Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18947 del 09/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18947 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI CATANIA
nei confronti di:
PATANE’ ANTONINO N. IL 05/03/1966
avverso l’ordinanza n. 723/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
06/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lettmisentite le conclusioni del PG Dott. t-{o~:›
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Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 09/12/2013

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

– che il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza dell’8/5/2013, annullava
il provvedimento del G.i.p. applicativo della misura della custodia cautelare in
carcere nei confronti di Patané Antonio, indagato per partecipazione, fino
all’aprile 2010, all’associazione per delinquere di tipo mafioso SantapaolaErcolano, ritenendo che il compendio indiziario, costituito dalle attendibili
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Ignazio Barbagallo, Ettore Scorciapino,

non era idoneo a giustificare la conferma della impugnata misura cautelare, e ciò
in forza di una duplice considerazione: la prima, consistita nel rilievo che le
dichiarazioni dei collaboratori giustizia, per quanto convergenti nel riferire che
l’indagato, soprannominato “Nino Coca Cola”, già condannato in via definitiva per
partecipazione ad associazione mafiosa con condotta protrattasi fino al 1994, e
sino all’ottobre del 2000, aveva continuato ad essere intraneo all’associazione, e
segnatamente al gruppo di Acireale, al quale apparteneva anche il cognato
Sebastiano Sciuto, inteso “Nino Coscia”, non erano connotate dall’indicazione di
episodi o condotte concrete riconducibili a detta militanza associativa e idonee ad
integrare la prestazione di un contributo alla vita ed alle attività nella quale si
sostanzia il delitto; la seconda, che risultando al Patanè contestata, in altro
procedimento, la partecipazione al clan Santapaola sino a tutto il 2009, le
dichiarazioni dei collaboratori su cui risulta basarsi l’applicazione della misura,
non consentono di collocare la partecipazione del Patanè in un momento
successivo alla fine del 2009, posto che anche la cerimonia di conferimento
all’indagato della qualifica di uomo d’onore, di cui aveva riferito da ultimo il
collaboratore La Causa, autorevole “reggente” dell’intero clan Santapaola, era da
collocarsi in un periodo antecedente alla fine del 2009;
– che il Procuratore della Repubblica di Catania Direzione Distrettuale Antimafia
ha proposto ricorso per cassazione avverso detta ordinanza, denunziando
erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, deducendo che i
giudici del riesame, incongruamente, avevano ritenuto applicabile nel caso in
esame il principio di diritto, secondo cui la convergenza di plurime attendibili
dichiarazioni che si limitino ad affermare la generica conoscenza
dell’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminoso non costituiscono un
compendio indiziario sufficientemente grave per l’adozione di una misura
cautelare personale per reato associativo (in termini Sez. 6, n. 40520 del
25/10/2011 – dep. 08/11/2011, Falcone, Rv. 251063), trattandosi di principio
affermato da questa Corte con riferimento ad una fattispecie non comparabile a
quella in esame (nella quale l’indagato apparteneva anagraficamente ad una
famiglia nella quale più componenti erano partecipi anche di una famiglia
1

Nazareno Anselmi e Mario Sciacca nonché dalla biografia criminale dell’indagato,

mafiosa con ruolo apicale), laddove, con riferimento alla posizione del Patanè,
andava invece applicato il diverso principio secondo cui le dichiarazioni dei
collaboratori o l’elemento di riscontro individualizzante – che ben può essere
costituito, come nel caso di specie, da altre convergenti dichiarazioni di
attendibili collaboratori di giustizia – non devono necessariamente riguardare
singole attività attribuite all’accusato, giacché il “fatto” da dimostrare non è il
singolo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (in
termini Sez. 2, n. 23687 del 03/05/2012 – dep. 14/06/2012, D’Ambrogio e altri,

accompagnato dall’indicazione del cognome ovvero del soprannome che lo
identificava con assoluta certezza;
– che l’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi non specifici e
comunque manifestamente infondati;
– che infatti, il ricorso appunta le proprie censure sulla prima soltanto delle
rationes decidendi sviluppate nel provvedimento impugnato (mancata
indicazione di comportamenti o fatti specifici da cui desumere un concreto
apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio ), mentre non incide sulla
valenza argomentativa della seconda (collocazione della partecipazione
dell’indagato in un momento successivo alla fine del 2009); il che era, invece,
tanto più necessario, avendo i giudici del riesame espressamente affermato che
nessuna delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia valorizzate dal giudice
che aveva disposto la misura, “agganciava” la condotta del Patanè ad un periodo
successivo rispetto a quello oggetto di altro procedimento ancora in corso;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2013.

Rv. 253221) nello specifico affermata sulla base di un riconoscimento fotografico,

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