sez. IV, 1 luglio 2008-31 luglio 2008 n. 32367 e Cass.sez. IV, 19 giugno 2008 n.
30408).
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
con conseguente condanna di ciascun ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.

077

elementi insufficienti per la condanna (dando luogo ad una assoluzione peraltro dubitativa),

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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