Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19026 del 12/10/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19026 Anno 2017
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: IZZO FAUSTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ABBATE MARCO N. IL 21/06/1978
ARBATAX CANTIERI NAUTICI S.R.L.
avverso la sentenza n. 735/2014 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
21/10/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/10/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FAUSTO IZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. L L-td,v
,
che ha concluso per
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ce,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/10/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21\10\2015, resa in sede di rito abbreviato, la Corte di
appello di Cagliari confermava la pronuncia di condanna di primo grado emessa a
carico di Marco Abbate per il delitto di cui all’art. 589 c.p. per l’omicidio colposo in
danno del lavoratore Daniele Floris. Veniva anche confermata la condannata ad
una sanzione pecuniaria, ai sensi degli artt. 23 septies e 25 septies del d.lgs. 231
del 2008, la s.r.l. “Arbatax Cantieri Nautici” (acc. in Tortoli, fraz. di Arbatax il
21\12\2010).

addebitato di avere, quale committente dei lavori di installazione di un impianto di
pannelli fotovoltaici sul tetto di un capannone della ditta “ARBATAX CANTIERI
NAUTICI”, con negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di leggi, contribuito
con altri a cagionare l’incidente mortale a seguito del quale decedeva il lavoratore
Floris Daniel per le lesioni riportate precipitando dal tetto del capannone della ditta.
In particolare all’Abbate veniva addebitato di:
– di avere omesso di fornire alle imprese appaltatrici dettagliate informazioni
sui rischi specifici esistenti nella struttura in cui erano destinati ad operare, con
particolare riferimento alle caratteristiche e alla tenuta della copertura del
capannone, e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla
sua attività;
– di avere omesso di cooperare con le imprese appaltatrici all’attuazione delle
misure di prevenzione protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività
lavorativa oggetto di appalto;
– di avere omesso di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai
rischi cui erano esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente con l’impresa
appaltatrice;
– di avere omesso di promuovere la cooperazione ed il coordinamento con
l’impresa appaltatrice elaborando o comunque non integrando il documento di
valutazione dei rischi ove non veniva assolutamente considerata la specifica
attività oggetto dell’appalto, i relativi rischi, tra i quali quello del possibile
cedimento della struttura su cui doveva venire svolta l’attività e le misure da
adottare per eliminare o ridurre al minima detti rischi.
Con tali condotte veniva consentita l’esecuzione dell’installazione di pannelli
solari sul tetto di un capannone industriale, sito ad un’altezza di mt. 10 circa, in
violazione delle norme di sicurezza e cautelari, tenuto conto della nota scarsa
tenuta della esile copertura di gran parte del fabbricato.

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All’imputato, nella qualità di legale rapp.te della predetta società, era stato

All’imputato venivano inoltre addebitate le gravissime lesioni (artt. 110 e 590
co. 1, 2 e 3 c.p.) dai lavoratori Rubiu Ambrogio, Chillotti Giovanni e Pinna Andrea,
anch’essi precipitati dal tetto del capannone della ditta unitamente al Floris.
Nel confermare la condanna, la Corte di merito osservava che:
– la Arbatax aveva dato in appalto i lavori di installazione di pannelli solari alla
s.r.l. “Alter Eco”, la quale si avvaleva di lavoratori interinali non adeguatamente
formati;
– i lavori dovevano essere svolti su un tetto a dieci metri di altezza; la

motivo gli operai erano stati invitati a camminare sulle travi larghe circa 40 cm.
Ma una volta montati i pannelli solari l’unica via di passaggio erano le coppelle del
tetto;
– l’attività veniva svolta senza l’ausilio di presidi contro la caduta dall’alto.
Vero è che i lavoratori erano stati dotati di cinture di sicurezza, ma sul tetto non
era stato predisposto alcun punto di aggancio;
– nel POS era assente la valutazione specifica del rischio di caduta (es.
ancoraggi, imbracature, ecc.), ciò lo si evinceva anche dalla redazione del nuovo
piano dopo l’infortunio, che aveva preso in considerazione tale rischio, prevedendo
le specifiche e concrete misure da adottare;
– la responsabilità dell’Abbate quale committente era da individuarsi in primo
luogo per «culpa in eligendo» in quanto era stata scelta per l’esecuzione dei lavori
un’azienda senza approfondire la sua idoneità in termini di sicurezza, ma
privilegiando le capacità tecniche nelle installazione dei pannelli (v. interrog.
Abbate);
– l’imputato aveva sottoscritto il documento di valutazione dei rischi del tutto
manchevole in termini sicurezza, a fronte di una evidenza del pericolo non ignorata
dall’Abbate;
– nella documentazione consegnata dall’imputato all’Eco vi era una relazione
tecnica da cui si evinceva chiaramente la scarsa resistenza del tetto, che non
reggeva pesi superiori ad 80 kg. ;
– il percolo era immediatamente percepibile, soprattutto dal committente che
conosceva ‘gtrutture della sua azienda, di tal che le modalità di lavoro senza
ancoraggi e l’assenza di passaggi sicuri sul tetto non potevano sfuggire
all’attenzione del committente.
Sulla base di tali considerazioni, dopo avere rigettato alcune questioni di
natura procedurale, la corte di merito confermava la condanna.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, lamentando:

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copertura era di ondulina e poteva sostenere un carico massimo di 80 kg., per tale

2.1. La violazione di legge ed in particolare del principio di correlazione. Invero
l’Abbate era stato condannato per «culpa in eligendo» una condotta questa non
contestata nel capo imputazione in cui erano state descritte condotte meramente
omissive. Tale violazione aveva compromesso gravemente il diritto di difesa,
soprattutto tenendo conto che gran parte della motivazione della condanna era
stata basta sulle dichiarazioni rese dall’Abbate in interrogatorio.
2.2. La erronea applicazione della legge laddove la corte di merito aveva
ritenuto rilevanti sul piano causale doveri non gravanti sulla figura del

aveva impartito direttive; quanto alla verifica della idoneità della “ECO”, la stessa
sentenza di appello aveva affermato che sulla carte l’azienda appariva
formalmente ben strutturata, né il committente poteva immaginare che, per
risparmiare sui costi di trasferta, la Eco avrebbe assunto lavoratori con contratti
di somministrazione di manodopera. Quanto al dovere di informazione, l’Abbate
per tabulas risultava avere consegnato all’appaltatore tutta la documentazione del
capannone, in modo tale da renderlo edotto della sua strutturazione. Quanto ai
sistemi di sicurezza, gli operai risultavano dotati delle cinture, senza che l’Abbate
potesse accorgersi della mancanza di punti di aggancio.
2.3. La erronea applicazione della legge ove era stata riconosciuta la
ammissibilità della costituzione di parte civile del Sindacato, in assenza di lesione
di un diritto soggettivo, avendo per oggetto il processo la lesione del bene vita e
della integrità fisica di persone individuali ben determinate.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della
s.r.l. ARBATAX Cantieri Nautici, lamentando la erronea applicazione della legge sul
mancato rilievo della insussistenza del fatto e della inammissibilità della
costituzione di parte civile del Sindacato, con motivi sovrapponibili a quelli svolti
dalla difesa dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi devono essere rigettati.
2. Infondata è la doglianza relativa alla lamentata violazione del principio di
correlazione.
Va ricordato che questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata,
ha statuito che “nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione
siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o
l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili

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committente. Invero l’Abbate non si era ingerito nell’attività dell’appaltatore, né

originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del
fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il
riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta
dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché
questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del
comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere
(Cass. IV, 38818\05, De Bona; conf. Cass. I, 11538\97, Geremia; Cass. IV,
2393\05, Tucci; Cass. IV, 31968\09, Raso).

Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione
contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione
radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si
riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri
un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio
dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione
del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente
letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e
di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter
del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine
all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010
Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
Nel caso di specie, attraverso lo svolgimento dell’istruttoria dibattimentale
l’imputato ha potuto rendersi conto che il principale profilo di colpa attribuitogli
era quello di avere fatto svolgere i lavori sul tetto della sua azienda ad un’impresa
che non aveva manifestato adeguata professionalità se, come vero, nel POS non
aveva considerato in modo specifico e concreto come prevenire il rischio, poi
concretizzatosi, di caduta.

3. Infondata è anche la censura relativa alla violazione di legge ed al difetto
di motivazione della condanna, laddove viene lamentato che il giudice di merito
non avrebbe rilevato che gli unici responsabili dell’incidente erano i dirigenti della
“ECO”, i quali erano stati informati della fragilità del tetto e, pertanto, avrebbero
dovuto predisporre le misure di sicurezza adeguate al rischio prospettato.
La doglianza formulata parte da una prospettiva errata, secondo la quale il
committente è un mero spettatore dell’esecuzione dei lavori commissionati. Basta
però leggere le disposizioni previste dagli artt. 26 e 90 del d.lgs. 81 del 2008 per
comprendere come la legge lo disegni invece, come un protagonista
dell’attuazione delle norme di sicurezza con funzioni di stimolo e controllo.

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Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle

Questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che «In tema di infortuni sul
lavoro, al committente ed al responsabile dei lavori è attribuita dalla legge una
posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l’esecuzione di
controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di
sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicchè ai
medesimi spetta pure accertate che i coordinatori per la progettazione e per
l’esecuzione dell’opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta
materia. (Fattispecie in cui la S.C. ha affermato la responsabilità per le lesioni

appaltante per non aver verificato l’adeguatezza sia del Piano generale di sicurezza
e coordinamento sia del Paino operativo di sicurezza)» (Sez. 4, n. 14012 del
12/02/2015, Rv. 263014).
Si è anche specificato che il dovere di sicurezza gravante sul committente,
non può essere costituito da un controllo pressante, continuo e capillare
sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori; con la conseguenza che ai fini della
configurazione della sua responsabilità, occorre verificare in concreto quale sia
stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle
capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo
alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per
la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza
nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera,
nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di
situazioni di pericolo (ex plurimis, Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Rv. 264974).
Nel caso in esame, come correttamente osservato dalla Corte di appello, non
avendo l’imputato nominato un coordinatore, ritenendo che non vi fossero l’obbligo
di farlo (valutazione questa condivisa dal giudice di merito), spettava a lui in prima
persona valutare la presenza del POS redatto dall’appaltatore e la sua adeguatezza
rispetto allo specifico rischio di caduta da un tetto che l’Abbate stesso ha ammesso
di sapere non essere sufficientemente resistente.
Invece, violando gli obblighi di sicurezza in capo a lui gravanti, ha consentito
che i lavori iniziassero in presenza di un Piano operativo di sicurezza del tutto
generico, «preconfezionato e buono per qualsiasi tipo di lavoro» (pag. 17 sent.
app.), che non prevedeva le specifiche misure di prevenzione da adottare nel caso
concreto, in presenza di un capannone con un tetto alto mt. 10 e con evidente
rischio caduta, considerato che per gran parte era sovrastato da fragili cupole e le
travi su cui camminare erano larghe 40 cm. e dopo il montaggio dei pannelli
fotovoltaici, divenivano inaccessibili.

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gravissime occorse al lavoratore in capo all’amministratore unico della società

A fronte di ciò il POS non aveva previsto alcuna specifica misura di sicurezza,
nonostante la evidenza della pericolosità della zona dove si sarebbero stati
impegnati più operai contemporaneamente.
Tale controllo rientrava nei compiti del committente ed era una condotta
esigile, soprattutto a fronte di un rischio evidente e del quale l’Abbate, come detto,
aveva piena consapevolezza.

4. Quanto alla censura relativa alla ritenuta legittimazione del Sindacato

richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale «È
ammissibile, indipendentemente dall’iscrizione del lavoratore al sindacato, la
costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di
omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa
antinfortunistica, quando l’inosservanza di tale normativa possa cagionare un
danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni
sindacali, per la perdita di credibilità dell’azione di tutela delle condizioni di lavoro
dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla
prevenzione delle malattie professionali» (Sez. 4, n. 27162 del 27/04/2015, Rv.
263825; Sez. 4, n. 22558 del 18/01/2010, Rv. 247814).
Come osservato dal giudice di merito, la gravità dell’incidente, che ha visto
vittime quattro operai, impegnati in un azienda di rilevate importanza (la
«Arbatax») costituiva una circostanza idonea a minare la credibilità dell’operato
del Sindacato in tema di sicurezza, dal che la legittimazione alla costituzione.
La coerenza della motivazione rende la sentenza incensurabile sul punto.
Si impone per quanto detto il rigetto dei ricorsi a cui consegue, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 ottobre 2016
Il Con iiglier éstens re
,aus

Il Presidente
sa Bianchi

(«Camera del Lavoro provinciale CGIL Ogliastra») a costituirsi parte civile, va

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