Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18982 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18982 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAURO EZIO N. IL 24/10/1948
BONINI CARLO N. IL 04/03/1967
avverso la sentenza n. 11191/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del
24/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO

(o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi dife or Avv.

Data Udienza: 31/01/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. E. Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi altresì per la parte civile l’avv. Oreste Bisazza Terracini, che si riporta
alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese, e, per i ricorrenti, l’avv.
Paolo Mazzà, che si riporta ai motivi e insiste per la declaratoria di prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

il Tribunale di Roma condannava Carlo Bonini, in concorso con Giuseppe
D’Avanzo, per il reato di diffamazione a mezzo stampa – commesso il
28/11/2004 – per avere redatto e pubblicato sul quotidiano La Repubblica, un
trafiletto intitolato «Chi è Michael Ledeen. Il protetto di Reagan», con il quale si
offendeva, attribuendogli un fatto determinato, la reputazione e l’onorabilità di
Michael Ledeen, affermando «Ledeen è sempre dove le cose accadono … è a
Roma, nel 1985, quando i Palestinesi di Abu Nidal assaltano i banchi El – Al di
Fiumicino (la notizia gli viene anticipata dal suo amico Manucher Ghorbanifar,
trafficante di armi)»; condannava Ezio Mauro per aver omesso di esercitare il
controllo necessario ad evitare che con la frase indicata si offendesse la
reputazione di Michael Ledeen; disponeva la sospensione condizionale della pena
nei confronti di Carlo Bonini; condannava gli imputati al risarcimento dei danni
nei confronti della parte civile Michael Arthur Ledeen.
Con sentenza deliberata in data 24/06/2011 e depositata in data
24/02/2012, la Corte di appello di Roma ha revocato la sospensione condizionale
della pena applicata a Carlo Bonini e ha confermato nel resto la sentenza di
primo grado.
Premesso che la frase di cui al trafiletto in relazione alla quale è intervenuta
condanna si inserisce nel quadro di una più ampia querela su altre affermazioni
pubblicate sul quotidiano indicato, affermazioni sulle quale vi stata pronuncia di
proscioglimento, la Corte di merito rileva la falsità della notizia pubblicata dai
giornalisti, secondo cui Ledeen sarebbe stato informato in anticipo dell’attentato
alla El – Al: l’unica fonte indicata a discolpa dagli imputati è un’intervista
rilasciata da Ledeen al settimanale L’Europeo, nella quale negava la circostanza:
dopo aver affermato di aver ricevuto da Ghorbanifar diverse anticipazioni su
attentati terroristici in Europa, alla domanda esplicita se anche la notizia
dell’attentato di Fiumicino gli fosse stata anticipata da questa persona, Ledeen
rispondeva che «quello di Fiumicino è un esempio di attentato che ha coinvolto
più di un governo» e di non essere «nella condizione di citare le azioni specifiche
di cui si trattava». La notizia pubblicata dagli imputati, osserva la Corte di

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1. Con sentenza deliberata in 27/02/2009 e depositata in data 17/03/2009,

merito, non è inoffensiva, ma rappresenta una forzatura gravemente
diffamatoria, fondata in parte su un dato non vero, in parte su un commento e
su un’informazione artificiosamente avvicinati in maniera suggestiva e negativa
per Ledeen. Né ha rilievo il dato formale che questi non avesse l’obbligo giuridico
di informare le Autorità, essendo palese il discredito morale – anch’esso tutelato
dalla norma incriminatrice della diffamazione – per chiunque non si “attivasse”
per segnalare il pericolo di un attentato conosciuto attraverso un “amico” dunque affidabile – “trafficante di armi”, quindi verosimilmente ben informato.

quel “di più” magari non vero, ma marginale che la giurisprudenza ha ritenuto
non suscettibile di integrare in delitto di diffamazione a mezzo stampa: è vero,
infatti, che tutta la pagina de La Repubblica dedicata al querelante lo dipinge
complessivamente come individuo «losco e pericoloso» e che i giornalisti sono
stati assolti in udienza preliminare da tutti gli altri addebiti che costituivano
l’originaria imputazione; nel caso di specie, tuttavia, non si tratta di
un’informazione marginale, per quanto errata, ma della precisa attribuzione al
querelante di una sua specifica conoscenza circa il futuro attentato e della sua
consapevole e significativa presenza a Roma proprio in quel giorno,
congiuntamente all’omissione da parte sua di qualsiasi attività, anche solo
informativa, atta a sventarlo, sicché il quadro complessivo travalica l’immagine,
per quanto negativa, che poteva scaturire dagli articoli ritenuti legittimi.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma hanno proposto
ricorso per cassazione, nell’interesse degli imputati, i difensore avv. Carlo
Federico Grosso e avv. Paolo Mazzà, denunciando – con un unico, articolato
motivo di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod.
proc. pen. – mancanza e illogicità della motivazione della sentenza nella parte in
cui ha affermato l’offensività dell’unica frase per la quale gli imputati erano stati
condannati in primo grado e violazione dell’art. 595 cod. pen.
Premessa, alla luce degli orientamento della giurisprudenza di legittimità, la
necessità di valutare la frase di cui all’imputazione in correlazione con l’articolo
pubblicato dai giornalisti, i ricorrenti sottolineano che gli imputati non hanno
mosso a Ledeen alcun “rimprovero” per l’attentato di Fiumicino, né gli hanno
attribuito comportamenti disonorevoli, sicché è meramente apparente la
motivazione della sentenza impugnata laddove afferma che gli imputati hanno
mosso al querelante l’«implicito rimprovero» di non aver informato l’autorità.
La Corte di appello non solo ha stigmatizzato un passo dell’articolo non
presente nella pubblicazione e un suo implicito significato non compiutamente
dimostrato, ma ha anche violato l’art. 595 cod. pen. affermando la

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La Corte di merito osserva, inoltre, che la notizia in esame non costituisce

riprovevolezza del fatto che un privato cittadino non avverta l’autorità di possibili
pericoli per la collettività e, quindi, il carattere disonorevole dell’attribuzione di
simile omissione: rappresenta, tuttavia, una indimostrata petizione di principio
asserire che nel nostro ordinamento chiunque sia obbligato o moralmente tenuto
a denunciare le attività illecite di cui venga a conoscenza. L’assunto, inoltre,
risulta ancor meno argomentato e logico nella cornice dei fatti narrati dai
giornalisti sul conto del querelante, esplicitamente descritto come legato ai
servizi segreti statunitensi e, quindi, come soggetto che, nell’assolvimento dei

comportamento in base alle quali è stata argomentata l’offensività della notizia
pubblicata. L’inesistenza della norma etica o giuridica dalla quale discenderebbe
il vulnus alla reputazione del querelante e, comunque, l’inapplicabilità di tale
regola a Ledeen nella cornice dei fatti narrati nell’articolo in questione,
impediscono di ravvisare un fondamentale elemento costitutivo del reato di cui
all’art. 595 cod. pen., ossia l’offensività della notizia pubblicata

sub specie di

attribuzione al querelante di un comportamento contrario alle regole di civile
convivenza.

3. In data 05/02/2013, il difensore di Michael Arthur Ledeen ha depositato
memoria, chiedendo l’inammissibilità del ricorso o, in via subordinata, la
conferma della sentenza impugnata e delle relative statuizioni civili.
In data 05/07/2013, la difesa degli imputati Carlo Bonini ed Ezio Mauro ha
depositato istanza di declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.

4. Con sentenza deliberata il 17/09/2013, questa Corte, previa separazione
del procedimento nei confronti di Giuseppe D’Avanzo, ha annullato senza rinvio
la sentenza impugnata per essere il reato estinto per morte dell’imputato,
rinviando a nuovo ruolo il procedimento nei confronti degli imputati Carlo Bonini
ed Ezio Mauro per adesione della difesa all’astensione proclamata dall’Unione
delle Camere Penali Italiane.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato, mentre la sentenza impugnata deve essere
annullata agli effetti penali perché i reati sono estinti per prescrizione.
Le censure dei ricorrenti fanno leva sulla critica al riferimento all’implicito e, secondo i ricorrenti, non dimostrato – “rimprovero” mosso dalla frase oggetto
dell’imputazione al querelante. La doglianza deve essere disattesa, in quanto la
Corte di merito ha sottolineato la pacifica non corrispondenza al vero della

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propri doveri istituzionali, non era sottoposto alle (supposte) regole di

notizia secondo la quale Ledeen era stato preventivamente informato
dell’attentato di Fiumicino e, sulla base di una corretta ricostruzione del
significato della notizia, ha individuato la lesione della reputazione del querelante
nel discredito morale destinato a ricadere su chiunque, indipendentemente dal
proprio ruolo istituzionale, non si attivasse per segnalare il pericolo di un futuro
attentato di cui fosse venuto a conoscenza sicura da una fonte senz’altro
affidabile. In termini del tutto coerenti, la sentenza di primo grado, che si integra
con quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep.

oggettivamente diffamatoria della notizia in questione, dalla quale emergeva il
coinvolgimento nel sanguinoso attentato del 1985, del querelante, che non si
sarebbe attivato presso le autorità competenti pur essendone venuto a
conoscenza.
Anche la censura relativa alla ritenuta insussistenza di una norma che
sancisca sul piano giuridico o morale l’obbligo di denunciare attività illecite di cui
si sia venuti a conoscenza non è fondata. Premesso che, in tema di diffamazione,
integra la lesione della reputazione altrui non solo l’attribuzione di un fatto
illecito, perché posto in essere contro il divieto imposto da norme giuridiche,
assistite o meno da sanzione, ma anche la divulgazione di comportamenti che,
alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili
di incontrare la riprovazione della

communis opinio (Sez. 5, n. 40359 del

23/09/2008 – dep. 29/10/2008, P.C. in proc. Cibelli, Rv. 241739), va osservato
che la Corte di merito, con motivazione priva di cadute sul piano della
conseguenzialità logica, ha rimarcato il palese discredito morale – anch’esso
tutelato dalla norma incriminatrice della diffamazione – cui sarebbe esposto chi
chiunque non si “attivasse” per segnalare il pericolo di un attentato.
Infondata, infine, è la censura incentrata sul rilievo che, nel quadro dei fatti
narrati dai giornalisti, il querelante era esplicitamente descritto come legato ai
servizi segreti statunitensi sicché, avendo agito nell’assolvimento dei propri
doveri istituzionali, non poteva essere considerato soggetto alle regole di
comportamento in base alla quale è stata argomentata l’offensività della notizia
pubblicata. Al riguardo, deve rilevarsi che il ricorso non specifica i profili
dell’articolo cui “accedeva” il trafiletto comprensivo delle espressioni in esame
dai quali evincere indicazioni circa finalità “istituzionali” idonee ad escludere la
valenza negativa della mancata segnalazione dell’attentato del 1985, sicché, da
questo punto di vista, la deduzione difensiva si rivela disancorata dalla disamina
puntuale della concreta fattispecie oggetto del giudizio. D’altra parte, come si è
visto, la Corte di merito ha messo in luce che il discredito connesso alla notizia
pubblicata sarebbe destinato a ricadere su chiunque indipendentemente dal

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05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145), aveva rimarcato la portata

proprio ruolo istituzionale: dall’incensurabile argomentare della sentenza
impugnata con riferimento al caso di specie si evince, dunque, che la
collocazione, prospettata dal ricorso, della mancata segnalazione alle autorità da
parte di Ledeen della notizia dell’attentato di Fiumicino nel quadro dei suoi
rapporti con i servizi statunitensi non risulta idonea a privare la notizia
pubblicata della sua valenza offensiva.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato agli effetti civili, con conseguente
condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese nel grado dalla parte

che i reati ascritti agli imputati sono estinti per prescrizione maturata il
28/05/2012 successivamente alla sentenza impugnata, sentenza che, pertanto,
deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché i reati
sono estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna i
ricorrenti in solido alla rifusione delle spese nel grado dalla parte civile che
liquida in euro 1500,00 più accessori come per legge.
Così deciso il 31/01/2014.

civile (liquidate come da dispositivo), mentre, agli effetti penali, deve rilevarsi

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