Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1906 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1906 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARISI MARIO N. IL 25/07/1976
avverso l’ordinanza n. 131/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
29/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
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lette fst~ le conclusio del PG Dott.
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Data Udienza: 13/12/2013

Uditi difensor Avv.;

Pi

La Corte di Appello di
Napoli, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 29.03.2012 rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Parisi Ilario per
ingiusta detenzione in regime di arresti domiciliari dal
2.11.2009 al 26.11.2009 perché sospettato del reato di cui
agli articoli 81 cpv,10 c.p. e 73 d.PR. 309/90, reato da
cui era stato assolto con la formula “perché il fatto non
sussiste” con sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere del 22 luglio 2010, irrevocabile il 3 marzo 2011.
Parisi Ilario, a mezzo del suo difensore, proponeva quindi
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di cui sopra e
concludeva chiedendo di volerla annullare.
Il
ricorrente
censurava
l’ordinanza
impugnata
per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314 e
315 cod.proc.pen. e per carenza della motivazione, in
particolare nella parte in cui la Corte di appello
rimproverava in termini di colpa grave condotte
insuscettibili di essere riguardate alla stregua di
macroscopica negligenza e trascuratezza. In particolare vi
sarebbe carenza di motivazione sulla gravità della colpa,
avendo la Corte di appello accertato che il Parisi
acquistava le sostanze stupefacenti per uso personale e di
gruppo, condotta inquadrabile nell’art.75 d.PR.309/90 e
non nell’art.73 (secondo l’ordinanza impugnata la condotta
gravemente imprudente del ricorrente sarebbe consistita
nell’acquistare sostanza stupefacente per sé e per suo
cugino Michele Arciprete). Ci sarebbe inoltre carenza di
motivazione in merito alla condotta processuale
dell’istante, ai fini del mantenimento della misura
cautelare.
Pertanto, ad avviso della ricorrente, non sussisterebbe
la colpa grave, impeditiva del riconoscimento del diritto
all’equa riparazione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato, presentava memoria
in cui chiedeva di volere rigettare il ricorso.

Ritenuto in fatto

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione per
l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314 e ss.
c.p.p., trova fondamento nella condizione soggettiva della
persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso
ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro
di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che

m

3

(

appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un
danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che
producono il sorgere, quali conseguenze di principi di
solidarietà e di giustizia distributiva, di
responsabilità da atto lecito( la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e
responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass.
SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia,
l’assetto delle regole generalissime che disciplinano
l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il
procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta
detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il
rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, e’
tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la
conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i
fatti costitutivi
della
domanda,
la
custodia
cautelare subita e la successiva assoluzione
Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla
esistenza di una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione intesa a
cogliere tali condizioni deve scandagliare solo
l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel concorso
dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole
e non congetturale il giudice a stabilire la misura della
detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000
n. 1705) .
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia
dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente
dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto
dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi
di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione
come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite,
Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie che ci
occupa, il giudice della riparazione ha ravvisato la colpa
grave nella condotta ascrivibile al ricorrente consistente
nell’acquisto per sé e per il cugino, cui successivamente
la cedeva, di sostanza stupefacente. Al contempo,
tuttavia, ha richiamato la sentenza di assoluzione, la
quale aveva chiarito come il testo delle conversazioni
intercettate, sulla quale si basava la disposizione della
misura cautelare, “se letto con attenzione, dimostrava si

Pi

L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con
rinvio alla Corte di appello di Napoli.
PQM
Annulla con rinvio la impugnata ordinanza e dispone la
trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma il 13.12.2013

che in alcuni casi l’oggetto era sicuramente il consumo di
droghe leggere_ ,ma anche che si trattava di rituali del
tutto privati, vale a dire delle forme di consumo di
gruppo che evidentemente in qualche occasioni Parisi
Ilario doveva aver condiviso con amici e parenti”.
La Corte territoriale, nel proprio provvedimento, non ha
però chiarito quali siano stati i comportamenti colposi o
dolosi posti in essere e quale sia stata, particolare, la
condotta posta in essere dal Parisi che possa considerarsi
in rapporto di causa ad effetto rispetto alla detenzione.
La Corte di merito non ha infatti indicato quali condotte
siano state poste in essere dall’odierno ricorrente che
abbiano indotto gli inquirenti a ritenere che il Parisi
fosse in effetti fornitore di sostanza stupefacente del
cugino Arciprete Michele e che non si vertesse invece in
una ipotesi di consumo di gruppo.
Il provvedimento
in questione non appare quindi
congruamente motivato, non avendo individuato la Corte di
appello quali condotte dolose o gravemente colpose abbia
posto in essere Parisi Ilario che abbiano avuto incidenza
causale sull’adozione della misura cautelare, non avendo
altresì indicato il giudice della riparazione le ragioni
che avevano reso necessaria la protrazione della
detenzione da lui subita.

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