Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19052 del 10/01/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19052 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Felice De Pietro, nato a Molfetta (BA) il 9.4.1951
avverso l’ordinanza del 19 luglio 2012 emessa dal Tribunale di Bari;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale Alfredo Pompeo Viola,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 10/01/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Bari, in accoglimento
dell’appello del pubblico ministero proposto ex art. 310 c.p.p., ha disposto la
misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Felice De Pietro,
riformando il provvedimento del 25 maggio 2012 con cui il G.i.p. di quello

esigenze cautelari a causa delle dimissioni volontarie dell’imputato dall’ASL
BA, dove aveva ricoperto il ruolo di direttore amministrativo, incarico che,
secondo l’accusa, gli avrebbe consentito di contribuire alla realizzazione del
programma criminoso perseguito dall’associazione per delinquere capeggiata
dall’assessore alla sanità Alberto Tedesco, associazione di cui lo stesso De
Pietro avrebbe fatto parte.
Il Tribunale, dopo aver riportato integralmente il contenuto di una sua
precedente ordinanza in cui affermava la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza per il reato di cui all’art. 416 c.p. e la presenza delle esigenze
cautelari che giustificavano l’applicazione della misura cautelare degli arresti
domiciliari – peraltro mai eseguita perché revocata dal G.i.p. in pendenza del
ricorso per cassazione presentato dall’imputato, ricorso dichiarato
inammissibile per sopravvenuta mancanza di interesse -, ha ritenuto che la
collocazione in quiescenza dell’imputato per effetto delle dimissioni volontarie
non ha fatto venire meno le esigenze cautelari, in quanto lo

status di

quiescenza non avrebbe prodotto il venir meno del rapporto di lavoro del De
Pietro con l’Azienda sanitaria locale in assenza di una dichiarazione di
estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato da parte dell’Azienda,
sicché l’imputato ben potrebbe revocare le dimissioni al fine di essere
reintegrato nel suo ruolo di funzionario, ruolo che gli avrebbe consentito di
mettersi a disposizione dell’associazione criminale per la realizzazione degli
interessi illeciti del sodalizio.
Inoltre, il Tribunale ha messo in evidenza come non risultino interrotti i
rapporti dell’imputato con gli uffici sanitari baresi, dal momento che
contestualmente alle dimissioni il direttore generale della ASL confermava
l’incarico di De Pietro quale amministratore unico presso la società in house
“Sanità service ASL Ba s.r.l.” – società interamente partecipata dalla ASL di
Bari -, circostanza questa che, secondo i giudici, rappresenta una conferma

stesso Tribunale aveva revocato la stessa misura ritenendo cessate le

della persistente volontà da parte dell’imputato dì continuare a detenere
rilevanti compito di responsabilità gestionale ed amministrativa all’interno
della sanità pugliese, ambito nel quale avrebbe posto in essere i reati
contestatigli.
Infine, i giudici baresi hanno escluso che il decorso del tempo dai fatti
oggetto di contestazione possa considerarsi elemento sufficiente ad escludere

pervicacia nella sua condotta illecita, dimostrata dalla spregiudicatezza nella
gestione della cosa pubblica, sistematicamente piegata a finalità di illecito
profitto privato, sottolineando come il pericolo di reiterazione dei reati appare
ancora concreto ed attuale in considerazione della condotta processuale
dell’imputato, che sottacendo all’autorità giudiziaria procedente le cariche da
lui ancora rivestite nella struttura pubblica dell’ASL, sarebbe riuscito ad
ottenere la revoca della misura cautelare.

2. Contro questa ordinanza il difensore di De Pietro ha proposto ricorso
per cassazione per i motivi di seguito indicati:
– violazione dell’art. 597 c.p.p., in quanto il Tribunale non avrebbe
circoscritto la sua indagine all’unico punto oggetto dell’appello del pubblico
ministero, che riguardava solo la sussistenza delle esigenza cautelari,
svolgendo la sua motivazione anche in relazione ai gravi indizi di
colpevolezza;
– violazione degli artt. 273 c.p.p. e 416 c.p., in ordine alla insussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza e alla configurabilità del reato associativo;
-violazione degli artt. 273, 192 c.p.p., 416 e 42-43 c.p., in ordine alla
partecipazione alla stessa associazione per delinquere;
– violazione degli artt. 273, 192 c.p.p. e 416 c.p., con riferimento
all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all’appartenenza
dell’imputato alla associazione per delinquere fondata sul reato-fine di cui al
capo N), dichiarato insussistente dal primo G.i.p., e in rapporto al quale il
Tribunale aveva già dichiarato l’inammissibilità dell’appello del pubblico
ministero per genericità dei motivi;
– violazione dell’art. 274 c.p.p. ed illogicità della motivazione in ordine
alla sussistenza delle esigenze cautelari: in particolare, si censura il
provvedimento impugnato per avere ritenuto, erroneamente, che le dimissioni

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il pericolo di reiterazione, in quanto nella specie l’imputato ha dimostrato una

volontarie offerte da De Pietro non impedirebbero il suo rientro nell’ASL e,
Inoltre, viene rilevato come l’incarico presso la società “Sanità Service ASL Ba
s.r.l.” risulta cessato il 15.7.2012; sotto un diverso profilo, viene rilevato
come a seguito delle indagini e del clamore che queste hanno prodotto in
ambito non solo regionale la “rete” che, secondo l’accusa, sarebbe stata
costituita da Tedesco e dai suoi sodali, tra cui anche l’attuale ricorrente,

di ritenere ancora esistenti le esigenze cautelari dirette ad evitare la
reiterazione dei reati;
– violazione dell’art. 274 c.p.p. e vizio di motivazione, in ordine alla
mancata applicazione di una misura cautelare meno afflittiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo, con cui si censura l’ordinanza impugnata per non
essersi limitata all’oggetto dedotto con l’appello del pubblico ministero, riferito
alle sole esigenze cautelari, è del tutto infondato, in quanto i giudici del
Tribunale di Bari hanno espressamente sottolineato che l’impugnazione
proposta era circoscritta alla verifica della sussistenza delle esigenze cautelari
e alla rilevanza a questi fini delle intervenute dimissioni del De Pietro dalla
carica rivestita all’interno della ASL di Bari: i riferimenti contenuti
nell’ordinanza alle condotte del ricorrente e, quindi indirettamente alla
esistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei suoi confronti, vanno letti
esclusivamente come strumentali alla motivazione sulla persistenza delle
esigenze cautelari.

4.

I motivi con cui il ricorrente contesta – peraltro in maniera

contraddittoria rispetto al primo motivo – la ritenuta sussistenza dei gravi
Indizi di colpevolezza in ordine ai reati oggetto dell’imputazione provvisoria
sono da ritenere inammissibili.
Infatti, risulta dagli atti che con provvedimento del 23.2.2011 il G.i.p. del
Tribunale di Bari aveva respinto la richiesta della misura cautelare della
custodia in carcere avanzata nei confronti di De Pietro e che, a seguito di
appello del pubblico ministero, il Tribunale di Bari, in data 18.7.2011,
applicava nei suoi confronti la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari in

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sarebbe ormai “definitivamente disarticolata”, con conseguente impossibilità

relazione al reato di cui all’art. 416 c.p.; questo provvedimento veniva
impugnato dall’indagato davanti alla Corte di cassazione che, con sentenza del
31.5.2012, dichiarava l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di
interesse a seguito di rinuncia da parte del ricorrente; la rinuncia era dipesa
dal fatto che, pendente il ricorso per cassazione, l’indagato aveva formulato al
G.i.p. istanza di revoca della misura cautelare ai sensi dell’art. 299 c.p.p.,

avevano determinato la cessazione delle esigenze cautelar’, istanza che
veniva accolta in data 25.5.2012 dal giudice; ed è contro quest’ultimo
provvedimento che il pubblico ministero ha proposto appello ai sensi dell’art.
310 c.p.p., appello che l’ordinanza del Tribunale di Bari ha accolto e che è
oggi all’esame di questa Corte a seguito del ricorso presentato nell’interesse
del De Pietro.
Da questa ricostruzione della complessa fase cautelare, deriva che non
può oggi il ricorrente riproporre questioni attinenti ai gravi indizi di
colpevolezza, dopo che vi ha rinunciato espressamente, determinando la
conseguente inammissibilità del ricorso proposto a suo tempo davanti a
questa Corte. Si tratta di questioni da ritenere ormai precluse a causa
dell’intervenuta rinuncia al ricorso e dalla diversa prospettiva difensiva che si
è venuta a determinare a seguito del fatto nuovo individuato nelle dimissioni
dell’indagato.

5. Infine, sono da ritenere infondati i motivi riguardanti le esigenze
cautelari.
Si rileva che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare
che il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell’incolpato di
reati contro la pubblica amministrazione non è di per sé impedito dalla
circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio
nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata, purché il
giudice fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla “mancata
rilevanza della sopravvenuta cessazione del rapporto, con riferimento alle
circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di
analoghe condotte criminose da parte dell’imputato, pur nella mutata veste di
soggetto estraneo ormai alla pubblica amministrazione, in situazione, perciò,
di concorrente in reato proprio, commesso da altri soggetti muniti della

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adducendo che le intervenute dimissioni volontarie dall’incarico presso l’ASL

qualifica richiesta” (Sez. VI, 28 gennaio 1997, n. 285, Ortolano; Sez. VI, 16
dicembre 2009, n. 1963, Rotondo).
In altri termini, si richiede in questi casi che la validità di tale principio sia
rapportata al caso concreto, in cui il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo
di quella contestata sia reso probabile da una “permanente posizione
soggettiva dell’agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur

aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di
appartenenza del reato commesso” (Sez. VI, 10 marzo 2004, n. 22377,
Pierri).
Nella specie, il Tribunale si è puntualmente attenuto a questi principi,
formulando al riguardo una coerente e logica motivazione, in cui si è messo in
evidenza che la cessata carica di direttore amministrativo dell’ASL non ha
fatto venire meno il pericolo di recidiva, dal momento che De Pietro continua
a mantenere relazioni e rapporti con burocrati e funzionari rimasti all’interno
dell’amministrazione sanitaria grazie anche al rilevante ruolo amministrativo
svolto in passato, come dimostra il fatto che ha ottenuto un incarico
strettamente collegato al settore della sanità, come quello di amministratore
della società in house “Sanità service ASL Ba s.r.l.”, a nulla rilevando ai fini
che qui interessano che sia poi cessato, dal momento che tale circostanza
appare comunque in grado di confermare l’assunto ritenuto nell’ordinanza
circa l’attualità dell’inserimento dell’imputato nel settore della sanità; in altri
termini, il pericolo di reiterazione dei reati è stato individuato nei dimostrati
collegamenti e interessi che l’indagato ha con le strutture sanitarie pubbliche
e private.
Si tratta di una motivazione che appare congrua, logica, basata su un
attento esame degli atti processuali e come tale non censurabile in questa
sede.

6. Il ricorso, quindi, deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente
al pagamento delle pese processuali.
A seguito della presente decisione l’ordinanza impugnata è divenuta
esecutiva, per cui si dispone che la Cancelleria, ai sensi dell’art. 28 reg. esec.
c.p.p., trasmetta il dispositivo di questa sentenza al Tribunale di Bari.

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nell’ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg esec.
c.p.p.

Il Consigli re tensore

I Presidente

Così deciso i 10 gennaio 2013

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