Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18994 del 19/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18994 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROMILA MARIANA N. IL 11/06/1973
avverso la sentenza n. 3800/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 18/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -7`04t:(usvt4
che ha concluso per j uu_wzmu,,,,726e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 19/02/2014


FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Romila Mariana, avverso la sentenza della Corte di appello di
Palermo in data 18 febbraio 2013, di conferma di quella di primo grado, che era stata di
condanna in ordine al reato di furto pluri- aggravato, commesso il 20 giugno 2012.

Deduce il vizio totale di motivazione sulla richiesta di esclusione delle due circostanze
aggravanti addebitate , tale da comportare anche la rilevazione della improcedibilità del reato,
per mancanza di querela.
Si era segnalato che il comportamento dell’imputata non era risultato contrassegnato da
alcuna particolare destrezza, essendo invece emerso che il reato era andato a buon fine a
causa della disattenzione della persona offesa. Nemmeno era stato neppure denunciato, dalla
persona offesa, che i gioielli fossero stati sfilati dalla vetrina.
Quanto, poi, alla aggravante dell’ avere approfittato della minorata difesa della persona offesa,
la difesa segnala che la giurisprudenza esclude che tale circostanza possa desumersi dall’età
della vittima (sentenza Cass. n. 39023 del 2008).
In secondo luogo il ricorrente denuncia la violazione di legge per avere, il giudice dell’appello,
negato la continuazione, in considerazione di un rilievo non vero: e cioè che le condanne da
unificarsi, alla presente, nel medesimo disegno criminoso , non fossero divenute definitive. Ed
invece tale connotato delle condanne era desumibile dal certificato del casellario giudiziale. Si
trattava di condanne per reati dello stesso tipo, commessi in un breve lasso di tempo.
In terzo luogo il ricorrente lamenta la violazione di legge in relazione all’omesso riconoscimento
della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, invece da riconoscersi, secondo I
giurisprudenza in tema di ricettazione e di rapina, perché rilevante è non solo il danno diretto
del reato ma quello complessivo cagionato dalla condotta.
Infine la difesa censura la motivazione con la quale è stata negata la concessione delle
attenuanti generiche – invece spettanti al imputata che aveva subito ammesso l’addebitononché confermata la entità della pena.
Il ricorso è inammissibile.
Invero non può essere accolto, perché manifestamente infondato, il motivo di ricorso con il
quale si contesta la configurabilità della circostanza aggravante della destrezza.
La giurisprudenza di questa Corte ha formulato, sul tema, il principio secondo cui sussiste
l’aggravante quando l’agente approfitti di una condizione contingentemente favorevole o di una
frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene
perché impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente
prossimo, a curare attività di vita o di lavoro (Sez. 6, Sentenza n. 23108 del 07/06/2012 Ud.
(dep. 12/06/2012 ) Rv. 252886).
Proprio tale situazione deve ritenersi accertata nel caso di specie, risultando comprovato che la
illecita sottrazione è avvenuta con gesti tanto veloci, precisi e silenziosi da eludere la vigilanza
del gestore del negozio il quale -come si legge nella sentenza di primo grado- insospettito
dall’atteggiamento dell’imputata ed avvicinatosi alla stessa, si rendeva conto dell’avvenuto
furto dei due monili.
cioè, soprattutto posto in allarme dall’improvvisa fretta

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manifestata dalla finta cliente, soltanto a cose fatte aveva percepito che la donna aveva
occultato negli abiti i monili appartenenti al denunciante.
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Era stato ritenuto, cioè, provato che la rumena fosse responsabile di avere sottratto, dalla
vetrina del negozio di Muscarella Vincenzo, approfittando tra l’altro della sua età avanzata,
gioielli per un valore di 500 euro.

Ugualmente del tutto infondato è il motivo di ricorso con il quale si contesta la sussistenza
della circostanza aggravante della minorata difesa.
Cc. (dep. 16/10/2008 ) Rv. 241454) formatasi in relazione al testo dell’articolo 61 numero 5
cp antecedente alla modifica ad esso apportata dalla legge n. 94 del 2009, risulta non più
sostenibile con riferimento al nuovo testo del precetto- applicabile al caso di specie vratione
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temporis- il quale prevede espressamente il riferimento all’età della vittima quale circostanza
di cui è possibile approfittare, così vedendo realizzato l’ostacolo alla privata difesa.
In tal senso si è, del resto, espressa anche la giurisprudenza più recente di questa Corte, alla
quale si deve il principio per cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della
minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative
introdotte dalla legge n. 94 del 2009, rileva in misura maggiore, attribuendo al giudice di
verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa
posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della
vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità (Sez. 5, Sentenza n. 38347
del 13/07/2011 Ud. (dep. 24/10/2011 ) Rv. 250948).
Ed invero, su tali ultimi connotati non si è soffermata la difesa, la quale ha articolato censure
soltanto con riferimento al criterio in astratto.
Sul tema della continuazione, la censura dell’imputata risulta parimenti inammissibile atteso
che, se è vero che ai fini della richiesta di unificazione nel vincolo della continuazione, viene
ritenuto sufficiente che lo stesso interessato soddisfi il solo onere di allegazione delle sentenze
di interesse (v. tra le molte,Sez. 6, Sentenza n. 11301 del 20/09/1988 Ud. (dep. 22/11/1988
) Rv. 179765) tuttavia, è anche vero che, nel censurare la decisione negativa del giudice della
cognizione, la ricorrente era tenuta, per il principio della autosufficienza del ricorso, a dare
prova del fatto che essa ha dedotto i t);■. fornire, cioè, in allegato al motivo di ricorso, la copia
della sentenza concernente la condanna, passata in giudicato, che il giudice dell’appello
avrebbe negligentemente trascurato e dalla quale sarebbero evincibili i presupposti di fatto
utili per la decisione.
Ed invece, a tale onere la ricorrente risulta essersi sottratta, essendosi semplicemente limitata
a rimandare il giudice della legittimità alla verifica di un atto processuale (certificato del
casellario giudiziale), comunque non esaustivo, atteso che la valutazione della rilevanza della
violazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale non potrebbe essere effettuata, da questa
Corte di legittimità, sulla sola base della esistenza della pregressa condanna- effettivamente
ricavabile, in linea di principio, dalla lettura del certificato del casellario- ma dovrebbe
necessariamente comprendere quantomeno la constatazione del ricorrere di dati utili per la
verifica della sussistenza della unitarietà del disegno criminoso. Una situazione, quella
denunciata che, non risolvendosi comunque nella definitiva negazione dei presupposti per la
applicazione della continuazione, potrà essere devoluta al giudice dell’esecuzione.
Del tutto infondati sono gli ulteriori motivi, considerato che, in relazione a quello concernente
la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, gli argomenti utilizzati dalla difesa sono
palesemente inconferenti perché richiamano principi giurisprudenziali volti a sostenere la
possibilità di dimostrazione di un danno complessivo dipendente del reato, che è maggiore-e
non minore, come vorrebbe la ricorrente- rispetto a quello calcolabile in base al solo valore del
bene sottratto, in sé già elevato.
La motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, d’altra parte, viene
censurata con considerazioni di puro fatto, pretendendo, la impugnante, che sia la Cassazione
a valorizzare il dato della pretesa, immediata confessione dell’imputata, laddove tale
comportamento processuale costituisce materia di valutazione del giudice del merito, da
ritenersi comunque presa in considerazione nella descrizione complessiva della fattispecie.
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La tesi del difensore, fondata sulla giurisprudenza (Sez. 2, Sentenza n. 39023 del 17/09/2008

,

Anche il motivo sulla entità della pena è inammissibile nella sua assoluta genericità.
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna della ricorrente al versamento, in
favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.
PQM

il Cons. est.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2014

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