Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18951 del 25/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18951 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRESTIGIACOMO SALVATORE N. IL 08/03/1924
avverso l’ordinanza n. 9548/2010 GIUD. SORVEGLIANZA di
PALERMO, del 11/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
LOCATELLI;
lette/sentita. le conclusioni del PG Dott. N i’c4o-

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/03/2013

RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 17.7.1996 il Tribunale di Palermo applicava a Piazza
Vincenzo la misura di prevenzione della sorveglianza speciale disponendo
la confisca dei beni sequestrati ritenuti riconducibili al proposto, anche se
intestati a terze persone tra le quali Prestigiacomo Salvatore.
Con decreto del 3.12005 la Corte di appello di Palermo confermava
il provvedimento del Tribunale di applicazione della misura di

soggetti intestatari dei beni, condannando gli appellanti al pagamento in
solido delle spese processuali determinate in euro 3.744.344,90.
Prestigiacomo Salvatore presentava istanza di remissione del debito
per spese processuali al Magistrato di sorveglianza di Palermo che con
ordinanza del 11.6.2012 la dichiarava inammissibile, sul rilievo che
l’istituto della remissione del debito per spese processuali previsto
dall’art.6 d.P.R. n.215 del 2002 è applicabile unicamente alla categoria
dei condannati e degli internati, e non può essere estesa alla categoria
dei terzi interessati.
Avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza il difensore del
terzo interessato ricorre per cassazione per i seguenti motivi: erronea
interpretazione dell’art.6 del d.P.R. n.215 del 2002 che riconosce il diritto
di richiedere la remissione del debito per spese processuali a qualunque
“interessato”; difformità della decisione rispetto a quella adottata dal
Magistrato di sorveglianza di Siracusa che ha accolto l’istanza di
remissione del debito presentata da Mazzara Salvatore, coobbligato del
ricorrente; l’interpretazione della disposizione adottata con il
provvedimento impugnato viola l’art.3 della Cost.
Con successiva memoria del 25.3.2013 ribadiva le ragioni poste a
fondamento del proprio ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Questo Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza di
legittimità (n. 15665/13, c.c. 16/01/2013) secondo cui deve escludersi
che un terzo interessato, intervenuto in un procedimento di prevenzione
e condannato al pagamento delle spese processuali, possa beneficiare
dell’istituto della remissione del debito.

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prevenzione e di confisca impugnato da Piazza Vincenzo e da tutti i

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La remissione del debito, disciplinata dal vigente art. 6 d.P.R. n.115
del 2002 al titolo II relativo alle «disposizioni generali relative al
processo penale», riguarda soltanto le spese del processo penale;
nessuna disposizione del citato d.P.R. consente di estendere
l’applicazione dell’istituto oltre le spese del processo penale cui
esclusivamente si riferisce.
Come è stato affermato dalla Corte costituzionale (n.98/1998 e

penale deve essere considerata non come obbligazione civile, ma vera e
propria sanzione economica accessoria alla pena. Tale assunto è fatto
proprio e ribadito anche dalla Corte di legittimità, da ultimo con la
decisione delle Sez. U., n. 491 del 2011, Pislor.
Non possono assumere la natura di sanzione economica accessoria
alla pena le spese processuali eventualmente poste a carico del terzo
interessato nel procedimento di prevenzione, tenuto conto che tale
procedimento non può mai comportare l’irrogazione di una delle pene
previste dagli artt.17 e ss, cod.pen. Inoltre il terzo che interviene nel
procedimento di prevenzione avente ad oggetto l’applicazione di una
misura patrimoniale, sia che intervenga volontariamente, sia che
partecipi iussu iudicis, non è destinatario della misura di prevenzione, ma
portatore nel procedimento di prevenzione di un mero interesse di natura
civilistica ( Sez. 2, n. 27037 del 27/03/2012 , Bini, rv. 253404).
Sussiste una differenza strutturale tra il fatto di reato oggetto del
processo penale, cui consegue una pronuncia di condanna e l’irrogazione
di una pena o di una misura di sicurezza, e la fattispecie astratta delle
misure di prevenzione, funzionali alla tutela della sicurezza pubblica, che
non sono connesse a responsabilità penali del soggetto, non si fondano
sulla colpevolezza, né hanno carattere sanzionatorio di doveri giuridici,
ma sono collegate ad un complesso di comportamenti integranti una
«condotta di vita» che il legislatore assume come indice di
pericolosità sociale. Anche la Corte di Strasburgo (6/11/1980, Guzzardi;
22/2/1994, Raimondo; 6/4/2000, Labita), nell’affrontare la questione
della qualificazione delle misure di prevenzione previste dal nostro
ordinamento, le ha ritenute estranee all’area della «materia penale»
escludendole dal novero delle misure privative della libertà personale di

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n.57/2001), l’obbligazione relativa alle spese processuali nel processo

cui all’art. 5 della Convenzione EDU e qualificandole come semplici
restrizioni alla libertà di circolazione di cui all’art. 2 del protocollo n. 4
della Convenzione.
La modifica alla disciplina della remissione del debito, introdotta
dall’art. 6 del T.U. sulle spese di giustizia, non è connotata da elementi
tali da aver inciso sulla natura e sulla ratio dell’istituto, che mantiene la
caratteristica di misura premiale, ancorata alla condotta ed alle disagiate

penale. Il legislatore ha trasfuso nel contesto della disciplina delle spese
di giustizia l’istituto della remissione del debito, apportandovi le modifiche
rese necessarie dagli interventi della Corte costituzionale (n. 342/91),
che aveva dichiarato illegittimo l’art. 56 Ord. Penit. nella parte in cui non
prevedeva che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione
di pena o per custodia cautelare, potessero essere rimesse le spese del
procedimento al condannato che avesse serbato in libertà una regolare
condotta e versasse in disagiate condizioni economiche. La nuova
collocazione conferma che la remissione del debito rappresenta un
beneficio di natura economica che mira ad estinguere il debito del
condannato per spese di mantenimento e processuali, e costituisce una
rinuncia da parte dello Stato ad un proprio credito finalizzata ad
agevolare il reinserimento sociale del condannato.
Tali finalità dell’istituto non possono essere snaturate in ragione della
circostanza che l’art. 6 del d.P.R.n.115 del 2002 faccia riferimento alli
“interessato” e non al “condannato”. Anche l’attuale lettera della norma
non può che condurre alla individuazione dei destinatari del beneficio in
coloro che siano stati condannati nel processo penale, posto che al
comma 2 viene fatto riferimento a chi “è stato detenuto o internato” e al
comma 1 a chi “non è stato detenuto o internato”, ossia a soggetti
comunque condannati in un processo penale.
Non è, quindi, venuto meno il presupposto dell’istituto della
remissione del debito, individuabile nella sussistenza di indici di
ravvedimento del condannato, riferibile – in conformità con la pronuncia
della Corte cost. n. 342/1991 – anche ai soggetti che non hanno espiato
la pena o non la hanno espiata in carcere.

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condizioni economiche del soggetto condannato nell’ambito del processo

M^ •

Ogni questione sull’ammontare delle spese processuali deve essere
fatta valere attraverso i mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento
in sede civile (Sez. U., n. 491 del 2011, Pislor, rv. 251265).
A norma dell’art.616 cod.proc.pen. Il ricorrente Prestigiacomo
Salvatore deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

processuali.
Così deciso in Roma il 25.3.2013

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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