Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19028 del 01/12/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19028 Anno 2017
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASUCCI MARCO N. IL 26/01/1986
avverso la sentenza n. 2581/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
05/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/12/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. L4.‘
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che ha concluso per k’

Udito, per parte civile, l’Avv
Udit, iklifenso Avv.
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Data Udienza: 01/12/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha
parzialmente riformato la pronuncia del Tribunale di Arezzo con la quale Casucci
Marco era stato giudicato responsabile di aver cagionato per colpa la morte di
Giorgio Amorosi e condannato alla pena ritenuta equa nonché al risarcimento dei
danni in favore della parte civile.
Il giudice di secondo grado, infatti, ha ritenuto che l’evento fosse stato
determinato anche dalla condotta della vittima, quantificando nel 50% la misura

Casucci, previo giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante
contestata.
2.

La ricostruzione dell’accaduto operata dai giudici di merito é stata

concorde. Il 14.6.2009 il motociclo condotto dall’Amorosi impattava da tergo
quello condotto dal Casucci lungo la SR 71 e per effetto della collisione l’Amorosi
subiva lesioni personali che lo conducevano a morte.
Parimenti concorde nelle pronunce di merito é il giudizio della impossibilità
di risolvere l’alternativa identificazione delle cause della collisione sulla scorta dei
materiali probatori disponibili; secondo una prima ricostruzione, il Casucci si era
immesso sulla strada regionale provenendo da una stradina laterale a destra e
l’aveva attraversata per raggiungere una stradina laterale posta a sinistra, senza
dare la prescritta precedenza all’Amorosi; per una seconda ricostruzione, il
Casucci si era immesso sulla strada regionale, si era portato nei pressi della linea
di mezzeria per svoltare a sinistra ed aveva intrapreso la manovra di svolta
omettendo di assicurarsi di compiere tale manovra senza creare pericoli per altri
utenti della strada. Tanto però non ha precluso le pronunce di condanna,
ravvisandosi in ognuna delle due ricostruzioni un comportamento colposo del
Casucci, eziologicamente rilevante nella produzione dell’evento illecito.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Fernanda Cherubini.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt.
530, 521, 522, co. 1 cod. proc. pen. e all’art. 6 CEDU.
Rileva l’esponente che accogliendo indifferentemente due diverse modalità
di realizzazione del fatto storico, da un canto non è consentito alla difesa di poter
argomentare e controbattere puntualmente agli addebiti mossi e, dall’altro, che
tale situazione di incertezza avrebbe dovuto condurre ad un’assoluzione ai sensi
dell’art. 530 cod. proc. pen. sussistendo un più che ragionevole dubbio circa la
responsabilità dell’imputato ovvero risultando la prova insufficiente e
contraddittoria. Inoltre le due ricostruzioni “alternative” differiscono tra di loro

del contributo causale della stessa, ed ha pertanto ridotto la pena inflitta al

per aspetti decisivi quali le concrete circostanze di fatto, sicché la difesa non può
vagliarne la coerenza con i dati oggettivi offerti dai rilevamenti effettuati, ed è
posta di fronte a differenti norme, la cui violazione può fondare la colpa
specifica; segnatamente l’art. 154 Cod. str., ove l’attraversamento sia avvenuto
“tenendo regolarmente la destra per alcuni metri (addirittura 15 o 20 metri)” o
l’art. 145 Cod. str., nel caso si ritenesse che l’imputato abbia “tagliato la strada
asfaltata portandosi subito verso la sinistra della propria corsia di marcia, già
diretto verso la strada secondaria”. Dal che deriva, per l’esponente, la violazione

come inteso dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
(sentenza Drassich/Italia).
3.2. Con un secondo motivo si lamenta ancora la violazione dell’art. 522
cod. proc. pen. e dell’art. 6 CEDU nonché il vizio motivazionale derivante dal
fatto che la imputazione sortita dal primo grado ascrive al Casucci la violazione
dell’art. 145 Cod. str. per aver intrapreso la svolta a sinistra senza dare la
precedenza ai veicoli che procedevano sulla strada regionale; per l’esponente si
tratta di imputazione generica, contraddittoria ed illogica perché l’art. 145 Cod.
str. presuppone l’approssimarsi ad una intersezione ed é compatibile solo con
l’ipotesi dell’immediato attraversamento. Di qui la ritenuta violazione del diritto
dell’imputato ad un’informazione precisa e completa in ordine alle accuse
rivoltegli.
3.3. Con un terzo motivo si lamenta vizio motivazionale e violazione dell’art.
530 cod. proc. pen.
Rileva l’esponente che nella sentenza impugnata si afferma in un passo che
“l’unica ricostruzione compatibile con i rilievi oggettivi, compresi i punti di
impatto tra i due veicoli, individuati dai Carabinieri e dai consulenti nella corona
della ruota posteriore del Casucd.. .. ed anche compatibile con l’affermazione
dell’imputato stesso di essersi immesso sulla strada provinciale provenendo da
una stradina sterrata sulla sua destra e di avere poi iniziato la svolta a sinistra
verso un’altra stradina analoga, venendo in qual momento colpito da tergo
dall’Amorosi, è quella sopra indicata …”e subito dopo che “in assenza di elementi
di prova certi e decisivi, non possono ritenersi accertate le modalità con cui il
CASUCCI ha compiuto tale manovra, e cioè se egli, come ha detto, si è immesso
sulla strada asfaltata tenendo regolarmente la destra per alcuni metri
(addirittura 15 o 20 metri) e poi, previa segnalazione con il braccio, ha svoltato
verso sinistra, oppure se egli ha tagliato la strada asfaltata portandosi subito
verso la sinistra della propria corsia di marcia, già diretto verso la strada
secondaria”. Poiché si afferma al contempo che l’unica ricostruzione compatibile
con i rilievi dei carabinieri, con le conclusioni dei periti e con le affermazioni

del diritto dell’imputato ad una informazione precisa e completa delle accuse,

dell’imputato è quella che contempla la svolta a sinistra del Casucci e poi si
afferma che non vi sono prove attendibili in merito alle modalità con le quali il
Casucci ha compiuto l’attraversamento della strada, la sentenza è
manifestamente illogica.
3.4. Con un quarto motivo si deduce violazione dell’art. 43 cod. pen. in
relazione all’art. 589 cod. pen., dell’art. 530 cod. proc. pen. e vizio
motivazionale.
La sentenza impugnata ha trascurato diversi elementi emergenti dagli atti

L’esponente contesta il giudizio di inattendibilità del teste Mechelli, ritenendo
plausibile sul piano logico la narrazione da questi fatta, assumendo che essa è
confortata dalle dichiarazioni della teste Brilli e non contrasta con le dichiarazioni
del teste Biagilli. La Corte di Appello non ha poi preso in considerazione la
dichiarazione del teste Rinaldi, concernente le condizioni di visibilità nelle quali si
era trovato l’Amorosi al momento del sinistro; esse spiegano perché questi non
si accorse del Casucci.
Per altro profilo, l’esponente assume che non poteva essere richiesto al
Casucci di continuare a controllare la strada una volta iniziata la manovra di
svolta a sinistra.
3.5. Con un quinto motivo si deduce l’errata applicazione dell’art. 41 cod.
pen. per essere stata riconosciuta una colpa dell’imputato pari al 50%.
3.6. Con un sesto motivo si censura che, in connessione alla riduzione della
percentuale di colpa dell’imputato e della riduzione delle pene, non si sia ridotta
anche la misura della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della
patente di guida.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Il primo motivo, pur evocando una manifesta illogicità della
motivazione, risulta incentrato sulla pretesa violazione del principio di
corrispondenza tra imputazione e sentenza nonché sulla ritenuta imprecisione
dell’imputazione.
Nella giurisprudenza di legittimità è del tutto consolidata una interpretazione
teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc.
pen.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in
comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell’imputato abbia
avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di
immutazione quegli interventi sull’addebito che gli attribuiscano contenuti in
ordine ai quali le parti – e in particolare l’imputato – non abbiano avuto modo di
dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. Sia pure a mero titolo di

processuali e risulta in contraddizione con alcuni di essi.

esempio può citarsi la massima per la quale “ai fini della valutazione di
corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen.
deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte
le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno
formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di
esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della
decisione” (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 – dep. 29/11/2013, Di Guglielmi e
altro, Rv. 257278).

indicazioni giurisprudenziali incorre in alcune peculiari difficoltà, derivanti dal
fatto che la condotta colposa – in specie omissiva e massimamente se
commissiva mediante omissione – può essere identificata solo attraverso la
integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere
dal primo al secondo e viceversa. Mentre nei reati dolosi – in specie commissivi la condotta tipica risulta identificabile per la sua corrispondenza alla descrizione
fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di pura condotta) o per la sua
valenza eziologica (reati di evento), nei reati omissivi impropri colposi la
condotta tipica può essere individuata solo a patto di identificare la norma dalla
quale scaturisce l’obbligo di facere e la regola cautelare che avrebbe dovuto
essere osservata. Quest’ultima, in particolare, può rinvenirsi in leggi, ordini e
discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali generalmente osservate o
prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa generica).
Com’è evidente, l’una e l’altra operazione sono fortemente tributarie della
precisa identificazione del quadro fattuale determinatosi e nel quale si è trovato
inserito l’agente/omittente; tanto che una modifica anche marginale dello
scenario fattuale può importare lo stravolgimento del quadro nomologico da
considerare.
Di qui il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di legittimità alla
necessità di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di
quanto è emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini,
al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi
di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perché sostanzialmente
non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (ex multis, Sez. 4, n. 51516
del 21/06/2013 – dep. 20/12/2013, Miniscalco e altro, Rv. 257902). L’accento
posto sul concreto svolgimento del giudizio marginalizza – nella ricerca di criteri
guida nella verifica del rispetto del principio di correlazione – un approccio
fondato sulla tipologia dell’intervento dispiegato dal giudice (ad esempio, quello
che si rifà alla presenza di una contestazione di colpa generica per affermare
l’ammissibilità di una dichiarazione di responsabilità a titolo di colpa specifica).

Nella specifica materia dei reati colposi la concreta applicazione delle

Si può aggiungere che la centralità della proiezione teleologica del principio
in parola conduce a ritenere che, ai fini della verifica del suo rispetto, è decisivo
che la ricostruzione fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le (solitamente)
molteplici narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando
l’estraneità al tema in esame della qualificazione giuridica del fatto).
Una simile ricostruzione del principio di correlazione è del tutto coerente con
la giurisprudenza della Corte edu, che ricava dal combinato disposto dell’art. 6,
paragrafi 1 e 3, lett. a) e b) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo il

dell’accusa nei suoi confronti, nonché quello di disporre del tempo e dei mezzi
necessari a preparare la propria difesa (Corte edu, 11.12.2007, Drassich c.
Italia). Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo la violazione
di quel diritto non è integrata in ogni caso di modifica dell’accusa, compresa la
qualificazione giuridica attribuita in origine al fatto, ma solo ove tali modifiche
non siano prevedibili per l’imputato (da ultimo sul tema, pur sotto diversa
angolazione, Corte edu, 14.4.2015, Contrada c. Italia).
Può quindi formularsi il seguente principio di diritto: “non viola il principio di
correlazione, assunto quale espressione del giusto processo, anche come
delineato dall’art. 6 CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo, la sentenza che afferma la responsabilità per reato commissivo
colposo sulla base di una irrisolta alternativa condotta colposa, comunque
efficiente, quando l’imputato sia stato in condizione di far valere le proprie
ragioni in merito ad entrambe le ipotesi”.
4.2. Come si è già scritto, nel caso che occupa, già il giudizio di primo grado
ha avuto ad oggetto la verifica delle due ipotesi ricostruttive della dinamica del
sinistro; e non vi è alcun dubbio, già nella prospettazione del ricorrente
medesimo, in ordine alla corrispondenza tra quanto oggetto dell’istruttoria
dibattimentale e quanto ritenuto dal giudice. L’imputazione faceva riferimento
alla violazione dell’art. 145 Cod. str., per aver il Casucci omesso di fornire la
precedenza al veicolo dell’Amorosi; nel corso del giudizio di primo grado era
stata indagata l’esatta dinamica del sinistro, ed era emersa la possibile
alternativa tra immissione sull’arteria principale senza osservare l’altrui diritto di
precedenza e esecuzione di una manovra di svolta a sinistra senza assicurarsi
che la medesima non risultasse pericolosa per gli altri utenti della strada.
Risultando dettagliatamente descritte le condotte motivo di rimprovero non
appare rilevante che sia stata indicata l’una o l’altra norma di legge per
significare la natura trasgressiva di quelle condotte.
Va quindi escluso che sia ravvisabile nella specie un qualche difetto
informativo a riguardo delle accuse mosse al Casucci, che vi sia stata una

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diritto dell’imputato ad essere informato in modo dettagliato della natura

violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di condanna e che
l’imputato non sia stato posto nelle condizioni di esercitare i diritti di difesa.
Essendo note all’imputato le diverse ipotizzate modalità di causazione
dell’evento, egli ha potuto svolgere le proprie difese senza pregiudizio alcuno (ed
infatti la critica avanzata dall’esponente è puramente astratta, non individuando
specifici profili di pregiudizio dei diritti di difesa), sia pure con il maggior aggravio
derivante dalla necessità di fronteggiare due prospettazioni accusatorie.
Ponendo poi attenzione alle ricadute di tale persistente duplicità sulla tenuta

condanna solo ove la responsabilità dell’imputato possa essere affermata oltre
ogni ragionevole dubbio evoca l’esistenza di ragionevoli alternative conducenti
alla negazione della responsabilità; non al caso, come quello qui in esame, nel
quale tutte le ricostruzioni sostengano la condanna. Riposa anche su tale
considerazione il principio espresso da questa Corte, allorquando ha affermato
che la dipendenza di un evento da una determinata condotta deve essere
affermata anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della
concatenazione causale e possano essere configurate sequenze alternative di
produzione dell’evento, purché ciascuna tra esse sia riconducibile all’agente e
possa essere esclusa l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti (Sez. 4, n.
22147 del 11/02/2016, dep. 26/05/2016, Morini, Rv. 266858).
4.3. Per completezza appare opportuno rammentare che la giurisprudenza di
legittimità ha ripetutamente affrontato la diversa – ma contigua – questione
della ammissibilità di una contestazione alternativa con il decreto che dispone il
giudizio (univocamente ammessa da questa Corte; si veda tra le ultime, Sez. 5,
n. 51252 del 11/11/2014 – dep. 10/12/2014, Sacconnani e altro, Rv. 262121),
assumendo che la prospettazione di più ipotesi ricostruttive é funzionale al
migliore esercizio del diritto di difesa. In alcune, più risalenti decisioni, il principio
risulta completato da una puntualizzazione che in questa sede rileva in modo
peculiare; si sostiene, infatti, che in tal caso quella alternativa troverà “all’esito
del dibattimento la risoluzione della questione attraverso la successiva riduzione
dell’imputazione originaria, secondo lo schema previsto dall’art. 521 c.p.p.” (Sez.
5, n. 6018 del 23/01/1997 – dep. 21/06/1997, Montanelli ed altri, Rv. 208084;
Sez. 3, n. 7623 del 22/05/1998 – dep. 01/07/1998, Regis L, Rv. 211430; Sez. 1,
n. 10795 del 25/06/1999 – dep. 22/09/1999, Gusinu e altri, Rv. 214107). Sulla
scorta di tale specificazione si é annullata una sentenza di condanna che, a
fronte di fatti contestati come di concussione e di omissione in atti di ufficio,
riqualificava il fatto di concussione come corruzione ex art. 319 c.p. pur nella
riconosciuta impossibilità di stabilire con esattezza la vicenda storica e
formulando tre ipotesi alternative (corruzione o rifiuto atti d’ufficio, concussione,

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logica della decisione, è agevole rilevare che il principio della ammissibilità di una

concussione e rifiuto atti d’ufficio), fra le quali era stata scelta quella considerata
più favorevole al prevenuto. Secondo questa Corte, “tale modo di procedere si
colloca palesemente fuori dei meccanismi disciplinati nel capo 4 del Titolo 2 del
codice di rito ed è radicalmente contrario al principio di cui al primo periodo di
cui all’art. 533 c.p.p., comma 1, che consente la pronuncia di condanna solo se
la colpevolezza dell’imputato risulti “al di là di ogni ragionevole dubbio”:
situazione che, per stessa ammissione del giudice di merito, non si è verificata
nel caso di specie”. Richiamandosi il principio evocato anche in questa sede, si é

sede di decisione; mentre nel caso all’esame “a fronte di una contestazione
definita, si è invece pervenuti a una inammissibile declaratoria di responsabilità
sulla base di ipotesi fattuali alternative e, come tali, connotate ciascuna da
oggettiva incertezza, fra le quali si è ritenuto di poter scegliere la più favorevole
al prevenuto, anziché concludere doverosamente per una pronuncia assolutoria”
(Sez. 6, n. 3550 del 27/01/2012 – dep. 30/01/2012, Rollo, Rv. 251654).
Il descritto precedente va doverosamente rammentato; ma non costituisce
termine di riferimento per la corretta definizione del tema posto dalla vicenda qui
in esame.
La sentenza della Corte di Appello di Firenze non giustappone condotte che
valgono ad integrare reati diversi; piuttosto individua due diverse ipotetiche
condotte colpose, ciascuna delle quali vale ad integrare il reato di omicidio
colposo. L’incertezza, quindi, non attiene alla identificazione dell’illecito (e
pertanto al corredo di effetti che all’uno o all’altro si accompagna) ma alla
specifica condotta trasgressiva avente efficienza causale: l’alternativa non é tra
condotta lecita e condotta illecita ma tra due condotte parimenti illecite.
4.4. Quanto al secondo motivo di ricorso, il ricorrente appare confondere i
requisiti di completezza dell’accusa necessari a garantire il diritto di difesa con il
tema della sua fondatezza. Infatti, nel ricorso si sostiene la non pertinenza al
caso dell’art. 145 Cod. str., che si applicherebbe solo nell’ipotesi di immediato
attraversamento di un’intersezione. Quand’anche così fosse non ne risulterebbe
una violazione del principio di correlazione.
4.5. Il terzo motivo è manifestamente infondato: il ricorrente giustappone
due passi della motivazione ritenendo di rinvenire tra essi un rapporto di
contraddizione. Ma, per vero, nel primo la Corte di Appello richiama quanto
ritenuto dal Tribunale, mentre nel secondo esplicita la propria valutazione.
4.6. Parimenti inammissibile è il motivo concernente la motivazione in
ordine alla attendibilità dei testi. La censura elevata dal ricorrente, infatti, si
concreta in una valutazione alternativa della prova, giustapposta a quella del
giudice; come tale non individua un vizio del ragionamento ed è quindi

“1

*

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assunto che non si pone in discussione che l’alternatività deve essere sciolta in

inammissibile perché non consentita in sede di legittimità. Giova rammentare
che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del
Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a
dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della
motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di
argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o
fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla
collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero

dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati
inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che
siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc.
Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri,
Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775;
Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
4.7. Il motivo concernente la quantificazione del concorso di colpa della
vittima è inammissibile siccome meramente assertivo e generico.
4.8. L’ultimo motivo è manifestamente infondato perché postula una
inesistente relazione di proporzione diretta tra pena principale e sanzione
amministrativa accessoria, le quali rispondono a funzioni e criteri commisurative
non coincidenti. Come precisato dalle S.U., sia pure con riferimento alla sentenza
di patteggiamento (ma ciò non appare limitare la portata del principio), il
giudice, nel determinare la durata della sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente di guida, deve far riferimento alla gravità della
violazione commessa, all’entità del danno apportato ed al pericolo che l’ulteriore
circolazione potrebbe cagionare, secondo i criteri fissati in via generale dal
secondo comma dell’art. 218 del codice della strada, e cioè deve avvalersi del
criterio predeterminato in generale per l’autorità amministrativa (prefetto) che
disponga la sospensione della patente (Sez. U, n. 8488 del 27/05/1998,
dep. 21/07/1998, Bosio, Rv. 210982).

5. Da quanto sin qui esposto deriva che il ricorso deve essere rigettato ed il
ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

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dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1/12/2016.

Salvati e Dovere

Il Presidente
Luisa Bianchi

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Il Consi tigre estensore

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