Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18999 del 25/01/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 18999 Anno 2018
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GIULIANI NICOLA nato il 18/04/1960 a BARI

avverso la sentenza del 19/01/2017 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere EMILIA ANNA GIORDANO;

Data Udienza: 25/01/2018

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nicola Giuliani impugna, con ricorso presentato dal difensore di fiducia, la sentenza della
Corte di appello di Bari che, in riforma di quella del giudice monocratico del locale tribunale, ha
ridotto a mesi di reclusione la pena inflittagli per il reato di cui all’art. 336 cod. pen., confermando il
giudizio di equivalenza della recidiva specifica e reiterata.
2. Il ricorrente deduce: 2.1 vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta
sussistenza del delitto di cui all’art. 336 cod. pen. con riguardo alla reale incidenza della condotta
dell’imputato sull’attività degli agenti; 2.2 carenza di motivazione sull’affermata responsabilità della
ricorrente per il reato di cui all’art. 651 cod. pen.; 2.3 vizio di violazione di legge e carenza di
motivazione sulla mancata esclusione della recidiva e sulla mancata prevalenza delle pure concesse

avrebbe dovuto essere contenuto nel minimo.
3. Il ricorso è inammissibile per la genericità e manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
4. Il primo motivo di ricorso si risolve nella ricostruzione alternativa della vicenda attraverso
proposizioni meramente assertive, al cospetto della specifica ricostruzione della condotta tenuta
dall’imputato. Le conclusioni dei giudici dell’appello, logicamente argomentate, hanno fatto corretta
applicazione dei principi di questa Corte alla stregua dei quali è integrato il reato di minaccia è
integrato dall’uso di espressioni anche genericamente minacciose o che implichino il ricorso a
modalità autolesionistica, perché l’idoneità della minaccia va valutata con giudizio “ex ante”, a nulla
rilevando il fatto che in concreto i destinatari non siano stati intimiditi e che il male minacciato non si
sia realizzato.
5. Il secondo motivo non si confronta con la decisione impugnata che è pervenuta alla
declaratoria di intervenuta estinzione del reato per prescrizione al pari del motivo di ricorso che
investe la misura dell’aumento di pena per la continuazione fra reati.
6. Il rilievo della difesa sulla mancata esclusione della recidiva e così sul mancato giudizio di
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, involge un profilo della regiudicanda, quello del
trattamento sanzionatorio, rimesso all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito e sottratto a
scrutinio di legittimità quando risulti sorretto, come deve constatarsi nel caso dell’impugnata
sentenza, da esauriente e logica motivazione ed è incentrata sulla verifica in concreto della
reiterazione dell’illecito come effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del
suo autore, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali. La
motivazione della Corte, incentrata sulla verifica in concreto della reiterazione dell’illecito come
effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, al di là del mero e
indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali, tiene conto delle regole dettate
dalla Corte di legittimità sull’obbligo di specifica motivazione che incombe sul giudice ai fini della
ritenuta sussistenza della recidiva e che impone la esposizione delle ragioni che legittimano
l’aggravamento della pena e, comunque un più grave trattamento sanzionatorio, ragioni che si
sottraggono a rilievi in sede di legittimità quando siano espressione di un giudizio complessivo ed
esaustivo sulla personalità dell’imputato, senza che, necessariamente, tale giudizio debba involgere
la disamina di tutti i singoli elementi e parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e di circostanze di fatto
che, non irragionevolmente, i giudici a quibus hanno ritenuto recessive, ai fini di un complessivo
giudizio sulla personalità.
7.

All’inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle
ammende, che stimasi equo fissare in euro tremila, considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
( cfr. art. 616 cod. proc. pen. e sentenza Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186).

1

circostanze attenuanti generiche su detta aggravante nonché sull’aumento per la continuazione, che

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di 3.000,00 euro alla cassa delle ammende.
Così deciso il g. 25 gennaio 2018

Il Consigliere estensore

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