Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19032 del 26/03/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19032 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOPEZ ANTONIO N. IL 23/09/1977
avverso la sentenza n. 732/2010 CORTE APPELLO di GENOVA, del
12/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Altv (-4)
che ha concluso per
jr_ts-1. g.t.Le

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 26/03/2013

RITENUTO IN FATTO

1, La Corte di appello di Genova, con sentenza del 12.1.2012, ha confermato
la decisione con la quale, in data 23.6.2009, il Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale della Spezia, a seguito di giudizio abbreviato, aveva riconosciuto
Antonio LOPEZ responsabile del reato di illecita detenzione g. 146 di cocaina,

giudicati, per farne a sua volta commercio.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce che i decreti autorizzativi delle
operazioni di intercettazione effettuate non sarebbero stati presenti negli atti di
indagine, con la conseguenza che la difesa non sarebbe stata posta in grado di
valutarne legittimità, validità ed efficacia e che la Corte territoriale avrebbe
erroneamente disatteso l’eccezione.

3. Con un secondo motivo di ricorso rileva la indebita utilizzazione della
sentenza del Tribunale di Parma relativa alla posizione dei venditori dello
stupefacente separatamente giudicati, inviata da quel Tribunale a dimostrazione
dell’avvenuta distruzione dello stupefacente sequestrato dopo che ne era stato
chiesto l’invio per l’espletamento di una perizia tossicologica e la cui acquisizione
agli atti non era stata richiesta.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione, osservando
che la sua identificazione quale interlocutore dal nome «Antonio», menzionato
nelle intercettazioni, sarebbe stato frutto di una contraddittoria valutazione delle
emergenze probatorie.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è infondato.
Con riferimento al primo motivo di ricorso va osservato che la giurisprudenza
di questa Corte, opportunamente richiamata dai giudici del gravame, ha
Il

corrispondente a 2.613 dosi, che acquistava da altri soggetti, separatamente

affermato che l’assenza dei decreti autorizzativi delle intercettazioni negli atti del
fascicolo del giudizio abbreviato non determina alcuna inutilizzabilità o nullità dei
relativi risultati, ove non ne venga messa in discussione l’esistenza e la validità
(Sez. IV n.14436, 2/4/2009).
Il ricorrente assume che il richiamo a tale principio non sarebbe pertinente,
avendo egli rappresentato che i decreti autorizzativi «non erano presenti nelle

indagini e che tale omissione perdurava anche in sede di appello» e che tale
rilievo costituiva contestazione dell’esistenza dei suddetti decreti.

ricorrente assume in modo netto di aver rilevato la materiale inesistenza dei
decreti autorizzativi, limitandosi in sostanza ad affermare, a fronte di quanto
osservato dai giudici del gravame, di averne evidenziato l’assenza nel fascicolo e
che ciò doveva intendersi come contestazione della loro esistenza.
Dalla motivazione della sentenza impugnata, però, emerge chiaramente che
non vi è stata alcuna doglianza da parte della difesa circa la fisica inesistenza dei
decreti e che, anzi, questa aveva avuto la possibilità di esaminarli a seguito di
rituale deposito ai sensi dell’art. 268, comma 4 e 5 cod. proc. pen., la cui
effettuazione non è stata contestata.
Tale contestazione, invero, non viene formulata neppure in ricorso, cosicché
risulta evidente che i giudici del gravame hanno fatto buon uso del principio
giurisprudenziale richiamato.

6. Anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso risulta di macroscopica
evidenza.
La Corte del merito ha chiaramente specificato che, a seguito di richiesta di
giudizio abbreviato condizionato all’espletamento di una

perizia

sullo

stupefacente sequestrato, era stata richiesta la trasmissione del reperto alla
cancelleria del Tribunale di Parma che aveva separatamente proceduto al giudizio
nei confronti degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, ricevendo comunicazione
che lo stupefacente era stato distrutto, unitamente a copia della sentenza e della
perizia tossicologica effettuata dal Pubblico Ministero in quel processo.
Stante l’impossibilità di espletare l’incombente istruttorio, veniva revocato il
giudizio abbreviato e l’imputato formulava nuova richiesta di giudizio abbreviato
non condizionato, cosicché la Corte territoriale ha riconosciuto pienamente
valida la presenza nel fascicolo processuale della sentenza precedentemente
inviata.
Tale soluzione interpretativa viene però contestata in ricorso, sostenendo
che la scelta del rito non precluderebbe la possibilità di sollevare questioni sulla
utilizzabilità delle prove se illegittimamente assunte ed escludendo

2

che la

Tale assunto appare del tutto infondato, perché neppure in ricorso il

sentenza potesse essere acquisita ai sensi dell’art. 238 cod. proc. pen.

7. Date tali premesse, pare sufficiente ricordare quanto affermato (SS. UU. n.
16, 30 giugno 2000) sulla natura del giudizio abbreviato quale procedimento «a
prova contratta», caratterizzato da un «patteggiamento negoziale sul rito»,
ovvero quale «scelta negoziale di tipo abdicativo» (SS.UU. n. 16 cit., Sez. III
n.29240, 3 agosto 2005) alla scelta del quale – ora soltanto da parte
dell’imputato, che beneficia di un trattamento sanzionatorio più favorevole –

rinuncia alla richiesta di ulteriori mezzi di prova, con consequenziale attribuzione
agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari di un valore probatorio di
regola non ammissibile nel giudizio ordinario.
Gli atti probatori inutilizzabili sono infatti solo quelli affetti da nullità di
carattere assoluto o da un vizio cosiddetto patologico, che non avrebbero
ingresso non solo nel dibattimento, ma anche in ogni altra fase del procedimento
(Sez. IV n. 31304, 19 agosto 2005; Sez. III n. 29240, 3 agosto 2005).
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha dunque correttamente affermato che
la scelta del rito non consentiva di porre in discussione la ritualità
dell’acquisizione degli atti ma soltanto il loro valore probatorio.
A tale proposito si osserva anche, nella sentenza impugnata, che nessuna
deduzione in tal senso è stata mossa dalla difesa, neppure con riferimento alle
risultanze degli accertamenti tossicologici espletati nel precedente giudizio.
Anche sul punto, pertanto, la decisione impugnata si presenta del tutto
immune da censure.

8. A non diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo

di ricorso.
Lo stesso è articolato in fatto e si risolve nella prospettazione di una
valutazione alternativa delle emergenze probatorie che non è consentita in
questa sede.
In ogni caso, le censure mosse prendono in considerazione solo parte dei
dati fattuali utilizzati dai giudici del merito per pervenire alla identificazione
dell’imputato.
Il ricorrente si riferisce, infatti, alle dichiarazioni rese da alcune persone,
interpellate perché avevano avuto contatti con l’utenza telefonica intercettata
utilizzata dal destinatario della droga e che risultava intestata ad ignara titolare
di un esercizio commerciale, osservando che i giudici avrebbero valorizzato solo
quella di tale Salvatore RAIMONDI, il quale aveva dichiarato di conoscere
l’imputato e mostrato un’agenda telefonica, mentre avrebbero ridotto al rango di

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consegue l’accettazione di un giudizio allo stato degli atti di indagine e la

mera ipotesi della difesa il risultato delle dichiarazioni dell’altra persona escussa.
In realtà la Corte di appello, nel prendere in esame la specifica doglianza, ha
puntualmente esaminato ogni singolo aspetto delle deduzioni sviluppate dalla
difesa e riproposte in ricorso, puntualmente confutandole con argomentazioni
scevre da cedimenti logici o manifeste contraddizioni ma, sopratutto, ha chiarito
in modo ineccepibile come l’identificazione dell’imputato fosse fondata su
ulteriori, significativi elementi che in ricorso vengono platealmente ignorati.
Infatti la Corte territoriale diffusamente illustra le risultanze delle verifiche

utilizzata su cinque diversi telefoni cellulari (univocamente identificati con i
relativi numeri IMED, tre dei quali certamente in uso all’imputato ed a suoi
familiari e che tutte le conversazioni intercettate tra quel numero telefonico e
quello assegnato ad uno dei degli altri due soggetti coinvolti nella vicenda erano
state effettuate con un solo telefono nella disponibilità dell’imputato, della moglie
e della sorella, circostanza che la Corte territoriale indica anche come non
contestata.
Anche in questo caso, pertanto, non può che concludersi per l’evidente
infondatezza del motivo.

9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 26.3.2013

effettuate sulla «sim card» associata al numero intercettato, che risultava

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