Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18975 del 13/02/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 18975 Anno 2017
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CADORE LUCIANO nato il 09/09/1946 a PADOVA

avverso la sentenza del 21/09/2015 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/02/2017, la relazione svolta dal Consigliere
UMBERTO LUIGI SCOTTI
C

-e

che_hz_concluso- per

Data Udienza: 13/02/2017

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori, avv.Andrea Bertolino, del Foro di Torino, anche in sostituzione
dell’avv.Maria Francesca Giacomelli del Foro di Padova, avv.Michele Tiengo, del
Foro di Padova, avv.Corrado Viazzo, del Foro di Varese, avv.Giuseppe Pavan del
Foro di Padova, per le parti civili, che hanno concluso condividendo le conclusioni
del P.G.;
uditi i difensori, avv. Piero Longo e avv.Anna Desiderio, del Foro di Padova, per

ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21/9/2015 la Corte di appello di Venezia ha respinto
l’appello dell’imputato Luciano Cadore e ha confermato, con aggravio delle spese
del grado, la sentenza con cui il Tribunale di Padova lo aveva dichiarato
colpevole dei reati a lui ascritti e condannato alla pena di anni 4 di reclusione,
oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia dei beni in sequestro,
con interdizione dai pubblici uffici per anni 5; con la stessa sentenza il Tribunale
aveva dichiarato la falsità del testamento olografo apparentemente redatto da
Mario Conte il 9/9/1999, ordinandone cancellazione totale e confisca, e aveva
condannato Luciano Cadore al risarcimento dei danni in favore delle parti civili
da liquidarsi in separato giudizio, disponendo a favore di ciascuna di esse una
provvisionale di C 30.000,00=, oltre alla rifusione delle spese processuali.
Le imputazioni contestate al Cadore riguardavano: A) il reato di falsità
materiale commessa da privato ex artt.476, 482, 491 e 110 cod.pen. per aver
formato, o concorso con terzi a formare, un falso testamento olografo
apparentemente redatto da Mario Conte in data 9/9/1999 (pubblicato in Asiago il
6/12/2008) che lo nominava erede universale in relazione ad un patrimonio di
oltre 70 milioni di euro; B) il reato di appropriazione indebita aggravata per
essersi, con più azioni distinte esecutive del medesimo disegno criminoso, fra il
2006 e l’ottobre 2008, appropriato di somme di denaro (oltre 1 milione dì euro)
di Mario Conte a lui affidate in gestione, con abuso di relazioni domestiche.

2. Il Tribunale di Padova, nella sentenza di primo grado, è pervenuto
all’accertamento della falsità del testamento olografo

de quo

attraverso il

percorso di due convergenti versanti motivazionali.
Da un lato, sul versante della prova scientifica, pur non avendo disposto
perizia, il Giudice di primo grado ha analizzato le consulenze provenienti dal

l’imputato Luciano Cadore, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del

Consulente tecnico del P.M. M.Ilo Caligiuri, del RIS di Parma, dei Consulenti
tecnici di parte civile, dott.ssa Cavezzana e dott.ssa Fogarola, e dei Consulenti
tecnici dell’imputato, dott.ssse Cordella e Toni, valutandole comparativamente,
sottolineando la particolare valenza del parere espresso dal Consulente di parte
pubblica, dando risalto all’appartenenza a diverse scuole di pensiero e
metodologie dei Consulenti che si erano espressi per la falsità della scheda,
sottolineando che i Consulenti del P.M. e di parte civile si erano espressi a livello
di certezza scientifica, e infine disattendendo motivatamente le conclusioni dei

D’altra parte, sul versante della prova logica, il primo Giudice ha conferito
rilievo alle dichiarazioni rese in vita da Mario Conte circa le proprie intenzioni di
destinazione mortis causa del proprio patrimonio, riferite soprattutto dai testi
Roberto Varese e Antonio Cortellazzo (nonché dalle domestiche Gabriella
Cecchetto e Velia Bassan e da Angelo Ferro) che descrivevano l’intenzione del
Conte, dopo la morte della moglie, di lasciare la gran parte delle sue sostanze
ad opere benefiche, con cospicui lasciti a persone care e collaboratori, rispetto al
quale l’intenzione di beneficiare Luciano Cadore dell’intero enorme patrimonio
appariva del tutto eccentrica e irrazionale. Nessun cenno di tale testamento era
poi trapelato nella cerchia di amici, collaboratori e conoscenti a differenza del
precedente testamento reciproco fra il Conte e la moglie.
In secondo luogo, il testamento a favore del Cadore nel 1999 non poteva
rinvenire una spiegazione plausibile neppure alla luce dei rapporti personali
intercorrenti fra il defunto e il suo collaboratore, ex dipendente, divenuto autista
e factotum dopo il pensionamento dall’inizio del 2000; tali rapporti, secondo le
descrizioni fornite da pressoché tutti i testimoni, non erano di tipo «filiale» ma
principalmente professionali, sì da consentire di qualificare il Cadore un
dipendente fidato, assiduo e sollecito, e si erano evoluti nel tempo assumendo
anche tratti di stima ed affetto, specie dopo la morte del rag.Marchesi (persona
di fiducia di Mario Conte in materia finanziaria) nel 2005. Il rapporto non era
comunque esclusivo e in ogni caso non ve n’era traccia all’epoca della redazione
apparente della scheda (settembre 1999).
In terzo luogo, erano assai dubbie le modalità dell’asserito ritrovamento
della scheda in una busta dentro una borsa da parte del Cadore, che pure vi
aveva già guardato negli anni precedenti; inoltre era inverosimile che il Conte
conservasse in tal modo il testamento, a differenza del precedente, ben custodito
in cassaforte; era poi significativo che l’apparizione del testamento fosse
avvenuta poco dopo l’invio da parte del Cortellazzo del c.d. «Lodo Presca», che
Cadore, pur figurandovi beneficiario per 700.000 C, aveva accusato
inopinatamente di falsità.

2

Consulenti della difesa dell’imputato.

In quarto luogo, le condotte successive del Cadore erano inspiegabili visto
che egli, pur ritenendosi unico erede e in difetto di segnali di petizioni ereditarie,
aveva preso l’iniziativa di contattare gli eredi legittimi proponendo loro una
transazione, sia pur sminuendo fortemente l’entità effettiva del patrimonio, salvo
poi versare somme ingenti al proprio consulente dott.Castellini, direttamente o
indirettamente, e mettere al sicuro una parte rilevante della fortuna,
collocandola nel paradiso fiscale delle Bahamas.
La prova del concorso di Cadore nella falsificazione, che escludeva la

indiziaria sia sulla base del fondamentale criterio del cui prodest, sia sulla base
delle circostanze dell’asserito ritrovamento (parendo assurdo che l’ipotetico
falsificatore potesse aver collocato il testamento all’insaputa di Cadore in un
luogo dove questi avrebbe potuto non trovarlo mai).
La datazione del fatto veniva collocata in prossimità del 6/12/2008 e
comunque dopo il decesso del Conte e non certo nella data indicata nella falsa
scheda.
Quanto all’appropriazione indebita era accertato che a partire dal luglio
2006, con il declinare delle condizioni di salute e della soglia di attenzione del
Conte, il Cadore, approfittando abusivamente di valida procura conferitagli nel
2005, aveva iniziato a trasferire nei conti propri e dei propri congiunti grosse
somme di denaro, mediante versamenti in contanti ed assegni, per circa
1.000.000 C, oltre ad essersi raddoppiato lo stipendio mensile.
La tesi difensiva delle donazioni consentite da Mario Conte contrastava con
la pretesa istituzione testamentaria (non essendoci allora motivo di preoccuparsi
per le sorti della famiglia Cadore); inoltre le modalità delle dazioni frammentate
ed erogate anche in contanti erano implausibili. Infine ciò che sgretolava
decisivamente la credibilità di Cadore era l’inserimento delle condotte in un
complessivo disegno volto ad appropriarsi dell’intero patrimonio con la
formazione di un falso testamento.

3. La Corte di appello ha affermato che le risultanze della perizia disposta
in rinnovazione dell’istruttoria erano univoche nel senso dell’apocrifia della
scheda 9/9/1999, corroborando tale osservazione con il consenso del
Consulente di parte civile prof.Cristofanelli e ritenendo che le conclusioni del P.U.
non fossero state contrastate con argomentazioni altrettanto incisive e
convincenti dal Consulente dell’imputato, dott. Candeo.
In ordine alle censure da questi svolte la Corte ha osservato che gli elementi
extra-grafici segnalati (precarie condizioni di salute del Conte, farmaci assunti)
che avrebbero influenzato la scrittura del testatore, erano stati respinti dal

3

configurabilità del minor reato di cui all’art.482 cod.pen., veniva desunta in via

Perito che ne aveva escluso l’incidenza sulla grafomotricità e ha rilevato altresì
che la difesa dell’imputato nell’arringa finale si era concentrata sulla sussistenza
del concorso nella falsità materiale, abbandonando o almeno relegando in
secondo piano la tesi dell’autenticità del testamento.
In ordine al concorso nella falsificazione la Corte ha fondato la decisione
sull’esame di tutte le risultanze probatorie, escludendo la configurabilità del
reato di cui all’art.489 cod.pen. e collegandola al reato di appropriazione
indebita, definito «conseguente».

validità del «Lodo Presca»), ha prospettato una serie di argomenti di prova
logica: l’esistenza fra i due uomini di meri rapporti di lavoro, pur cordiali e
affettuosi; l’avvicinamento fra i due uomini in epoca successiva alla asserita data
di redazione del testamento, prima ancora dell’assunzione della veste di autista
factotum da parte di Cadore; le intenzioni dichiarate dal Conte nei colloqui con le
persone più vicine di destinare il proprio patrimonio ad opere benefiche e a varie
persone a lui care, fra cui lo stesso Cadore; l’esclusione di alcun atto
testamentario dispositivo dei beni da parte del Conte, limitatosi a fare confidenze
o ascoltare suggerimenti in proposito (non con il Cadore peraltro, stante la
natura lavorativa del rapporto); le modalità e la tempistica del ritrovamento della
busta contenente il testamento (elementi questi su cui la Corte ha inteso
sorvolare senza sottovalutarli); il criterio del

«cui prodest», il solo Cadore

avendo tratto vantaggio dalla falsificazione.
Il rilascio della procura generale del 2005 non aveva cambiato il quadro
della situazione, poiché il Conte continuava a prendere le decisioni più
importanti in prima persona.
La Corte ha conferito rilievo anche al comportamento successivo e in
particolare alle proposte transattive formulate agli eredi legittimi e alle
consistenti donazioni erogate soprattutto al consulente Castellini che lo aveva
assistito nella vicenda, ed infine al dirottamento di cospicua parte della fortuna
verso paradisi fiscali in modo sottrarla alle successive aggressioni.
La Corte ha poi inserito sia le progressive appropriazioni sin dal 2005, dopo
il rilascio della procura generale, sia la falsificazione della scheda testamentaria
in un unico disegno criminoso perseguito dall’imputato e finalizzato
all’appropriazione dell’intero patrimonio del Conte.

4. Ricorrono contro la sentenza della Corte di appello di Venezia gli avv.ti
Piero Longo e Anna Desiderio, difensori di fiducia di Luciano Cadore, proponendo
sette motivi, di cui tre formulati in via principale e quattro in via subordinata.

4

Successivamente la Corte di appello (che si è proposta di prescindere dalla

4.1. Con il primo motivo, dedicato alla sussistenza della falsità materiale di
testamento commessa da privato (artt.476,482 e 491 cod.pen.) i ricorrenti
deducono nullità della sentenza impugnata

ex

art.606, comma 1, lett.

e),

cod.proc.pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici atti processuali.
2.1.1. I ricorrenti lamentano che la Corte di Venezia abbia fatto proprie le
conclusioni di falsità della scheda testamentaria del 9/9/1999 a firma Mario
Conte, raggiunte dal perito Ambra Draghetti, limitandosi a evidenziare l’adesione

estremamente generico le conclusioni opposte del consulente della difesa, dott.
Candeo, e ignorando le serrate ed argomentate critiche da lui rivolte alla perizia
d’ufficio.
4.1.2. La Corte aveva attribuito indebito rilievo all’abbandono della tesi
dell’autenticità del testamento nell’arringa finale della difesa dell’imputato,
quando i difensori avevano affidato la questione al contraddittorio tecnico,
peraltro caratterizzato da una lunga memoria di osservazioni critiche e
dall’escussione in dibattimento del consulente di parte, preferendo concentrare i
loro interventi sugli aspetti giuridici del processo
4.1.3. Ignorando le critiche rivolte alla perizia, la Corte aveva violato il
canone fondamentale di giudizio che consente la condanna solo nel caso sia stato
superato ogni ragionevole dubbio e, in particolare, in tema di valutazione di
perizie grafologiche discordanti, impone la rigorosa e accurata giustificazione
delle ragioni di adesione all’una o all’altra valutazione.
4.1.4. A parte una serie di osservazioni volte a censurare la sciatteria e
l’oscurità del contenuto della perizia Draghetti, i ricorrenti criticano
specificamente l’errata e fantasiosa teoria del falso per «atto simulativo per
ricalco pedissequo- lucido diretto» (su probabile progettazione di un collage).
In particolare, il dott. Candeo aveva sostenuto che era indispensabile a tal
fine che la carta impiegata dal falsario fosse sufficientemente trasparente, in
modo da lasciar intravedere la traccia grafica del foglio sottostante che si intende
ricalcare; nella stessa perizia (pag.45) la Perita dava atto dell’opacità e non
trasparenza del foglio su cui era stato stilato il testamento; inoltre il Consulente
di parte della difesa aveva contestato la presenza delle tipiche caratteristiche del
falso per lucido (allineamento basale, calibro, soste, stacchi, stentatezze).
Al proposito il Perito d’ufficio nulla aveva saputo replicare ed all’udienza del
21/9/2015, chiamato a fornire spiegazioni sul punto, aveva risposto in totale
confusione e in modo del tutto incomprensibile.

5

da parte del consulente della parte civile prof.Cristofanelli, liquidando in modo

4.1.5. Inoltre, del tutto contraddittoriamente, alle pagine 11) e 177) della
relazione la Perita d’ufficio aveva prima riconosciuto e poi negato la necessità di
un approccio extra-grafico alla problematica.
A tal riguardo, nella perizia non erano stati considerati tutta una serie di
elementi extra-grafici rappresentati dal Consulente della difesa (uso di penna
stilografica, grammatura e rugosità della carta, intimità dell’atto testamentario,
emotività, paura del giudizio sociale, tensione, situazione diarroica, effetti
collaterali di farmaci, tumore maligno alla prostata); il Giudice di secondo grado

sarebbero stati attentamente valutati dalla Perita, mentre in realtà ella aveva
totalmente abdicato alle sue funzioni, rimettendosi alle valutazioni di due
ausiliari, un farmacologo e un oncologo, le cui conclusioni erano state
acriticamente recepite in perizia, senza tener conto delle specifiche critiche
rivolte e del ruolo attribuito all’ausiliario nell’ordinamento dall’art.228, comma 2,
cod.proc.pen. che non consente altro che attività materiali non implicanti
apprezzamenti e valutazioni.
4.1.6. I ricorrenti osservano poi che il Giudice di primo grado aveva
ritenuto falso il testamento sulla base delle consulenze di parte e di quella del
maresciallo dei R.I.S. in cui erano state utilizzate come scritture comparative
almeno dodici sottoscrizioni estranee alla mano di Mario Conte; undici di queste,
su proposta della Consulente di parte Fontani, erano state ritirate in blocco dalla
Perita e la cosa era sfuggita alle valutazioni della Corte, nonostante fosse stata
ampiamente sottolineata dal Consulente dell’imputato.
Inoltre la scrittura «C115» (sottoscrizione apposta sulla scrittura pubblicata
dal Notaio Cardarelli di Padova 1’11/2/2009, ossia il verbale di pubblicazione del
c.d. «Lodo Presca») proposta dal Consulente dell’imputato era stata
indebitamente respinta come scrittura di comparazione, nonostante si trattasse
di documento giacente presso pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio ex
art.75 disp.att. cod.proc.pen.
Ed ancora la Perita aveva estromesso dalle scritture comparative anche le
pagine di una intera rubrica con copertina blu, adducendo quale ragione solo il
mancato accordo tra le parti, elemento questo non richiesto dalla legge, e
nonostante la riapertura dell’istruttoria fosse stata disposta in accoglimento della
richiesta di utilizzo di tutte le scritture comparative in atti, fra cui quella sopra
citata.
Nulla infine aveva replicato la Perita alle contestazioni mosse per aver
frustrato il contraddittorio, estromettendo la nota scritta dello strumentista
prof.Bottiroli e dei ricordi storici assunti ex art.228, comma 3, cod.proc.pen. del
medico di base di Mario Conte, dott. Viaro.

6

ne aveva considerati solo due (condizioni di salute e farmaci), assumendo che

4.1.7. La Corte poi, secondo i ricorrenti non aveva

considerato

adeguatamente le gigantesche contraddizioni logiche in cui era incorsa la Perita:
a) assumendo che il testamento fosse un falso per lucido diretto quando la carta
utilizzata non lasciava passare la luce; b) sostenendo a un tempo che Mario
Conte era in grado di realizzare modelli di scrittura differenti, adattandoli al
momento, e al contempo ripudiando ogni possibilità anche teorica in tal senso;
c) giudicando falsa la grafia del testamento perché rivelava caratteristiche
grammato-morfiche divergenti dalle comparative, senza tener conto di quanto

4.1.8. La Perita era rimasta incerta sul mezzo grafico utilizzato, nonostante i
suoi strumentisti avessero concluso per l’impiego di penna stilografica,
adducendo la necessità di accertamenti distruttivi non meglio indicati, con la
conseguenza dell’inapplicabilità di tutte le questioni extra-grafiche e di fisica
strutturale sollevate dal Consulente della difesa sia nell’elaborato di osservazioni
(pag.50-56), sia in dibattimento (pag. 16-18).
4.1.9. La Corte aveva giudicato convincenti le osservazioni, peraltro del
tutto generiche e scontate, del prof. Cristofanelli, Consulente del prof.Ferro, che
aveva banalizzato l’argomento della diarrea persistente del Conte che aveva
rilevanti conseguenze sulla debolezza muscolare e sul rallentamento motorio.
4.1.10. La Corte aveva poi mancato di considerare tutta una serie di temi
segnalati dal Consulente della difesa, rimasti non confutati (cambiamento del
calibro e della forma con il rallentare della velocità dell’atto scrittorio; false
affermazioni dell’esistenza di stacchi e riprese fatte dal RIS; improponibilità della
congettura del collage;

parametro grafologico pendente riscontrabile sia nel

testamento sia nelle lettere intime di Mario Conte; ritmo grafico; misure
tridimensionali del

quantum pressorio; affermazioni di staticità e piattezza

pressoria totalmente errate alla luce delle dimostrazioni tridimensionali fatte in
olografia conosco scopia dal dott.Dellavalle; allineamento basale rilevato in
maniera errata dalla perita; punti della lettera «i» non allineata e ripetuti come
sostenuto; le virgolette sulla parola «figlio»; vari errati rilevamenti
erroneamente ritenuti divergenti e invece ritenuti convergenti dal Consulente).
4.1.11. In sintesi la Corte aveva del tutto omesso di motivare sulle ragioni
per cui aveva ritenuto condivisibili le conclusioni della Perita Draghetti e non
aveva viceversa ritenuto condivisibili le critiche sollevate dal Consulente della
difesa.
4.2. Con il secondo motivo, dedicato alla ravvisata responsabilità di Luciano
Cadore in concorso con soggetto rimasto ignoto, nella falsificazione del
testamento, i ricorrenti deducono nullità della sentenza impugnata
comma 1, lett.

ex art.606,

e), cod.proc.pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta

7

indicato al punto b).

illogicità della motivazione, sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici
atti processuali, e violazione di legge ex art.606, comma 1, lett.

b) per

inosservanza o erronea applicazione delle norme sul concorso di persone nel
reato (art.110 cod.pen.), sulla falsificazione di testamento commessa da privato
(artt.476, 482, 491 cod.pen.), sull’uso di atto falso (art.489 cod.pen.).
4.2.1. In primo luogo la sentenza addebitava al Cadore non già di aver
personalmente falsificato il documento ma di aver agito in concorso con l’ignoto
autore materiale e poi, del tutto incongruamente, la consequenziale

accusatoria).
4.2.2. Le ragioni addotte in sentenza per ritenere non verosimile l’istituzione
testamentaria ad erede universale in capo al Cadore presentavano come
pacifiche circostanze che costituivano veri e propri travisamenti del fatto.
4.2.2.1. L’assunto che i rapporti fra Conte e Cadore fossero essenzialmente
lavorativi e che il loro avvicinamento si sarebbe registrato solo in data successiva
al presunto testamento, come sostenuto sia dal Tribunale di Padova, sia dalla
Corte di Venezia, trascurava tutta una serie di deposizioni che invece avevano
delineato un vero e proprio rapporto affettivo (testi Adolfo Bianchi, Francesco
Marchesi, Anna Maria Rigoni, Paolo Alvigini, Marina Riccoboni, Antonio
Cortelazzo, Calegari).
4.2.2.2. Il fatto che il Conte avesse manifestato l’intenzione di lasciare una
parte ingente del proprio patrimonio ad enti benefici e persone care era stato
presentato come pacifico, mentre le risultanze testimoniali erano molto più
variegate; inoltre era emerso che il Conte spesso prometteva benefici che poi si
faceva pregare per mantenere; l’ingente patrimonio era la sua principale
attrattiva esibita all’esterno per circondarsi di persone.
Inoltre la Corte non aveva colto l’inesistenza di alcuna contraddizione perché
il Conte ben avrebbe potuto prima istituire il Cadore suo erede e poi aver deciso
di destinare il proprio patrimonio ad opere di bene, avendo provveduto in vita
alle sorti del Cadore, ma non aver avuto tempo, prima della morte, a
confezionare l’atto di destinazione programmato.
Poi, dal punto di vista logico, l’argomento era ininfluente perché

era

assorbente il punto della genuinità o meno della scheda testamentaria, rispetto
al quale il tema della maggior o minor verosimiglianza dell’istituzione si rivelava
inutiliter datum.
4.2.3. Inoltre il ragionamento probatorio della Corte di appello era inidoneo
a escludere l’applicabilità dell’art.489 cod.pen., prospettata dalla difesa
dell’imputato, reato che presuppone pur sempre la consapevolezza da parte
dell’agente della falsità dell’atto utilizzato.

8

appropriazione indebita (peraltro commessa in precedenza secondo l’ipotesi

4.2.4. La Corte poi aveva addebitato al Cadore l’atteggiamento serbato dopo
la morte del Conte e in particolare l’aver ricercato e contattato gli eredi
potenziali, dopo essere stato nominato erede universale, per proporre loro
accordi transattivi, mentre la ricerca era stata disposta allorché era curatore
dell’eredità giacente dei Conte e allorché, come risultava dalla deposizione
dell’avv.Castellini, egli si era premurato di segnalare il nominativo di una cugina
altrimenti non reperita.
4.2.5. Il rilievo attribuito dalla Corte alle modalità di reperimento del

rimasto del tutto generico.
4.2.6. Inoltre, proseguono i ricorrenti, la Corte dapprima aveva mostrato di
voler prescindere dal c.d. «Lodo Presca» (pag.18), per poi (pag. 19) collegarlo
almeno temporalmente alla scoperta del testamento, ignorando totalmente
l’avvenuta dimostrazione della falsità del documento C115 (ossia il «Lodo
Presca») effettuato dalla difesa attraverso l’elaborato della dott.ssa Cordella,
recepita anche dalla Perita d’ufficio (pag.30 della perizia e in corso di audizione
del 21/9/2015) che aveva quantomeno riconosciuto che la firma di Mario Conte
non poteva esservi stata apposta ad ottobre del 2007 e che le parti dattiloscritte
erano state redatte in epoche diverse.
Il che impediva di tralasciare il dato, come ritenuto dalla Corte, sia perché il
«Lodo Presca» era servito per accreditare i testimoni che ritenevano inverosimile
l’istituzione ad erede del Cadore, vista l’intenzione di lasciare il patrimonio ad
enti benefici, sia perché la falsità del «Lodo Presca» spiegava altrimenti i
movimenti di coloro che si erano mossi illegalmente per mettere le mani
sull’ingente patrimonio, nella prospettiva di una doppia convergente falsificazione
del c.d. lodo e della scheda testamentaria, perché solo la presenza di un erede
poteva permettere di far eseguire i vari lasciti previsti dal lodo.
4.2.7. Infine l’argomento del

«cui prodest» utilizzato nella sentenza di

primo grado e richiamato, ma non tematizzato, dalla Corte non teneva conto
della molteplicità degli interessi ruotanti intorno al patrimonio Conte e non
riusciva comunque a superare l’ipotesi configurativa di cui all’art.489 c.p.
4.3. Con il terzo motivo, dedicato alla ravvisata responsabilità di Luciano
Cadore per il reato di appropriazione indebita continuata e aggravata, i ricorrenti
deducono nullità della sentenza impugnata

ex

art.606, comma 1, lett.

e),

cod.proc.pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, sia intrinseca alla sentenza, sia relativa a specifici atti processuali,
e violazione di legge ex art.606, comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea
applicazione dell’art.646 cod.pen.

9

testamento, che aveva sottolineato di non voler sottovalutare, era peraltro

4.3.1. Non era vero innanzitutto che gli accumuli di denaro sarebbero iniziati
non appena divenuto procuratore del Conte perché tra il rilascio della procura a
novembre 2005 e il primo versamento del luglio 2006 passavano 9 mesi.
4.3.2. Non era nemmeno vero che gli illeciti accantonamenti erano stati di
modesto valore ma reiterati; il primo era addirittura di 31.000 C e comunque
erano superiori rispetto ai prelievi mensili in contante.
4.3.3. Quanto al tema centrale del consenso del Conte, la Corte si
contraddiceva, dapprima accreditando la tesi della persistente lucidità e vigilanza

agevolmente eluso da parte dell’imputato, senza che in atti risultasse alcunché a
supporto di una scarsa lucidità del defunto, mentre i prelievi effettuati si erano
mediamente attestati sui 12.500 C mensili, cifra facilmente identificabile anche in
un conto milionario.
In sostanza non era possibile escludere quanto da sempre sostenuto
dall’imputato, ossia che il Conte era perfettamente consapevole dei versamenti
finalizzati a donazioni a favore del Cadore, poiché non era lui a dover dimostrare
il consenso del Conte ma era la pubblica accusa a dover dimostrare le
appropriazioni.
4.4 Con il quarto motivo, prospettato in subordine, i ricorrenti deducono
nullità della sentenza impugnata

ex art.606, comma 1, lett.

e), cod.proc.pen.,

per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in
relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche

ex

art.62

bis

cod.pen., negate in modo esclusivamente auto-referenziale e non
adeguatamente contestualizzato rispetto alla situazione personale del Cadore,
senza confrontarsi con le specifiche considerazioni svolte in atto di appello
(incensuratezza, comportamento processuale collaborativo, bonifico a favore del
Cuamm, benefici agli ex dipendenti con somme pari al TFR non percepito).
4.5. Con il quinto motivo, prospettato in subordine, i ricorrenti deducono
nullità della sentenza impugnata

ex art.606, comma 1, lett.

e), cod.proc.pen.,

per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in
relazione al

quantum

della pena irrogata, senza adeguata motivazione dei

motivi del rigetto della richiesta della difesa di commisurarla in riduzione sino ai
limiti della possibilità di fruire della sospensione condizionale.
4.6. Con il sesto motivo, prospettato in subordine, i ricorrenti deducono
nullità della sentenza impugnata

ex art.606, comma 1, lett.

e), cod.proc.pen.,

per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in
relazione alla mancata riqualificazione del capo A) nel delitto di cui all’art.489
cod.pen. (uso di atto falso), tanto più che la data di addotta consumazione,

10

del Conte a pag.19, per poi ritenere il controllo da parte sua solo generico ed

correlata al momento di pubblicazione della scheda deponeva a favore della tesi
dell’uso di atto falso.
4.7. Con il settimo motivo, prospettato in subordine, i ricorrenti deducono
nullità della sentenza impugnata

ex art.606, comma 1, lett.

e), cod.proc.pen.,

per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in
relazione alla somma concessa a titolo di provvisionale alle parti civili,
confermata nonostante la contestazione sollevata al proposito non fosse affatto
generica (che aveva evidenziato che le parti civili non avevano patito l’attesa e

processo una transazione che aveva fruttato 400.000 C ciascuno e lo scarso
grado di prossimità e confidenza che esse avevano con il Conte).

5. Con ulteriore memoria ex art.585, comma 4, cod.proc.pen. del 27/1/2017
i difensori dell’imputato hanno presentato motivi aggiunti.
5.1. Con il primo motivo aggiunto viene ripreso il tema della teoria dell’atto
simulativo per ricalco pedissequo – lucido diretto, che presupponeva
necessariamente che la carta utilizzata dal falsario per realizzare la scrittura
apocrifa fosse sufficientemente trasparente per lasciar passare la luce da sotto in
modo da far intravedere la traccia grafica da ricalcare.
Ciò non si sarebbe potuto verificare, come ammesso dalla Perita Draghetti a
pagina 45 della sua relazione in tema di opacità del foglio e non adeguatamente
spiegato all’udienza confrontandosi con le obiezioni del dott.Candeo, allorché
essa aveva introdotto il tema della luce ultravioletta, alla quale il dott. Candeo
non aveva mai fatto riferimento e al quale aveva accennato solo la Perita, in
modo peraltro incomprensibile, a pagina 47 della sua relazione.
Inoltre erano state ignorate le puntuali riflessioni del Consulente della
difesa, alle pagine 68-72 delle osservazioni, in ordine alle caratteristiche di
convergenza che un falso ottenuto per ricalco avrebbe dovuto possedere in
termini sia di rispecchiamento delle grandezze, ampiezze, assetto, inclinazioni e
grafia del modello sia di presenze di esitazioni, stacchi e stentatezze tipiche
della riproduzione lenta.
Era così insostenibile dire che il testamento era la riproduzione della grafia
autografa di Mario Conte ottenuta per calco pedissequo e al contempo affermare
che erano diversi calibro, inclinazione assiale, allineamento sul rigo e sagome
letterali.
Anche la tesi del ricalco da collage, proposta, per esclusione, dalla Perita
appariva improbabile e non conosciuta dalla letteratura scientifica, risultando
piuttosto da una fusione di tre delle quattro pratiche falsificatorie più note

11

l’incertezza della vicenda giudiziaria perché avevano già concluso prima del

(imitazione per ricalco, imitazione pedissequa, imitazione per lucido., imitazione
a mano libera).
La Perita poi si era contraddetta trattando dei valori di pressione sul foglio,
definiti non elevati nonostante il parametro indicato.
La Perita aveva poi confuso i «riverberi chiaroscurali» con la modifica
plastica del supporto cartaceo per effetto della forza premente esercitata sulla
superficie, non tenendo conto degli effetti fisiologici di modulazione della penna
stilografica utilizzata come dimostrato nella relazione del dott. Della Valle che

In tutte le locuzioni contenute nel testamento non erano ravvisabili le
anomalie segnalate nella letteratura scientifica che smentivano la tesi della
simulazione per ricalco da lucido diretto prospettata dalla Perita.
5.2. Con il secondo motivo aggiunto, in tema di elementi extra-grafici, i
ricorrenti segnalano una serie di elementi da tenere in considerazione circa
l’intimità del rapporto intercorrente fra Mario Conte e Luciano Cadore, tratti dalla
deposizione dell’imputato, dalle agendine del Conte (dove il nome di Cadore e
il suo numero di telefono erano evidenziati in rosso), dall’annotazione
sull’agendina del Conte della data del compleanno dell’imputato, dall’indicazione
del suo nome di battesimo (Luciano) soltanto oppure seguito, ma più in piccolo,
dal cognome (Cadore), dalle espressioni affettuose utilizzate nei suoi confronti
per auguri e ringraziamenti vari.
5.3. Con il terzo motivo aggiunto in tema di scritture comparative, i
ricorrenti ricordano che il dott. Candeo aveva sollecitato l’esclusione del
documento C115, a cui non si era opposta la C.T. di parte civile dott.ssa
Fogarolo, sia pur senza voler così riconoscere l’apocrifia della sottoscrizione.
La parte civile Fontani tramite il suo Consulente aveva ritirato le scritture
comparative C1- C11 adducendo l’intento di non semplificare il lavoro al Perito in
modo non credibile e perseguendo solo lo scopo di non riconoscere le abnormi
inesattezza compiute nel procedimento di primo grado.
L’organo titolato a dichiarare la falsità in giudizio della firma C115 era la
Corte di appello e non il Perito.
Inoltre la Perita Draghetti riferiva l’esclusione delle scritture C1-C11 al
mancato accordo fra le parti, privo di rilevanza in sede penale.
La Perita aveva omesso di valutare la capacità di adattamento grafico del
Conte, non esaurita nell’ambito delle scritture comparative acquisite, di
considerare le peculiarità emotive dell’atto solenne di redazione del testamento
olografo e di procedere a un esame comparativo con scritture redatte in
momenti parimenti morbosi.

12

attestavano la variabilità del tratto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso – come pure i due primi motivi aggiunti, di
natura argomentativa che si collocano nel solco del primo motivo principale – è
dedicato al tema della sussistenza della falsità materiale del testamento e
lamenta vizio logico della motivazione sul punto. Tali censure, tempestivamente
proposte e diffusamente illustrate, non possono certamente ritenersi

Collegio, nell’esercizio di una legittima scelta difensiva i difensori dell’imputato
abbiano preferito concentrarsi sul tema del secondo motivo di ricorso, e quindi
sulla tesi dell’insussistenza del concorso dell’imputato nella formazione dell’atto
falso en dell’eventuale configurabilità del diverso e meno grave reato di uso di
atto falso, al di fuori dell’ipotesi di concorso dell’utilizzatore nella falsificazione.
1.1. Un punto molto importante, che la difesa dell’imputato non ha mancato
di evidenziare, fa leva sulla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale disposta
dalla Corte di Venezia

ex art.603 cod.proc.pen., con il conseguente ingresso

solo nel giudizio di secondo grado alla perizia grafologica d’ufficio, e mira a
neutralizzare l’argomento della «doppia conforme» pronuncia di condanna in
sede di merito, che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai
consolidato, consente la reciproca integrazione delle due conformi motivazioni
che si siano espresse sullo stesso materiale probatorio.
Tale integrazione fra le motivazioni delle conformi sentenze di primo e di
secondo grado, non è infatti consentita allorché il giudice dell’impugnazione,
per superare le critiche mosse al provvedimento di primo grado, abbia
individuato atti a contenuto probatorio mai prima presi in esame (Sez. 2, n. 318
del 21/12/2006 – dep. 2007, Conte, Rv. 23569001; Sez. 4, n. 5615 del
13/11/2013 – dep. 2014, Nicoli, Rv. 25843201, resa appunto in fattispecie in cui
era stata disposta perizia collegiale in grado di appello. Conformi: N. 318 del
2006 Rv. 235690, N.19710 del 2009 Rv. 243636, N. 44765 del 2013 Rv.
256837). Il limite, del resto, è logico poiché il fondamento della rilevanza della
duplice conforme pronuncia, quale presupposto per l’integrazione dei contenuti
motivazionali delle decisioni di merito, riposa sull’esame dello stesso materiale
istruttorio da parte di entrambi i giudici, provocato dalla devoluzione determinata
dalla proposizione dell’appello.
E tuttavia le stesse considerazioni – e il principio stesso che le ispira impongono di enucleare un contro-limite alla preclusione dell’integrazione delle
due motivazioni: nulla infatti impedisce la parziale integrazione delle motivazioni

13

abbandonate per il solo fatto che in sede di discussione dinanzi a questo

addotte con riferimento al comune materiale istruttorio, suscettibile di autonoma
considerazione, esaminato dall’uno e dall’altro giudice del merito.
Pertanto l’integrazione fra le motivazioni delle conformi sentenze di primo
e di secondo grado, è consentita anche quando il giudice dell’impugnazione, per
superare le critiche mosse al provvedimento di primo grado, abbia individuato
atti a contenuto probatorio mai prima presi in esame, purché in relazione alle
sole parti della motivazione che abbiano esaminato e valutato in modo
conforme atti a contenuto probatorio comuni ai due giudizi.

logiche e dichiarative effettuate dai Giudici del merito possono integrarsi fra loro
in un tessuto unitario.
1.2. A più riprese il ricorrente insiste nel proporre in termini rigorosi e
ineludibili quest’alternativa: o la prova scientifica dimostra che la scheda
testamentaria 9/9/1999 non è stata vergata dalla mano di Mario Conte, e allora
tutte le argomentazioni

aliunde fondate sulla maggior o minor plausibilità

dell’investitura ereditaria in capo a Luciano Cadore e sulle modalità di
ritrovamento del testamento sono ultronee; oppure la prova scientifica dimostra
che la scheda testamentaria 9/9/1999 è stata vergata dalla mano di Mario
Conte, e allora tutte le citate argomentazioni sono comunque inconferenti,
perché, plausibile o meno che fosse tale condotta, Mario Conte l’ha posta
effettivamente in essere.
L’argomento è suggestivo ma fuorviante, anche perché inficiato da un
eccesso di fiducia nella prova scientifica desumibile dai pareri dei grafologi.
Questa Corte infatti ha avuto occasione di precisare, del tutto condivisibilmente,
che l’accertamento peritale grafologico è fortemente condizionato dalla
valutazione soggettiva del suo autore piuttosto che da leggi scientifiche
universali, e ne ha tratto il corollario della necessità di una accurata e rigorosa
giustificazione delle ragioni di adesione all’una piuttosto che all’altra valutazione.
(Sez. 5, n. 23613 del 09/05/2012, Presicce, Rv. 25290401).
Pertanto, del tutto correttamente, i Giudici del merito hanno fondato la loro
decisione sull’integrazione di due versanti di materiali probatori, quello tecnicoscientifico, proveniente dall’indagine più prettamente grafologica, e quello logico
indiziario, relativo al contesto circostanziale in cui la redazione della scheda
sarebbe avvenuta.
Qualche elemento di incoerenza rispetto alla predetta rivendicazione di
autonoma attendibilità della prova scientifica si annida nelle argomentazioni del
ricorrente circa la rilevanza degli elementi extra-grafici (farmaci, malattia,
emozioni, strumento) incidenti sulle caratteristiche dello scritto, che proprio
perché giustificano occasionali divergenze della produzione grafica rispetto allo

14

Ciò significa, nel caso concreto, che le conformi valutazioni delle prove

stile scrittorio abituale, implicitamente finiscono con lo svalutare il valore
probatorio della verifica a favore della contestuale considerazione di elementi di
prova di altro genere.
Tant’è che questa Corte ha ripetutamente affermato che la prova della
falsità del documento può essere fornita in modo diverso dalla perizia grafica:
«In tema di falsità, allo scopo di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo,
non può ritenersi sempre indispensabile l’espletamento della perizia grafica, la
quale, per altro, ha valore solo di indizio. Invero, per il principio della libertà

titolo può anche essere desunta da altri elementi.» (Sez. 5, n. 10363 del
14/04/1999, Zangrilli A, Rv. 21418801; Sez. 2, n. 12839 del 20/01/2003,
Rinaldi, Rv. 22474401; Sez. 5, n. 42679 del 14/10/2010, Geremia, Rv.
24914301).
1.3. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello di Venezia abbia fatto
proprie le conclusioni di falsità della scheda testamentaria del 9/9/1999 a firma
Mario Conte, raggiunte dal perito Ambra Draghetti, limitandosi a evidenziare
l’adesione da parte del consulente della parte civile prof.Cristofanelli, liquidando
in modo estremamente generico le conclusioni opposte del consulente della
difesa, dott. Candeo, e ignorando le serrate ed argomentate critiche da lui
rivolte alla perizia d’ufficio. In sintesi – secondo il ricorrente – la Corte aveva del
tutto omesso di motivare sulle ragioni per cui aveva ritenuto condivisibili le
conclusioni della Perita Draghetti e non aveva viceversa ritenuto condivisibili le
critiche sollevate dal Consulente della difesa; sarebbe stato così violato il canone
fondamentale di giudizio che consente la condanna solo nel caso sia stato
superato ogni ragionevole dubbio e, in particolare, in tema di valutazione di
perizie grafologiche discordanti, impone la rigorosa e accurata giustificazione
delle ragioni di adesione all’una o all’altra valutazione.
Siffatta censura risente dell’impostazione generale che riserva alla prova
scientifica grafologica un ruolo essenziale e, in prospettazione, potenzialmente
esclusivo, circa la ricostruzione della genuinità o meno della scheda
testamentaria 9/9/1999 (il che richiede in buona sostanza di accertare se il
9/9/1999 Mario Conte redasse e sottoscrisse quel foglio recante il testamento
olografo che istituiva Luciano Cadore, definendolo «mio figlio», unico erede della
sua enorme fortuna).
Si è detto che la prova relativa avrebbe potuto essere fornita con ogni
opportuno strumento utile a suffragare il libero convincimento del giudice e non
necessariamente attraverso una valutazione di preparati e capaci grafologi, che,
per quanto esperti della materia, esprimono un giudizio in definitiva
probabilistico e fortemente intriso di profili soggettivi e quindi opinabili.

15

della prova e del libero convincimento del giudice, la certezza della falsità del

E’ evidente, per esempio, che una prova, se non decisiva almeno
determinante, per opinare in un senso o in un altro sarebbe stata rappresentata
da una dichiarazione certamente proveniente da Mario Conte che confermasse o
escludesse la paternità della redazione del documento ovvero la dichiarazione di
un testimone al di sopra di ogni sospetto che avesse assistito alla redazione del
documento da parte di Mario Conte o del falsario.
La Corte territoriale non si è sottratta a tale approccio motivazionale, così
come prima aveva fatto pure il Tribunale patavino, accompagnando la

della plausibilità dell’istituzione testamentaria, alla verosimiglianza del preteso
agire di Mario Conte e alla condotta successiva di Luciano Cadore.
Comunque, anche in ordine alla rilevanza ascritta alla perizia della dott.ssa
Draghetti, la Corte di appello, sia pur concisamente e certo in modo più
sbrigativo rispetto alle riflessioni elaborate dal Giudice di prima cura, ha
manifestato la propria adesione alla tesi sostenuta dal Perito d’ufficio,
segnalando il pieno e integrale consenso al riguardo espresso dal Consulente di
parte civile Fondazione Opera Immacolata Concezione onlus, prof.Cristofanelli,
e sottolineando che le considerazioni del Perito d’ufficio erano anche state
sottoposte alle parti nel contraddittorio dibattimentale.
Non possono poi essere trascurati ulteriori elementi: il fatto che il parere
della dott.ssa Draghetti corrispondeva a quello formulato dal Consulente tecnico
del Pubblico Ministero e a quello dei due Consulenti di parte civile, che erano
stati posti a base della sentenza di primo grado, disattendendo motivatamente la
diversa opinione delle Consulenti dell’imputato, sicché la rinnovazione istruttoria
disposta in appello non aveva affatto sconfessato gli elementi tecnici di
valutazione utilizzati dal primo Giudice; l’intrinseca maggior fragilità di un
approccio possibilista, quale quello caratterizzante aspetti importanti della
consulenza di parte del dott.Candeo, che mirava a neutralizzare le divergenze
grafiche in una logica di variabilità di modelli di scrittura, per giunta
pesantemente influenzati da elementi esterni, che inevitabilmente sfociava in
una oggettiva incertezza delle affermazioni compiute; la particolare attendibilità
delle valutazioni provenienti dal Perito d’ufficio rispetto a quelle espresse dai
Consulenti di parte.
A tal riguardo questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudice di
merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del Perito d’ufficio è tenuto ad un
più penetrante onere motivazionale (Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015 – dep.
2016, P.G., P.C. in proc. Minichini e altri, Rv. 26756601; Sez. 6, n. 5749 del
09/01/2014 Homm, Rv. 25863001; Sez. 1, n. 25183 del 17/02/2009, Panini, Rv.
243791; Sez. 4, n. 34379 del 12/07/2004, Spapperi, Rv. 229279; Sez. 4,

16

valutazione grafologica con una serie di argomentazioni ruotanti intorno ai temi

n. 4803 del 27/11/2002, Carrara, Rv. 223512; Sez. 1, n. 11706 del 11/11/1993,
Carrozzo, Rv. 19607601). Nel più recente arresto del 2015, sopra citato, la Corte
ha evidenziato la diversa posizione processuale dei Consulenti di parte rispetto ai
Periti, essendo i primi, a differenza degli altri, chiamati a prestare la loro opera
nel solo interesse della parte che li ha nominati, senza assunzione, quindi,
dell’impegno di obiettività previsto, per i soli periti, dall’art. 226, c.p.p.; tale
distinzione riverbera nel diverso onere motivazionale gravante sul giudice di
merito, il quale, nel caso in cui ritenga di aderire alle conclusioni del Perito

necessariamente fornire, in motivazione, la dimostrazione autonoma della loro
esattezza scientifica e della erroneità, per converso, delle altre; in tale ipotesi è
sufficiente che egli dimostri di aver comunque criticamente valutato le
conclusioni del Perito d’ufficio, senza ignorare le argomentazioni dei Consulenti;
ragione per cui potrà configurarsi vizio di motivazione solo quando risulti che
queste ultime fossero tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed
inconfutabile la fallacia di quanto affermato dal Perito e recepito dal Giudice.
1.4. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello
indebitamente rilievo

aveva attribuito

nel corpo della motivazione all’abbandono della tesi

dell’autenticità del testamento nell’arringa finale della difesa dell’imputato,
mentre i difensori avevano preferito affidare la questione al contraddittorio
tecnico, peraltro caratterizzato da una lunga memoria di osservazioni critiche e
dall’escussione in dibattimento del Consulente della difesa, preferendo
concentrare i loro interventi sugli aspetti giuridici del processo.
La Corte di appello, però, non ha affatto sostenuto che le scelte difensive
circa i temi da sviluppare nell’arringa (scelte, per vero, legittimamente ripetute
dinanzi a questo Collegio, laddove la difesa ha preferito illustrare specificamente
l’argomento del difetto di prova del concorso del Cadore nella falsificazione)
comportassero il superamento del problema dell’autenticità o meno della scheda
testamentaria; si è limitata, piuttosto, del tutto correttamente, a evidenziare
siffatta circostanza, senza assegnarle un valore prettamente abdicativo. Tale
circostanza infatti non è priva però di un qualche significato ove si ponga mente
al fatto che sulle critiche sollevate nei confronti del suo elaborato la Perita
d’ufficio, dott.ssa Draghetti, era stata sentita in contraddittorio e aveva risposto
in modo esaustivo a tutte le domande che la difesa e la Corte avevano ritenuto
di sottoporle.
1.5. Il ricorrente ripropone poi una serie di osservazioni volte a censurare
la pretesa

sciatteria e oscurità del contenuto della perizia Draghetti, con

l’estrapolazione di vari refusi e brani

ritenuti non chiari, giustamente

considerate irrilevanti da parte del Giudice di secondo grado. Le perplessità

17

d’ufficio, non condivise da Consulenti di parte, non dovrà per ciò

manifestate in ordine alla incomprensibilità delle dichiarazioni della Perita in
sede di chiarimenti in contraddittorio paiono invece del tutto artificiose ed
alimentate da incongruenze, ripetizioni, anacoluti,

non sequitur,

che

caratterizzano la lingua parlata e quindi la successiva pedissequa trascrizione
della registrazione della deposizione del dichiarante (e che si rinvengono
puntualmente anche nella trascrizione delle dichiarazioni degli altri Consulenti
di parte e dello stesso dott. Candeo).
1.6. Ampio risalto viene dedicato dal ricorrente alla critica della teoria del

progettazione di un

collage), prospettata dalla Perita e da lui ritenuta errata e

fantasiosa.
In particolare, il dott. Candeo aveva sostenuto che era indispensabile a tal
fine che la carta impiegata dal falsario fosse sufficientemente trasparente, in
modo da lasciar intravedere la traccia grafica del foglio sottostante che si intende
ricalcare; nella stessa perizia (pag.45) la Perita dava atto dell’opacità e non
trasparenza del foglio su cui era stato stilato il testamento; inoltre il Consulente
di parte della difesa aveva contestato la presenza delle tipiche caratteristiche del
falso per lucido (allineamento basale, calibro, soste, stacchi, stentatezze). Al
proposito il Perito d’ufficio nulla aveva saputo replicare ed all’udienza del
21/9/2015, chiamato a fornire spiegazioni sul punto, aveva risposto in totale
confusione e in modo del tutto incomprensibile.
Si è già detto dell’insussistenza del dovere motivazionale del Giudice del
merito di prendere posizione su tutte le specifiche divergenze di valutazioni
incorse fra Perito e Consulente della difesa, specie in considerazione del
collocamento della prova grafologica nel contesto di una ben più complessa e
articolata valutazione dei risultati probatori che ha indotto il convincimento della
falsità della scheda.
L’argomentazione proposta dai ricorrenti, di per sé, non ha una efficacia
dirimente perché è rivolta contro la particolare ipotesi ricostruttiva delle modalità
di confezionamento del falso, suggerita dalla Perita, e non già contro la
valutazione di falsità in sé e per sé considerata.
In ogni caso, l’incongruenza logica denunciata dal ricorrente non sussiste e
scaturisce da un’incomprensione delle argomentazioni della Perita; essa (nel
citato passaggio di pag.45 della relazione) effettivamente parla di opacità del
foglio utilizzato, ma non sostiene affatto che questo non può essere attraversato
dalla luce proveniente da una fonte luminosa proiettata contro di esso dalla
parte opposta del foglio rispetto a quella destinata alla scrittura (come è
necessario procedere in caso di ricalco per lucido diretto) e assume

18

falso per «atto simulativo per ricalco pedissequo- lucido diretto» (su probabile

semplicemente che «il foglio è stato predisposto a non lasciarsi attraversare
facilmente dalla luce naturale».
In ogni caso in sede di audizione e proprio nel brano riportato dal ricorrente
(udienza 21/9/2015, aff.139) la dott.ssa Draghetti risponde a tono, chiarendo
che va tenuto in disparte il tema di una eventuale illuminazione da ultravioletti e
che occorre invece considerare una fonte di luce normale (vien fatto l’esempio
anche con una luce cimiteriale, quindi particolarmente fioca), che invece
permette l’operazione («con questa luce bianca eccome…. e «c’è tutto lo stato

ho predisposto una scrittura da ricalcare»).
1.7. Il ricorrente lamenta poi la contraddizione in cui sarebbe incorsa la
Perita d’ufficio (pagine 11 e 177 della relazione), dapprima riconoscendo e poi
negando la necessità di un approccio extra-grafico alla problematica.
Tale contraddizione non sussiste affatto, poiché a pagina 11, nell’esposizione
metodologica, in linea generale, la Perita assume che alla grafologia forense non
deve essere estranea la logica dei fatti e degli avvenimenti e la considerazione
degli elementi extra-grafici e dei dati storico anamnestici, per poi soggiungere
che per riscontrare «identità di mano» è indispensabile accertare concordanze
grafiche sostanziali e spiegare le ragioni di eventuali differenze presenti, mentre,
al contrario, per concludere per «diversità di mano» occorre rilevare le
discordanze dinamiche sostanziali, superando le apparenti somiglianze materiali,
conseguenza di imitazione.
A pagina 177, invece, la Perita senza affatto ripudiare l’assunto iniziale, si
rifiuta del tutto correttamente, di seguire le argomentazioni del Consulente di
/
parte della difesa, laddove questi propone circostanze volte più che altro a
convalidare la plausibilità dell’investitura testamentaria alla luce dei rapporti
affettivi fra i due protagonisti della vicenda. Poi, in ordine all’influenza sulla
grafia delle patologie accusate da Mario Conte e dei farmaci da lui assunti,
senza ritrattare l’assunto generale (cfr pag.178) ripete che gravi patologie e
farmaci correlati possono influire sullo stato fisico e psichico e aggiunge che tale
effetto si scorge bene nelle firme patografiche del Conte, dopo il 2005, per
escludere invece tale fenomeno in precedenza.
Ed ancora, la Perita nega l’influenza dei farmaci e della malattia, con
specifico riferimento all’epoca di asserita redazione (settembre 1999), con
motivato e puntuale riferimento alle firme coeve, o immediatamente antecedenti
e successive, prive di indici patografici e basandosi altresì sul documentato stato
di salute del Conte all’epoca, opinando per la limitata estensione e la lentissima
crescita del carcinoma prostatico sulla base delle valutazioni acquisite dagli
Ausiliari medici.

19

materiale perché quella carta riceva la luce anche con un sottostante foglio dove

Insistono i ricorrenti lamentando la mancata considerazione di tutta una
serie di elementi extra-grafici rappresentati dal Consulente della difesa (uso di
penna stilografica, grammatura e rugosità della carta, intimità dell’atto
testamentario, emotività, paura
diarroica, effetti collaterali

del giudizio sociale, tensione, situazione

di farmaci, tumore maligno alla prostata), fatta

eccezione per due soltanto di essi (condizioni di salute e farmaci).
Il punto debole del ragionamento così articolato è che i ricorrenti e il loro
Consulente prospettano possibili influenze sullo stile scrittorio di circostanze

giudizio sociale, di valenza del tutto generica, di cui non è provata l’incidenza nel
caso concreto e che tuttalpiù potrebbero giustificare modeste divergenze
scrittorie e non certamente dimostrare il contrario di quanto concluso dalla Perita
e cioè che la scheda provenga dalla mano di Mario Conte.
Tipologia della carta e strumento grafico sono stati invece considerati dalla
Perita, che ha pure convenuto sull’uso di penna stilografica, sia pur mantenendo
una modestissima riserva per il mancato esperimento di ulteriori accertamenti
distruttivi, del tutto ininfluente nell’economia della valutazione e della decisione
successiva.
Sostengono i ricorrenti che la Perita avrebbe totalmente abdicato alle sue
funzioni, rimettendosi alle valutazioni di due ausiliari, un farmacologo e un
oncologo, le cui conclusioni erano state acriticamente recepite in perizia, senza
tener conto delle specifiche critiche rivolte e del ruolo attribuito all’ausiliario
nell’ordinamento dall’art.228, comma 2, cod.proc.pen. che non consente altro
che attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni.
Il Perito tuttavia era stato espressamente utilizzato ad avvalersi di tecnici
specializzati quali ausiliari; inoltre, in tema di perizia, la «anamnesi», ossia la
raccolta di notizie, informazioni o dati necessari ad indirizzare l’esperto verso una
diagnosi, costituisce una attività materiale che, non implicando apprezzamenti o
valutazioni, rientra tra le operazioni legittimamente delegabili dal perito ad un
ausiliario di sua fiducia a norma dell’art. 228, comma secondo, cod. proc. pen.
(Sez. 3, n. 11096 del 10/12/2013 – dep. 2014, P. e altro, Rv. 25888801)
I ricorrenti trascurano inoltre il fatto che la dott.ssa Draghetti ha fondato il
proprio ragionamento su di un elemento che pesa come un macigno, ossia
l’assenza di elementi patografici nelle scritture coeve o quasi contemporanee di
Mario Conte.
Infine la tesi della Perita si basa sugli elementi noti, provati e accertati,
mentre manca del tutto la prova di altri fattori che avrebbero determinato la
modificazione dello stile scrittorio, sino a renderlo – e solo allora, il 9/9/1999 deformato in guisa tale da non parere attribuibile alla stessa persona. Si noti,

20

esterne, connesse alla sfera emotiva, alla solennità dell’atto, al timore del

inoltre, che comunque ciò non proverebbe la paternità dello scritto in capo a
Mario Conte.
1.8. I ricorrenti, in tema di scritture comparative, osservano che il Giudice
di primo grado aveva ritenuto falso il testamento sulla base delle consulenze di
parte e di quella del Maresciallo dei R.I.S., in cui erano state utilizzate almeno
dodici sottoscrizioni estranee alla mano di Mario Conte; undici di queste, su
proposta della Consulente di parte Fontani, erano state ritirate in blocco dalla
Perita e la cosa era sfuggita alle valutazioni della Corte, nonostante fosse stata

La circostanza è del tutto ininfluente, visto che tali scritture non sono state
utilizzate come elementi di comparazione alla base dell’elaborato della dott.ssa
Draghetti, come, del resto, richiesto dalla stessa difesa del Cadore.
Soggiungono i ricorrenti che la scrittura «C115» (sottoscrizione apposta
alla scrittura pubblicata dal Notaio Cardarelli di Padova 1’11/2/2009, ossia il
verbale di pubblicazione del c.d. «Lodo Presca») proposta dal Consulente
dell’imputato era stata indebitamente respinta come scrittura di comparazione,
nonostante si trattasse di documento giacente presso pubblici ufficiali o incaricati
di pubblico servizio ex art.75 disp.att. cod.proc.pen.
L’argomentazione non è agevolmente comprensibile e tantomeno l’interesse
a proporla: non solo la difesa dell’imputato sostiene che la sottoscrizione «Mario
Conte» che compare su tale documento non è di mano del

de cuius

ma il suo

Consulente ha addirittura presentato una denuncia per la ritenuta falsificazione;
la stessa Perita d’ufficio, al di là delle ragioni che l’hanno indotta a non
ammettere la scrittura di comparazione (ossia la contestazione da parte del
Consulente dell’imputato), ha chiarito all’udienza del 21/9/2015, pur con varie
cautele dovute al mancato studio specifico della sottoscrizione in questione, di
non ritenere autentica quella sottoscrizione, perché all’epoca (2007) il Conte per
le sue condizioni non era più in grado di apporre quel tipo di firma.
Non si coglie quindi la ragione per la quale il ricorrente vorrebbe introdurre
fra le scritture di comparazione un documento di cui egli stesso contesta la
provenienza dal Conte, con un giudizio sostanzialmente condiviso dalla Perita.
In ogni caso, la lettura proposta dell’art.75 norme att. cod.proc.pen. è
palesemente viziata; possono essere acquisite le scritture di comparazione
giacenti presso pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, sul presupposto
che esse provengano effettivamente dal soggetto a cui si riferisce la verifica,
come è del resto normale allorché esse recano sottoscrizioni apposte in
presenza di pubblico ufficiale o comunque autenticate; non già quando vi sia il
dubbio, o addirittura una ragionevole certezza, sulla falsità delle sottoscrizioni,
nel caso proclamata dal Consulente dell’imputato e condivisa dal Perito.

21

ampiamente sottolineata dal Consulente dell’imputato.

Si duole il ricorrente del fatto che la Perita abbia estromesso dalle scritture
comparative anche le pagine di una intera rubrica con copertina blu, adducendo
quale ragione solo il mancato accordo tra le parti, elemento questo non
richiesto dalla legge, e nonostante la riapertura dell’istruttoria fosse stata
disposta in accoglimento della richiesta di utilizzo di tutte le scritture
comparative in atti, fra cui quella sopra citata.
L’accordo fra le parti è chiaramente presupposto dalla legge laddove
ammette le scritture per le quali non vi sia dubbio di autenticità, escludendo

alimentato con l’opposizione dell’una o dell’altra sia in concreto superabile.
In ogni caso, la parte ricorrente non dimostra la rilevanza della mancata
ammissione di siffatta scrittura e, cosa ancor più grave e decisiva,
l’inadeguatezza dell’ampio materiale grafologico utilizzato per la valutazione
peritale espressa all’esito del contraddittorio.
Nulla infine avrebbe replicato la Perita alle contestazioni mosse per aver
frustrato il contraddittorio, estromettendo la nota scritta dello strumentista
prof.Bottiroli e dei ricordi storici assunti ex art.228, comma 3, cod.proc.pen. del
medico di base di Mario Conte, dott. Viaro. La doglianza è a-specifica in quanto
non chiarisce, in modo esaustivo ed autosufficiente, il contenuto di tali elementi
probatori e, ancore più, la loro influenza sul processo valutativo seguito dal
Perito.
1.9. La Corte poi, secondo il ricorrente, non avrebbe

considerato

adeguatamente le gigantesche contraddizioni logiche in cui sarebbe incorsa la
Perita: a) assumendo che il testamento fosse un falso per lucido diretto quando
la carta utilizzata non lasciava passare la luce; b) sostenendo ad un tempo che
Mario Conte era in grado di realizzare modelli di scrittura differenti adattandoli al
momento e al contempo ripudiando ogni possibilità anche teorica in tal senso; c)
giudicando falsa la grafia del testamento perché rivelava caratteristiche
grannmato-morfiche divergenti dalle comparative senza tener conto di quanto al
punto b).
Il punto a) è stato esaminato sub § 1.5.
Quanto ai punti b) e c), la Perita ha effettivamente identificato tre modelli di
differenti stili grafici del Conte (il corsivo inglese del 1952, lo stile degli anni ’60’70, il modello degli anni’80-’90 in poi), oltre alle scritture patografiche dal 2005
in avanti, ma non ha affatto omesso di valutare la grafia oggetto di verifica alla
luce dei differenti modelli considerati.
1.10. La Perita sarebbe rimasta incerta sul mezzo grafico utilizzato,
nonostante i suoi strumentisti avessero concluso per l’impiego di penna
stilografica, adducendo la necessità di accertamenti distruttivi non meglio

22

quindi quelle non consentite dalle parti processuali, salvo il caso in cui il dubbio

indicati, con la conseguenza dell’inapplicabilità di tutte le questioni extra-grafiche
e di fisica strutturale sollevate dal Consulente della difesa sia nell’elaborato di
osservazioni (pag.50-56), sia in dibattimento (pag. 16-18).
La doglianza è infondata perché la Perita ha mantenuto una riserva,
meramente cautelativa, e ne ha spiegato le ragioni scaturenti dal rigore
scientifico, ma ha proceduto alla valutazione sulla base della ragionevole
certezza che la scheda in verifica fosse stata effettivamente vergata con penna
stilografica, proprio come sostiene la difesa del Cadore.

considerare numerosi temi tecnici segnalati dal Consulente della difesa, rimasti
non confutati (cambiamento del calibro e della forma con il rallentare della
velocità dell’atto scrittorio; false affermazioni dell’esistenza di stacchi e riprese
fatte dal RIS; improponibilità della congettura del collage; parametro grafologico
pendente riscontrabile sia nel testamento sia nelle lettere intime di Mario Conte;
ritmo grafico; misure tridimensionali del

quantum pressorio; affermazioni di

staticità e piattezza pressoria totalmente errate alla luce delle dimostrazioni
tridimensionali fatte in biografia conosco scopia dal dott.Dellavalle; allineamento
basale rilevato in maniera errata dalla perita; punti della lettera «i» non allineata
e ripetuti come sostenuto; le virgolette sulla parola «figlio»; vari errati
rilevamenti erroneamente ritenuti divergenti e invece ritenuti convergenti dal
Consulente).
Così argomentando, i ricorrenti sottopongono alla discussione tutta una
serie di problematiche prettamente tecniche sulle quali la Perita ha fornito
ampia e ragionata motivazione; tale motivazione, seppur divergente dalle
conclusioni del Consulente della difesa, non è stata messa in crisi sotto il profilo
logico e razionale dalle censure sollevate, oltretutto non rappresentate
specificamente alla dott.ssa Draghetti in sede di escussione a chiarimenti [che si
sono concentrati solo sui temi (a) della trasparenza o meno della carta, (b) delle
scritture comparative espunte, (c) della falsità o meno della sottoscrizione del
Conte sul doc.C115].

2. Il secondo motivo, con cui si deduce vizio motivazionale e violazione di
legge, è dedicato alla ravvisata responsabilità di Luciano Cadore, in concorso con
soggetto rimasto ignoto, nella falsificazione del testamento in questione.
2.1. In primo luogo, il ricorrente osserva che la sentenza addebita al Cadore
non già di aver personalmente falsificato il documento ma di aver agito in
concorso con l’ignoto autore materiale e poi, del tutto incongruamente, la
consequenziale appropriazione indebita (peraltro commessa in precedenza
secondo l’ipotesi accusatoria).

23

1.11. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte aveva poi mancato di

La censura coglie effettivamente una evidente improprietà espressiva della
sentenza impugnata, che non incide peraltro sulla sostanza della motivazione
dell’accertamento compiuto; a pagina 17 la Corte effettivamente parla di
«conseguente» reato di appropriazione indebita aggravata con presumibile
lapsus calami in luogo di «precedente», come del resto emerge sia dalla
complessiva ricostruzione del fatto e dalla datazione dei prelievi indebiti
contestati dal luglio 2006 all’ottobre 2008 (su cui

amplius infra), sia dalla

specifica affermazione formulata a cavallo fra le pagine 21 e 22 della sentenza

Conte, in vita di costui, viene esattamente (ed ovviamente) situata in
precedenza rispetto alla falsificazione della scheda testamentaria in cui il Cadore
è stato ritenuto aver concorso, dopo la morte di Mario Conte.
2.2. Secondo i ricorrenti le ragioni addotte in sentenza per ritenere non
verosimile l’istituzione testamentaria ad erede universale in capo al Cadore
presentavano come pacifiche circostanze che costituivano veri e propri
travisamento del fatto.
2.2.1. In particolare l’assunto che i rapporti fra Conte e Cadore fossero
essenzialmente lavorativi e che il loro avvicinamento si sarebbe registrato solo in
data successiva al presunto testamento, come sostenuto sia dal Tribunale di
Padova, sia dalla Corte di appello di Venezia, trascurava tutta una serie di
deposizioni che invece avevano delineato un vero e proprio rapporto affettivo
(testi Adolfo Bianchi, Francesco Marchesi, Anna Maria Rigoni, Paolo Alvigini,
Marina Riccoboni, Antonio Cortelazzo, Calegari).
La recriminazione, fra l’altro piuttosto generica, non coglie nel segno e
sollecita dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto
storico così come ricostruito in modo conforme dai due Giudici del merito, senza
elementi di contraddizione o illogicità manifesta, sulla base di un imponente
coacervo di elementi dichiarativi, da cui esulano segni certi e precisi di un
rapporto affettivo, per giunta intenso e filiale, fra Mario Conte e Luciano Cadore,
già nel settembre 1999, poco prima della quiescenza del Cadore come
dipendente e dell’assunzione da parte sua della veste di autista e factotum di
Mario Conte.
I Giudici del merito non disconoscono l’evoluzione nel tempo del rapporto tra
Conte e Cadore in termini di crescente fiducia e di graduale responsabilizzazione
e neppure la progressiva maturazione di una componente affettiva della
relazione, ma escludono motivatamente la sussistenza di elementi per ravvisare
fra i due un rapporto affettivo «para filiale», per giunta esclusivo, all’epoca della
presunta redazione della scheda e quindi ancor prima dell’inizio del rapporto di

24

impugnata, laddove la prolungata attività appropriativa ai danni del patrimonio

collaborazione personale, iniziato solo nel gennaio 2000 dopo il pensionamento
del Cadore dall’azienda.
Le circostanze segnalate da parte ricorrente non sono idonee a inficiare la
tenuta logica della motivazione, come non lo è la fiducia indubbiamente riposta
dal Conte nel Cadore, insita nella stessa scelta dopo il pensionamento come
stretto collaboratore personale, che costituisce un elemento del tutto
insufficiente, e quindi ininfluente, nella prospettiva di indagine considerata.
Il teste Caligara, unico escusso solo in secondo grado, ha apportato solo

resto finisce per riconoscere lo stesso ricorrente.
2.2.2. I ricorrenti sostengono poi che il fatto che Mario Conte avesse
manifestato l’intenzione di lasciare una parte ingente del proprio patrimonio ad
enti benefici e persone care era stato presentato come un dato pacifico, mentre
le risultanze testimoniali erano molto più variegate, aggiungono che il Conte
spesso prometteva benefici che poi si faceva pregare per mantenere e che
l’ingente patrimonio era la sua principale attrattiva esibita all’esterno per
circondarsi di persone.
Anche tale argomentazione sollecita una ricostruzione del fatto diversa da
quella ampiamente motivata dai due Giudici del merito (più diffusamente nella
sentenza di primo grado, peraltro conforme) con continui riferimenti alle
dichiarazioni provenienti dagli amici più stretti di Mario Conte e dal personale più
a suo stretto contatto quotidiano.
Aggiunge il ricorrente che il Conte ben avrebbe potuto prima istituire il
Cadore suo erede e poi aver deciso di destinare il proprio patrimonio ad opere di
bene, avendo provveduto in vita alle sorti del Cadore, senza però aver avuto
tempo, prima della morte, di confezionare il nuovo atto di destinazione
programmato.
L’argomentazione poggia su di una mera congettura, di emblematica
fragilità e scarsa logicità, tanto più in un contesto in cui il Conte avrebbe
destinato tutto il suo patrimonio a un solo soggetto e nel quale avrebbe avuto
nell’arco di nove anni tutto il tempo di riorganizzare diversamente la
distribuzione delle sue risorse

post mortem, del resto variamente sollecitata da

soggetti a lui vicini, come accertato nella sentenza di primo grado.
Circa la pretesa assorbenza del tema della genuinità o meno della scheda
testamentaria, rispetto al quale il tema della maggior o minor verosimiglianza
dell’istituzione si sarebbe palesato

inutiliter datum, si è già detto

supra

al §

1.2.
2.3. Secondo i ricorrenti, il ragionamento probatorio seguito dalla Corte di
appello era inidoneo a escludere l’applicabilità dell’art.489 cod.pen., prospettata

25

informazioni generiche e non quotate temporalmente in modo preciso, come del

dalla difesa dell’imputato,

poiché

tale reato presuppone pur sempre la

consapevolezza da parte dell’agente della falsità dell’atto utilizzato (alla cui
fabbricazione peraltro non ha concorso).
La censura ignora le specifiche ragioni frapposte analiticamente dal Giudice
di prime cure e molto più sinteticamente riprese nella sentenza impugnata per
ritenere che sicuramente il Cadore, pur non avendo personalmente provveduto
alla falsificazione del documento, aveva agito d’intesa con il falsificatore rimasto
ignoto: milita in tal senso, da un lato, il prepotente argomento del «cui prodest»

lui, che potesse indurre l’anonimo falsificatore ad agire per istituire il Luciano
Cadore erede unico di una enorme fortuna; dall’altro, l’assoluta inverosimiglianza
della collocazione della scheda in una borsa di cuoio del defunto, già
inutilmente esplorata dal Cadore, che avrebbe quindi potuto non trovarla mai.
Quand’anche l’anonimo e autonomo falsificatore avesse potuto agire
animato da un suo interesse parallelo all’investitura di un erede purchessia,
come azzarda in qualche modo il ricorrente, non si comprende come questi
potesse prevedere il ritrovamento di un foglio celato in un luogo in cui già erano
state fatte le debite ricerche (cfr sentenza di 1° grado, pag.17). Ciò a tacer del
fatto che l’ipotetico interesse del falsificatore autonomo è stato ipotizzato in
modo fragilissimo, poiché non esistevano legati civilisticamente validi che il
falsificatore potesse sperare di veder eseguiti dall’erede da lui «beneficato» con il
testamento falso, senza alcun preventivo accordo.
2.4. I ricorrenti osservano che la Corte aveva addebitato al Cadore
l’atteggiamento serbato dopo la morte del Conte e in particolare l’aver ricercato
e contattato gli eredi potenziali, dopo essere stato nominato erede universale,
per proporre loro accordi transattivi, mentre la ricerca era stata disposta
allorché era curatore dell’eredità giacente dei Conte e allorché, come risultava
dalla deposizione dell’avv.Castellini, egli si era premurato di segnalare il
nominativo di una cugina altrimenti non reperita.
Tanto il Tribunale quanto la Corte hanno messo in rilievo fra i contegni
sospetti serbati dal Conte dopo la pubblicazione del testamento l’adozione di
iniziative transattive per tacitare preventivamente i possibili titolari di pretese
alternative e in particolare la decisione di contattare gli eredi legittimi di Conte
per proporre una transazione (sottovalutando fortemente il patrimonio) senza
che vi fossero segnali di petizioni ereditarie da parte loro.
L’addebito attiene all’iniziativa transattiva assunta da Luciano Cadore verso
gli eredi legittimi, ancora quieti e non sospettosi, e non già alla preventiva
indicazione al Castellini (da lui, allora curatore dell’eredità giacente, incaricato di

26

non potendosi prospettare una valida ragione, diversa da un preciso accordo con

esperire ricerche anagrafiche) di un nominativo di una possibile erede, del tutto
inconferente.
Nè, a fronte della precisa contraria affermazione contenuta nella sentenza
di primo grado, richiamata genericamente in quella di appello, il ricorrente
allega e dimostra che alla data dei contatti transattivi avviati con gli eredi
legittimi costoro avessero già intrapreso petizioni ereditarie confliggenti con i
suoi diritti.
2.5. Osservano i ricorrenti che il rilievo attribuito dalla Corte alle modalità

del tutto generico.
Anche in questo caso la debita integrazione delle conformi pronunce di
merito nell’esplorazione degli elementi di prova logica induce al rigetto della
doglianza. Nella sentenza di primo grado era stato ampiamente illustrato che il
luogo di conservazione della busta era del tutto anomalo, tanto più che il Conte
aveva conservato molto più prudentemente in cassaforte il precedente
testamento a favore della moglie (informazione questa condivisa con varie
persone), mentre quello a favore di un erede universale privo di vincolo
parentale sarebbe stato lasciato in una borsa senza alcuna cautela e senza
avvertire nessuno; inoltre il Cadore aveva dichiarato di aver già ricercato in
precedenza in quella stessa borsa senza trovare il testamento, salvo cercare di
spiegare in modo piuttosto artificioso il mancato ritrovamento con l’esistenza di
una busta esterna della Antonveneta.
2.6. I ricorrenti rimproverano alla Corte di aver dapprima mostrato di voler
prescindere dal c.d. «Lodo Presca» (pag.18) per poi (pag. 19) collegarlo almeno
temporalmente alla scoperta del testamento, ignorando totalmente l’avvenuta
dimostrazione della falsità del documento C115 (ossia il «Lodo Presca» effettuato
dalla difesa attraverso l’elaborato della dott.ssa Cordella, recepita anche dalla
Perita d’ufficio (a pag.30 della perizia e in corso di audizione del 21/9/2015) che
aveva quantomeno riconosciuto che la firma di Mario Conte non poteva esservi
stata apposta ad ottobre del 2007 e che le parti dattiloscritte erano state redatte
in epoche diverse.
La censura non centra la ratio decidendi.
La sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, non attribuisce
rilievo di per sé al «Lodo Presca», evidentemente privo di valore giuridico

iure

civili (non avendo la forma e il contenuto prescritti per un testamento
olografo, ossia l’integrale scrittura, datazione e sottoscrizione di pugno del
testatore, ex art.602 cod.civ. o per una valida donazione non di modico valore,
ossia l’atto pubblico, per giunta presenziato da testimoni,

27

ex art. 782 cod.civ. e

di reperimento del testamento, su cui aveva dichiarato di voler sorvolare, era

art.48 legge 16/2/1913 n.89), anche senza considerare la presumibile falsità
della sua sottoscrizione.
Le pronunce di merito si limitano invece ad attribuire rilievo alla esibizione
del «Lodo Presca», quale mero fatto storico, rilevante sia ai fini dello
scatenamento della spinta motivazionale in capo al Cadore per procedere
d’intesa con altri alla falsificazione della scheda testamentaria

de qua, sia ai fini

del significativo valore sintomatico e indiziario ascritto all’incongrua reazione di
Luciano Cadore, per nulla compiaciuto dall’indicazione a suo favore solo di un

La falsità del «Lodo Presca», secondo i ricorrenti, avrebbe spiegato
altrimenti i movimenti di coloro che si erano mossi illegalmente per mettere le
mani sull’ingente patrimonio, nella prospettiva di una doppia convergente
falsificazione del lodo e della scheda testamentaria, perché solo la presenza di
un erede poteva permettere di far eseguire i vari lasciti previsti dal lodo.
La ricostruzione alternativa poggia su di una serie di illazioni e congetture,
scarsamente logiche, che non spiegano né perché il falsificatore avrebbe proprio
scelto il Cadore per investirlo di una immensa fortuna, nella speranza che egli,
oltretutto senza alcun concerto con lui, avrebbe poi provveduto ad eseguire
disposizioni liberali prive di alcun valore giuridico (si veda

supra § 2.5.), né

come il falsificatore avrebbe potuto ragionevolmente contare sul ritrovamento di
una scheda in un luogo in cui l’ignaro Cadore aveva già guardato.
2.7. L’argomento del «cui prodest» utilizzato nella sentenza di primo grado e
richiamato, ma non tematizzato, dalla Corte, secondo i ricorrenti non avrebbe
tenuto conto della molteplicità degli interessi ruotanti intorno al patrimonio
Conte e non riusciva comunque a superare l’ipotesi di cui all’art.489 c.p.
Si è già esaminato il tema nel precedente § 2.3. cui si fa rinvio.

3. Con il terzo motivo, dedicato alla ravvisata responsabilità di Luciano
Cadore per il reato di appropriazione indebita continuata e aggravata, il
ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione dell’art.646 cod.pen. e
vizi motivazionali.
Le doglianze proposte non dimostrano in modo evidente la sussistenza di
ragioni per una immediata assolutoria nel merito,

ex

art.129, comma 2,

cod.proc.pen., ed anzi appaiono non fondate.
L’art.129, comma 2, pur in presenza di una causa di estinzione del reato,
prevede la pronuncia di sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere,
quando dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste, o che l’imputato non
lo ha commesso o che il fatto non è previsto dalla legge come reato.

28

lascito in assoluto cospicuo di 700.000 C.

La prescrizione dei reati maturata nel corso del giudizio di legittimità è
rilevabile a condizione che il ricorso, almeno in parte, sia ammissibile e sempre
che non risulti dagli atti la prova evidente prevista dal citato comma 2
dell’art.129; tale prova deve emergere in modo assolutamente non contestabile,
così richiedendo solo una mera constatazione e non già un apprezzamento
(Sez. 6, n. 32872 del 04/07/2011, Agulli e altri, Rv. 25090701; Sez. 6, n. 48524
del 03/11/2003, Gencarelli, Rv. 22850301; Sez. 6, n. 48527 del 18/11/2003,
Tesserin e altro, Rv. 22850501; Sez. 6, Sentenza n. 12320 del 09/07/1998, P.g.

merito può essere adottata solo quando dagli atti risulti evidente la prova
dell’innocenza dell’imputato e non nel caso di insufficienza o contraddittorietà
della prova di responsabilità (Sez. 5, n. 39220 del 16/07/2008, Pasculli e altri,
Rv. 24219101). Di conseguenza, qualora la motivazione del giudizio di merito dia
contezza delle ragioni poste a fondamento dell’effettuato giudizio di
responsabilità dell’imputato, non può nel contempo emergere dagli atti, con la
necessaria evidenza, una causa assolutoria nel merito (Sez. 6, n. 48524 del
03/11/2003, Gencarelli, citata).
3.1. E’ pur vero che tra il rilascio della procura generale da parte di Mario
Conte a novembre 2005 e il primo versamento del luglio 2006 a proprio favore
da parte del Cadore sono passati 9 mesi, ma tale circostanza è del tutto
ininfluente nel contesto della trama motivazionale della sentenza impugnata.
3.2.Gli illeciti accantonamenti sono stati sistematici e reiterati; l’espressione
«di modesto valore», puramente valutativa e soggettiva, incide ben poco
nell’economia della decisione, essendo pacifico l’ammontare singolo e
complessivo dei vari prelievi ed è comunque stata utilizzata dalla Corte in
rapporto all’enorme ammontare del patrimonio del Conte, solo marginalmente
scalfito dalle appropriazioni in questione.
3.3. I ricorrenti insistono poi

sulla tesi del consenso di Mario Conte,

ascrivendo alla Corte una contraddizione per aver dapprima affermato la
persistente lucidità e vigilanza del Conte e poi aver dipinto il controllo da parte
sua come meramente generico e facilmente eluso da parte dell’imputato,
nonostante che i prelievi effettuati fossero mediamente attestati sui 12.500 C
mensili, cifra facilmente identificabile anche in un conto milionario.
Le due conformi sentenze di merito hanno indubbiamente dato atto delle
condizioni di lucidità mentale del Conte e della sua attenzione al tema economico
sino alla fine, ma hanno anche tratteggiato, accanto a questa condizione
generale, l’attenuata capacità del Conte negli ultimi anni di vita di seguire
concretamente e nei particolari l’ordinaria gestione delle spese correnti (affidata

29

in proc. Maccan U e altro, Rv. 212320); quindi la formula di proscioglimento nel

al Cadore),

progressivamente declinata con il peggioramento delle sue

condizioni di salute, con il calo dell’attenzione e l’indebolimento della volontà.
E’ stato anche messo in rilievo nella sentenza di primo grado il fatto che la
posizione del Cadore gli consentiva di aprire la corrispondenza del datore dì
lavoro e quindi di filtrarla, sino ad intromettersi anche nelle visite. Inoltre è stata
anche sottolineata l’entità relativamente modesta degli ammanchi rispetto al
complesso del patrimonio.
I ricorrenti sostengono che non era possibile escludere che il Conte fosse

Cadore. Di tale consenso però non vi è prova e neppure il benché minimo indizio.
Si elimini pure l’argomento dell’incompatibilità logica delle donazioni con
l’istituzione ereditaria (non avendo ragione di preoccuparsi il Conte delle sorti del
suo erede universale) per la semplice ragione della ritenuta falsità della scheda
9/9/1999: in ogni caso la misura e le modalità delle dazioni, progressive,
sistematiche, frazionate, sono del tutto incoerenti con l’ipotesi proposta, che si
sarebbe conciliata con un unico versamento o con alcuni ingenti versamenti e
non con lo «stillicidio» menzionato nella sentenza di primo grado.
I ricorrenti assumono che non era il Cadore a dover dimostrare il consenso
del Conte ma era la pubblica accusa a dover dimostrare le appropriazioni;
tuttavia, una volta dimostrata la materialità degli storni di denaro a favore del
Cadore e in minor parte ai suoi famigliari e una volta acclarata l’inesistenza di
altre causali giustificative, era invece l’imputato a dover dimostrare, se non il
consenso del Conte, almeno indizi che lo suffragassero, anche a prescindere
dalla evidente nullità civilistica delle pretese donazioni, oggettivamente non
modiche, per vizio di forma.
3.4. L’art.129, comma 1, cod.proc.pen. impone al giudice, in ogni stato e
grado del procedimento di dichiarare l’estinzione del reato, d’ufficio e quindi
anche in mancanza di specifico motivo di impugnazione.
Le appropriazioni indebite, concretizzatesi in tutta una serie di prelievi
abusivi e riversamenti sui propri conti effettuati da Luciano Cadore a partire dal
luglio 2006 e finiti un po’ prima della morte di Mario Conte (13 ottobre 2008).
La complessiva ricostruzione delle operazioni in entrata e in uscita dai conti
correnti del defunto e degli imputati è riassunta nell’informativa della Guardia di
Finanza del 22/12/2009 e nelle elaborazioni allegate di cui ai fogli 1-30 prodotti
il 28/2/2013 dal P.M. , richiamata nella sentenza di primo grado e allegata

sub

doc.12 al ricorso per cassazione.
Da tale documentazione risulta che la prima operazione di prelievo è del
28/4/2006, l’ultima è del 10/10/2008, poco prima della morte di Mario Conte
(13/10/2008); nessuna operazione risulta eseguita successivamente, sicché non

30

perfettamente consapevole dei versamenti finalizzati a donazioni a favore del

ha senso alcuno aver riguardo alla data del 6/12/2008, data di pubblicazione del
testamento.
Si tratta di singole appropriazioni indebite, come tali contestate e accertate,
seppur avvinte dall’unicità del disegno criminoso appropriativo.
Ne consegue che la prescrizione è maturata dopo la sentenza di secondo
grado.
Ai 7 anni e 6 mesi di cui all’art. 161 cod.pen. occorre aggiungere i 272
giorni di sospensione incorsi nel giudizio di primo grado [(a) 8/6/2012-5/7/2012,

56; (c) 4/12/2012-18/2/2013, per impedimento: giorni 61; (d) 10/7/201319/9/2013 per astensione da udienze: giorni 71; (e) 19/9/2013-15/11/2013, per
astensione da udienze: giorni 57].
Di conseguenza, anche per l’ultimo prelievo, avvenuto il 10/10/2008, la
prescrizione risulta maturata il 7/1/2017.
Il necessario annullamento della sentenza impugnata relativamente alle
imputazioni di appropriazione indebita perché i reati sono estinti per prescrizione
impone l’eliminazione della relativa pena, operazione peraltro agevolmente
eseguibile da questo Collegio, tenuto conto dell’aumento di anni 1 per la
continuazione con i reati di cui al capo B) disposto nella confermata sentenza di
primo grado, a pag.21.

4. Con il quarto motivo subordinato, i ricorrenti deducono vizio della
motivazione, in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche
ex art.62 bis cod.pen., negate in modo esclusivamente auto-referenziale e non
adeguatamente contestualizzato alla situazione personale del Cadore, senza
confrontarsi con le specifiche considerazioni svolte in atto di appello
(incensuratezza, comportamento processuale collaborativo, bonifico a favore del
Cuamm, benefici agli ex dipendenti con somme pari al TFR non percepito).
La Corte ha respinto la censura evidenziando la gravità del fatto commesso
e la non comune capacità criminale dimostrata, richiamando la correttezza della
valutazione operata dal Giudice di primo grado, che aveva anche sottolineato il
comportamento successivo al reato volto all’occultamento e alla appropriazione
definitiva dei beni ingiustamente acquistati e privo di qualsiasi segnale di
pentimento.
La concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata
sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale
benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa
richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla
valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità

31

per impedimento: giorni 27; (b) 9/10/2012-4/12/2012, per impedimento: giorni

dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il
solo richiamo alla ritenuta assenza agli atti di elementi positivi su cui fondare il
riconoscimento del beneficio. (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 2016,
Piliero, Rv. 26646001).
Nella specie i Giudici del merito hanno posto in luce specifiche circostanze
reputate ostative nell’espressione della discrezionalità consentita dalla legge e
giustamente ancorate alla particolare gravità del reato, ulteriormente

5. Con il quinto motivo subordinato, i ricorrenti deducono vizio logico in
relazione al

quantum

della pena irrogata, privo di adeguata motivazione dei

motivi del rigetto della richiesta della difesa di commisurarla in riduzione sino ai
limiti della possibilità di fruire della sospensione condizionale.
I Giudici del merito hanno adeguatamente motivato la pena in concreto
inflitta, senza necessità di dover fornire una ulteriore spiegazione delle ragioni di
una diversa e maggior riduzione quale quella auspicata dal ricorrente.

6.

Con il sesto motivo subordinato

i ricorrenti deducono vizio della

motivazione, in relazione alla mancata riqualificazione del capo A) nel delitto di
cui all’art.489 cod.pen. (uso di atto falso).
Il punto è stato esaminato e confutato

supra

al § 2.4.: è stata infatti

ritenuta a tal fine adeguata la motivazione basata sulla prepotenza logica
dell’argomento del «cui prodest», che induceva a ritenere il concorso nella
falsificazione del principale ed anzi unico diretto beneficiario, nonché quella
fondata sulla totale inverosimiglianza dell’azione di un terzo,
improbabili motivazioni

per ignote o

volta a beneficiare a sua insaputa il Cadore,

ulteriormente resa implausibile dalla scelta della collocazione del testamento
falsificato in un luogo in cui avrebbe potuto assai facilmente sfuggire al
ritrovamento.
La data di dedotta consumazione, indicata in prossimità del momento di
pubblicazione della scheda non deponeva affatto a favore della tesi dell’uso di
atto falso, rispetto al quale, di per sé, appariva del tutto neutra.

7.

Con

il settimo

motivo subordinato, i ricorrenti deducono vizio

motivazionale, in relazione alla somma concessa a titolo di provvisionale alle
parti civili, confermata nonostante la contestazione sollevata al proposito non
fosse affatto generica (che aveva evidenziato che le parti civili non avevano
patito

l’attesa e l’incertezza della vicenda giudiziaria

perché avevano già

concluso prima del processo una transazione che aveva fruttato loro 400.000 C

32

enfatizzata dai comportamenti successivi dell’imputato Cadore.

ciascuno e lo scarso grado di prossimità e confidenza che esse avevano con il
Conte).
Secondo la giurisprudenza della Corte in tema di provvisionale, la
determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice
di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando l’importo rientri
nell’ambito del danno prevedibile. (Sez. 6, n. 49877 del 11/11/2009, R.C. e
Blancaflor, Rv. 24570101; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina ed altri, Rv.
23010501), Anche le Sezioni Unite si sono espresse sul punto, affermando che

generica al risarcimento del danno assegna alla parte civile una somma da
imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per Cassazione, in
quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere
travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento.» (Sez. Unite,
n. 2246 del 19/12/1990 dep. 1991 Rv. 186722,Capelli).
In ogni caso i Giudici del merito hanno adeguatamente motivato la somma
concessa a tale titolo con riferimento all’entità delle sottrazioni appropriative e al
danno morale patito.

8. Con il primo motivo aggiunto viene ripreso il tema della teoria dell’atto
simulativo per ricalco pedissequo – lucido diretto.
8.1. Questo presupponeva necessariamente che la carta utilizzata dal
falsario per realizzare la scrittura apocrifa fosse sufficientemente trasparente per
lasciar passare la luce da sotto in modo da far intravedere la traccia grafica da
ricalcare.
Ciò non si sarebbe potuto verificare, come ammesso dalla Perita Draghetti a
pagina 45 della sua relazione in tema di opacità del foglio e non adeguatamente
spiegato all’udienza confrontandosi con le obiezioni del dott.Candeo, allorché
essa aveva introdotto il tema della luce ultravioletta, alla quale il dott. Candeo
non aveva mai fatto riferimento e al quale aveva accennato solo la Perita, in
modo peraltro incomprensibile, a pagina 47 della sua relazione.
Il tema è stato affrontato compiutamente

supra nel § 1.6.

8.2. I ricorrenti aggiungono che erano state ignorate le puntuali riflessioni
del Consulente della difesa alle pagine 68-72 delle osservazioni in ordine alle
caratteristiche di convergenza che un falso ottenuto per ricalco avrebbe dovuto
possedere in termini sia di rispecchiannento delle grandezze, ampiezze, assetto,
inclinazioni e grafia del modello sia di presenze di esitazioni, stacchi e
stentatezze tipiche della riproduzione lenta.
Era così insostenibile dire che il testamento era la riproduzione della grafia
autografa di Mario Conte ottenuta per calco pedissequo e al contempo affermare

33

«Il provvedimento con il quale il giudice di merito nel pronunciare condanna

che erano diversi calibro, inclinazione assiale, allineamento sul rigo e sagome
letterali.
Anche la tesi del ricalco da collage, proposta, per esclusione, dalla Perita
appariva improbabile e non conosciuta dalla letteratura scientifica, risultando
piuttosto da una fusione di tre delle quattro pratiche falsificatorie più note
(imitazione per ricalco, imitazione pedissequa, imitazione per lucido, imitazione a
mano libera).
Inoltre si registrava la mancanze delle anomalie segnalate nella letteratura

prospettata dalla Perita.
Al proposito il Collegio ha già esposto puntuali osservazioni nei precedenti §
1.2., 1.3. e 1.6.; anche a prescindere dall’adeguata motivazione fornita dalla
Perita d’ufficio e accolta dalla Corte, resta il fatto che la tesi svolta dal ricorrente
può tuttalpiù distruggere l’ipotesi peritale sulla tecnica di falsificazione utilizzata
ma è del tutto ininfluente per predicare validamente la riconducibilità della
scheda testamentaria in questione alla mano di Mario Conte.
8.3. Quanto alle ulteriori censure riprese nell’ambito del primo motivo
aggiunto (pretesa contraddizione in tema di valori di pressione sul foglio,
confusione tra i «riverberi chiaroscurali» e la modifica plastica del supporto
cartaceo per effetto della forza premente esercitata sulla superficie,) è
sufficiente richiamare le ragioni esposte nei precedenti § 1.1., 1.2, 1.3 e 1.11 a
sostegno dell’adeguata motivazione ravvisabile nella pronuncia di merito a
sostegno dell’adesione alla argomentata tesi del Perito d’ufficio.

9. Con il secondo motivo aggiunto, in tema di elementi extra-grafici, i
ricorrenti segnalano una serie di elementi da tenere in considerazione circa
l’intimità del rapporto intercorrente fra Mario Conte e Luciano Cadore, tratti dalla
deposizione dell’imputato, dalle sue agendine (dove il nome di Cadore e il suo
numero di telefono erano evidenziati in rosso), dall’annotazione sull’agendina
della data del suo compleanno, dall’indicazione del suo nome di battesimo
soltanto oppure seguito, ma più in piccolo, dal cognome, dalle espressioni
affettuose utilizzate per auguri e ringraziamenti vari.
Si tratta però di circostanze di modestissimo valore indiziario che attestano
l’esistenza di rapporti cordiali e financo affettuosi fra il Conte e il Cadore,
oltretutto da datare e articolare nel tempo, assolutamente inidonee a scalfire la
minuziosa ricostruzione, anche diacronica, dei rapporti fra i due, contenuta nelle
due sentenze di merito pronunciate in questo giudizio.

34

scientifica che smentivano la tesi della simulazione per ricalco da lucido diretto

10. Con il terzo motivo aggiunto in tema di scritture comparative, i ricorrenti
rammentano che il dott. Candeo aveva sollecitato l’esclusione del documento
«C115», a cui non si era opposta la Consulente tecnica di parte civile dott.ssa
Fogarolo, sia pur senza voler riconoscere l’apocrifia della sottoscrizione. Inoltre la
parte civile Fontani tramite il suo Consulente aveva ritirato le scritture
comparative C1- C11 adducendo l’intento di non semplificare il lavoro al Perito in
modo non credibile e perseguendo solo lo scopo di non riconoscere le abnormi
inesattezza compiute nel procedimento di primo grado.

scritture Cl-C11 al mancato accordo fra le parti, privo di rilevanza in sede
penale. Sul punto si è già risposto supra al § 1.8.
10.1. I ricorrenti aggiungono che l’organo titolato a dichiarare la falsità in
giudizio della firma «C115» era la Corte di appello e non il Perito: tuttavia la
scrittura «C115» non era l’oggetto del giudizio, ma semmai una prova; la Perita
l’ha giustamente estromessa dalle scritture di comparazione e il ricorrente, che
ne ha denunciato la falsità, non è legittimato a dolersene.
10.2. Secondo i ricorrenti la Perita aveva omesso di valutare la capacità di
adattamento grafico del Conte, non esaurita nell’ambito delle scritture
comparative acquisite, di considerare le peculiarità emotive dell’atto solenne di
redazione del testamento olografo e di procedere a un esame comparativo con
scritture redatte in momenti parimenti morbosi. Le censure riprendono quelle già
esaminate nel corso del § 1.7.

11. Il rigetto del ricorso agli effetti civili, nonostante il parziale annullamento
quanto alla condanna inflitta per il capo B) in conseguenza dell’estinzione del
reato per prescrizione, comporta la condanna del ricorrente alla rifusione delle
spese sostenute dalla parti civili.
Tali spese possono essere congruamente liquidate:
(a)

a favore della parte civile Opera Immacolata Concezione Onlus in C

2.000,00= oltre accessori di legge;
(b) delle parti civili Giuliana Mazzuccato ed altri, assistite dall’avv.Tiengo in
complessivi C 4.000,00= oltre accessori di legge;
(c) della parte civile Maria Mazzuccato in C 2.000,00= oltre accessori di legge;
(d) della parte civile Renzo Fantoni in C 2.000,00= oltre accessori di legge;
(e) della parte civile Luciano Tasca, in C 2.000,00= oltre accessori di legge.

P.Q.M.

35

I ricorrenti osservano che la Perita Draghetti aveva riferito l’esclusione delle

Annulla l’impugnata sentenza limitatamente al reato di cui al capo B) perché
estinto per prescrizione.
Elimina la relativa pena di anni uno di reclusione.
Rigetta il ricorso nel resto nonché agli effetti civili.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile
Opera Immacolata Concezione Onlus in C 2.000,00= oltre accessori di legge,
dalla parte civile Mazzuccato Giuliana ed altri, assistita dall’avv.Tiengo liquidate
in complessivi 4.000,00= oltre accessori di legge, dalla parte civile Mazzuccato

Renzo che liquida in C 2.000,00= oltre accessori di legge, dalla parte civile
Tasca Luciano, liquidate in C 2.000,00= oltre accessori di legge.

Così deciso il 13/2/2017

Maria, liquidate in C 2.000,00= oltre accessori di legge, dalla parte civile Fantoni

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA