Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18936 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18936 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIGNATARO ANTONIO N. IL 06/10/1984

avverso la sentenza n. 3382/2011 CORTE APPELLO di BARI, del
16/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
tA-u-r-32-•
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 61.0 ~,..
che ha concluso per
#.3t
.

Udito, per la parte civile, l’Avv

Udi tclifensoreAvv.

– )/4 sCisiLt 5

Data Udienza: 10/04/2013

ritenuto in fatto
1. Con sentenza del giorno 16.4.2012, la Corte d’appello di Bari confermava
la pronuncia del Tribunale di Trani, che aveva dichiarato PIGNATARO Antonio
colpevole del reato di tentato omicidio in danno di Fortunato Giuseppe e di
detenzione e porto abusivo di armi da sparo e lo aveva condannato alla pena di anni
otto di reclusione.

fermata di mezzo pubblico, ove la vittima si trovava ed aveva visto secondo l’ipotesi
d’accusa come istigatore Pistillo Michele e come esecutore materiale Pignataro
Antonio, che aveva esploso all’indirizzo del Fortunato detto “zi Peppe” o “brucc” un
colpo di pistola a distanza ravvicinata , che lo aveva attinto alla zona toracica ,
mettendo in serio pericolo la sua vita.
La Corte convalidava la portata del compendio probatorio costituito dall’esito di
intercettazione ambientale che aveva consentito di captare una conversazione di De
Vincenzo con ignoto interlocutore, in cui si faceva chiaro riferimento al Pignataro
come esecutore dell’omicidio, sulla base di indicazioni fornite dallo stesso Pignataro
durante un periodo di comune detenzione; veniva poi valorizzata la dichiarazione del
collaboratore Novelli a cui il Pignataro aveva fatto una confessione stragiudiziale del
fatto,essendosi con lui intrattenuto proprio il pomeriggio che anticipava l’azione di
sangue. Rilevava la corte che non era da giudicare come bizzarro il fatto che secondo
quanto riportato dalla fonte di prova, il Pignataro avesse chiesto al Novelli nel
pomeriggio precedente la sera del tentato omicidio, un giubbotto per la pioggia ( che
Novelli custodiva nel vano sotto sella del motociclo), visto che quel giorno pioveva e
che quindi la richiesta non era da collegarsi al fatto di dover commettere il fatto di
sangue, ma solo per ripararsi dalla pioggia nel particolare momento della richiesta.
Veniva poi rilevato che le differenze riscontrate nelle rivelazioni fatte dal
Novelli in fase di indagine ed in dibattimento quanto al tempo della confidenza (
prima di commettere il reato , ovvero il giorno dopo) andavano risolte con le
puntualizzazioni fatte dal Novelli, in sede di contestazione quando ebbe a convenire
che fu il giorno dell’agguato, quando Pignataro ebbe a ritornare nel quartiere di S.
Valentino, a parlargli dell’intervenuta azione, senza peraltro aver fatto il nome della
vittima designata. Veniva poi ritenuta del tutto insignificante la discrasia nel contesto
delle rivelazioni circa il luogo in cui la rivelazione venne fatta ( in casa del Pignataro o
nelle strade del quartiere) . Né veniva ravvisato contrasto tra l’ora dell’agguato e la
cronologia dei movimenti dell’imputato, così come rappresentata dal Novelli: la sua
indicazione delle ore 20,30, quanto al momento in cui l’imputato rientrò dal quartiere
di S. Valentino, era approssimativa e comunque era compatibile con la presenza del
Novelli sulle strade del suo quartiere, per praticare il commercio di stupefacente che si

.2

Il fatto era occorso in Andria, il 20.10.2005, nel quartiere di S. Valentino, alla

prolungava fino alle ore 21. Quanto alle altre aporie rilevate dalla difesa, venivano
ritenute del tutto prive di portata distruttiva della fondatezza delle indicazioni
accusatorie. Veniva infine ritenuto sussistente il movente, atteso che il delitto si
inseriva nella contesa tra le famiglie Pesce-Pistillo da un lato e Pastore-Lapenna

dall’altro e che la scomparsa del padre dell’imputato e le offese patite dall’imputato e
dalla madre di costui costituivano una fondata ragione di impulso vendicatorio. Del
resto che ci fosse un odio covato dall’imputato e dalla madre risultava anche da

Quanto all’alibi presentato dall’imputato, accreditato dagli zii veniva ritenuto
non fondato proprio alla luce della rappresentazione del Novelli che non aveva riferito
che il Pignataro quel giorno si fosse diretto a casa degli zii, mentre si era allontanato

da lui; le dichiarazioni degli zii , Fortunato Francesca e Caterino Michele non furono
collimanti tra loro quanto agli orari .
Sulla qualificazione del reato veniva esclusa una derubricazione in termini di
lesioni aggravate, considerati il tipo di arma usata, la zona attinta, la reazione verbale

dell’imputato di rincrescimento per il fallimento dell’agguato, la dichiarata disponibilità
di uccidere nuovamente, dati che venivano ritenuti indici significativi dell’animus
necandi. Veniva sottolineato che il colpo fu sparato a distanza ravvicinata e veniva
escluso che fosse stato frutto di errore , difettando ancoraggi per comprovare che lo
sparo partì da un veicolo in movimento.
I giudici a quibus ritenevano congrua la pena inflitta , considerata la capacità
a delinquere manifestata dall’imputato nell’occorso e conclamata

dal suo certificato

penale; non venivano quindi ritenuti sussistenti i presupposti per operare un diverso
e più favorevole giudizio di bilanciamento.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato pel

tramite del suo difensore, per dedurre:
2.1 inosservanza delle norme processuali ed inutilizzabilità dell’esito delle
intercettazioni ambientali del 9.11.2007 sull’auto del De Vincenzo, per difetto di
motivazione: non sarebbero stati esaminati i presupposti richiesti dalla legge quanto
a sussistenza del reato ed indispensabilità del mezzo investigativo, onde evitare

un’autorizzazione in bianco.
2.2 violazione degli artt. 270 e 271 cod.proc.pen.: l’intercettazione valorizzata
in chiave accusatoria fu disposta in altro procedimento; il pm avrebbe dovuto
depositare non solo la perizia della trascrizione, bensì anche

i

verbali delle

intercettazioni medesime, laddove così operando sarebbe stato inibito alla difesa ogni
tipo di verifica.
2.3 violazione di legge per avere utilizzato le dichiarazioni del collaboratore
Novelli rese oltre termine previsto dall’art. 16 quater c. 9, d.l. 15.1.1991, n. 8,
3

un’intercettazione operata negli uffici della Polizia di Trani tra i due.

V°11~

convertito in I. 15.3.1991, n. 82.

Il Novelli ebbe ad iniziare il suo percorso

collaborativo il 23.9.2008, laddove le dichiarazioni utilizzate nel presente processo
furono rese il 23.2.2011; ciò avrebbe comportato la violazione delle norme suindicate
con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni tardivamente rese ( oltre 180
giorni).
2.4 Omessa motivazione sulla verifica di attendibilità del collaboratore Novelli:
le dichiarazioni del collaboratore vengono definite generiche, mutevoli,

condanna praticamente solo sulle medesime, né operare come valido riscontro. Le
lacune narrative non potevano essere colmante con supposizioni, atteso che quanto
affermato dal Novelli appare il risultato di proprie elucubrazioni e pensieri che non
possono vincolare il giudice nella formazione del suo convincimento.
2.5 Motivazione apparente: la motivazione della corte sarebbe stata appiattita
su quella dei giudici di primo grado; sarebbe stato omesso di considerare le
dichiarazioni rese dal m.11o Nacci, che rappresentò che nulla era emerso a carico del
Pignataro; non sarebbe emerso dagli atti un rancore tanto forte da poter armare la
mano del Pignataro di soli 21 anni, uscito da un mese da una esperienza carceraria,
tanto più che non aveva dati certi sull’autore dell’omicidio in danno del padre. Il
movente così come delineato presenterebbe profili di debolezza interna, anche
perchè sarebbero stati scartati altri moventi risultanti da specifiche indicazioni
dell’accusa , collegati all’omicidio di Acrì Domenica, successivo al fatto de quo, ma
collegato. Nelle lettere a firma Pistillo inviate alla convivente Di Trani era emerso che
il Pistillo fu il mandante dell’azione criminosa, ma non vi erano evidenze che
indicassero il Pignataro come uomo del Pistillo. Secondo la difesa sarebbero state
violate le regole dell’oltre il ragionevole dubbio, ragion per cui viene chiesto
l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Con atto depositato il 28.3.2013 sono stati dedotti motivi aggiunti. Viene
insistito sul vizio di violazione di legge e su quello di illogicità della motivazione. In
primis viene ribadita la non utilizzabilità delle intercettazioni, ove non siano stati
depositati i verbali e le registrazioni. In secondo luogo, viene contestato il valore
probante della confessione resa a terzi dal Pignataro, perché la c.d. confessione
stragiudiziale è soggetta comunque al regime delle fonti indiziarie, va valutata sotto
il profilo dell’attendibilità intrinseca e necessita di elementi di riscontro. Quella del
Novelli non era peraltro una chiamata in correità, ma una dichiarazione accusatoria
de relato, che andava supportata da adeguati elementi estrinseci, che dovevano
riguardare direttamente il fatto oggetto dell’accusa e la persona dell’imputato, non
essendo sufficiente il controllo sulla mera attendibilità intrinseca del collaborante.

contraddittorie, suggerite e coatte , la cui fragilità non poteva consentire di fondare la

Quindi occorrevano riscontri di spiccata consistenza, da resistere agli elementi di
segno opposto eventualmente dedotti dall’imputato. Viene ripetuto che in una
memoria era stato evidenziato che il narrato del Novelli era smentito dall’orario in cui
era avvenuto il tentato omicidio del Fortunato (secondo il Novelli tra le ore 19,30 e le
20,30) , laddove l’ora del tentato omicidio era individuata tra le ore 21 e le ore 21,20.
Infine, viene ribadito che l’intercettazione del colloquio tra je Vincenzo ed altro
soggetto doveva portare a ritenere che quanto raccontato dal )e Vincenzo non era

De Vincenzo non furono mai collocati in carcere nello stesso reparto e quindi non
ebbero mai a partecipare alle attività intramurarie insieme.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va rigettato.
Quanto al primo motivo, riguardante la non utilizzabilità della intercettazione
ambientale del 9.11.2007, disposta in altro procedimento, è immediato rilevare che il
decreto in via d’urgenza allegato dalla difesa dava conto di un’attività investigativa
in corso a carico di Caterino Natale, presunto sodale di un gruppo criminale
capeggiato da De Vincenzo Nicola, la cui esistenza era affiorata all’esito dell’ascolto a
distanza, all’esito di sequestri e di contributi informativi raccolti che costituiva base
gravemente indiziaria; veniva evidenziato che l’ascolto delle conversazioni all’interno
dell’auto del De Vincenzo risultava indispensabile per la prosecuzione dell’indagine.
L’apparato motivazionale del decreto assunto in via d’urgenza il 30.10.2007 era
dunque completo e fu recepito integralmente dal gip con motivazione per relationem,
ancorchè sia stato fatto erroneo riferimento a controllo di utenza, anzichè di
ambiente. Va però precisato che il provvedimento allegato venne emesso ad
integrazione di precedente atto del gip di Treni in data 4.10.2007, che autorizzava
l’intercettazione ambientale su auto Fiat Punto del De Vincenzo, il quale medio
tempore risultava avere acquistato anche una Mercedes, cosicchè veniva esteso il
provvedimento inizialmente assunto su questa nuova auto, fermo restando le
esigenze investigative già espresse e valutate favorevolmente. Non ricorre pertanto il
vizio dedotto non essendo stata data alcuna autorizzazione aperta o in bianco, come
sostenuto, ma essendo state specificate le ragioni investigative che avevano portato
ad estendere ad una seconda auto in uso all’indagato il controllo, in un contesto
indiziario significativo, in quanto seriamente accreditato e quindi legittimante il ricorso
al controllo ambientale. E’ del resto principio più volte affermato dal diritto vivente
che solo la mancanza, e non l’inadeguatezza della motivazione del decreto
autorizzativo, può dare luogo

ad inutilizzabilità

dei risultati probatori

stato appreso dall’imputato Pignataro , bensì da voci correnti , visto che il Pignataro e

dell’intercettazione ( Sez. Un. 25.3.1998, m. 210610, Sez. Un. 21.6.2000, m.
216665, Sez. Un. 17.11.2004, n. 45189)
Quanto al secondo motivo di inutilizzabilità delle intercettazioni, per mancato
deposito dei verbali, il motivo è parimenti infondato, dovendo essere richiamato
quanto affermato da questa Corte sul fatto che il mancato deposito presso l’autorità
competente per il diverso procedimento, dei verbali delle intercettazioni altrove
disposte, non determina l’inutilizzabilità dei relativi risultati, in quanto tale sanzione

n. 27042, Sez. VI 24.11.2009, n. 48968). Il principio è stato affermato sulla
lunghezza d’onda dell’approdo delle Sezioni Unite di questa Corte , con sentenza n.
45189 soprarichiamata, citata dalla difesa

solo in un singolo passaggio , con cui è

stato precisato che nel caso di acquisizione dei risultati delle intercettazioni disposte
in altro procedimento, l’eventuale inutilizzabilità della prova a norma dell’art. 271
cod.proc.pen., può dipendere dall’illegalità del procedimento di ammissione
dell’intercettazione, ma non dalla mancata trasmissione del documento
rappresentativo dell’intervenuta autorizzazione, o della proroga delle operazioni e
trattandosi di fatto processuale il fatto da cui dipende tale illegalità, va provato dalla
parte che lo eccepisce. La ragione di tale modus opinandi risiede del resto nel fatto
che con l’utilizzo di intercettazioni avvenuta in altri procedimenti non si richiede una
ulteriore interferenza nélla sfera di libertà altrui, cosicchè il limite di ammissibilità
della prova risulta ristretto rispetto a quanto l’art. 266 cod.proc.pen. prevede, circa i
reati che consentono l’intercettazione, di talchè il procedimento di ammissione
dell’intercettazione rimane del tutto estraneo alla disciplina dell’utilizzazione dei suoi
risultati in altro procedimento. Non solo, ma è stato affermato che il giudice è tenuto
a rilevare d’ufficio l’inutilizzabilità risultante ex actis , ma non è tenuto a ricercarne
d’ufficio la prova ; l’art. 270 cod.proc.pen. prevede al terzo comma che pm e difesa
hanno la facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel
procedimento in cui le operazioni furono autorizzate e che essendo l’accesso agli atti
di altro procedimento consentito alle parti, ciascuna ha l’onere di provare i fatti
penali che adduce , quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di
cui il giudice dispone.
La doglianza è quindi infondata, non avendo dato conto la difesa della
Irregolarità che intendeva fare valere emergente dagli atti di

cui

lamenta la

indisponibilità, atti a cui aveva accesso e sul k base dei quali avrebbe dovuto provare
I’ illegittimità.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato, atteso che è principio consolidato
quello secondo cui la sanzione di inutilizzabilità che, ai sensi dell’art. 16-quater,
comma nono, del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella L. 15 marzo 1991, n.

é

processuale non è prevista dagli artt. 270 e 271 cod. proc. pen. ( Sez. V, 18.2.2008,

82, come modificata dall’art. 14 della L. 13 febbraio 2001, n. 45, colpisce le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia rese oltre il termine di centottanta giorni,
previsto per la redazione del verbale informativo dei contenuti della collaborazione,
trova applicazione solo con riferimento alle dichiarazioni rese fuori del contraddittorio
e non a quelle rese nel corso del dibattimento ( Sez. VI, 20.12.2011, n. 16939).
Volendo ritenere il Novelli un collaboratore di giustizia, le dichiarazioni utilizzate nel

Quanto al quarto e quinto motivo del ricorso, attinenti alla valutazione del
materiale probatorio non sono condivisibili le doglianze su un acritico recepimento
delle indicazioni accusatorie, avendo i giudici di merito operato con la dovuta cautela
l’acquisizione della fonte di accusa, rappresentata dal teste Camillo Novelli che
raccolse” tempore, la confessione del Pignataro sull’agguato teso al Fortunato: la
fonte di accusa è stata correttamente ritenuta in termini di testimonianza, non
essendo il Novelli risultato imputato/indagato in processi connessi o collegati.
Cionondimeno, il contributo informativo da lui fornito veniva ritenuto riscontrato
dall’esito di intercettazione di un colloquio telefonico in cui De Vincenzo Nicola faceva
espresso riferimento al Pignataro come esecutore del tentato omicidio in questione ,
sulla base di quanto dallo stesso riferitogli durante un periodo comune di detenzione,
parlando con ignoto interlocutore. Vale la pena di ricordare che il Novelli ebbe a
fornire un contributo di conoscenze direttamente acquisito ( quanto ai movimenti del
Pignataro il pomeriggio che precedette il tentato omicidio), nonché un contributo
relativo alle confidenze ricevute dal diretto interessato, quanto alla paternità
dell’azione. Confidenze che sono state ritenute plausibilmente fatte, attesi gli
strettissimi rapporti intercosi tra il Novelli e l’imputato all’epoca dei fatti.
Asserite discrasie nella rappresentazione del Novelli del racconto a lui fatto dal
Pignataro sull’azione di fuoco in questione, sono state plausibilmente ricondotte dalla
Corte di merito a sfasature di ricordo, comprensibili con il tempo trascorso, non
significative in quanto vertenti su aspetti del tutto marginali e quindi non
compromettenti l’ossatura del racconto; sfasature comunque congruamente superate
in sede di maggiori chiarimenti richiesti, non con mere supposizioni come adombrato,
ma con più puntuali precisazioni, così come sottolineato nella sentenza impugnata alle
pagine 8 e 9, che non si espone ad alcuna censura in termini di incoerenza logica. La
rappresentazione del Novelli non poteva essere sottovalutata , considerato il ruolo
assunto quale testimone diretto sulla circostanza di avere trascorso con il Pignataro la
prima parte del pomeriggio del 10 ottobre 2005, quando il prevenuto si allontanò
dicendogli che avrebbe dovuto compiere un’azione di fuoco, senza specificare il nome
della vittima designata e che solo al suo ritorno, nei luoghi comunemente frequentati,

presente contesto processuale, furono rese in dibattimento.

disse di aver attentato alla vita del Fortunato. Il Novelli, oltre che aver rappresentato
il furto di una Vespa, che doveva costituire un mezzo di estorsione e che venne usata
dall’imputato per l’omicidio nel pomeriggio, aveva anche specificato le ragiono;
dell’attentato che andavano a ricollegarsi alla storica rivalità tra le famiglie PistilloPesce da un lato e Pastore-Lapenna dall’altro, in cui maturò un clima di odio covato
dall’imputato e dalla madre verso il clan avverso, poiché entrambi erano stati
gravemente offesi (la madre con un ceffone ricevuto proprio dal Fortunato) ed

nel 1992, vittima di lupara bianca. Tale risentimento era del resto emerso in un
colloquio tra l’imputato e la madre , ascoltato a distanza, presso gli uffici di polizia di
Trani confermava quindi il racconto del Novelli.
Le indicazioni di quest’ultimo si sono venute ad intrecciare con il rilevante
apporto probatorio offerto dalla conversazione del De Vincenzo con ignoto
interlocutore , conversazioni captata a distanza, quindi avvenute in una situazione di
assoluta immediatezza e spontaneità, nel corso della quale De Vincenzo, dopo avere
riferito particolari significativi quali le minacce, lo schiaffo alla madre, l’unico colpo
partito che non fu letale e le rappresaglie successive, così da rendere inequivoco il
riferimento al fatto de quo, disse di aver saputo proprio dal Pignataro che fu lui a
sparare al Fortunato , il quale non rivelò mai l’identità dell’autore dell’agguato subito.
Per quanto il De Vincenzo sia sicuramente un “teste ” de relato, non poteva essere
sottaciuta la carica di spontaneità del racconto e quindi l’assoluta affidabilità del
narrato, intercorso in un momento di assoluta spontaneità, in una conversazione
privata, libera da qualunque inibizione, essendosi ritenuto il De Vincenzo lontano da
ascolti indiscreti. La Corte territoriale ha attestato che Pignataro e De Vincenzo ebbero
un periodo di comune detenzione nel carcere di Trani, così da rendere plausibile
l’occasione in cui la confidenza fu resa; il fatto che i due fossero stati in reparti
diversi, come comprovato dalla difesa, non è di per sé fattore escludente le occasioni
di incontro che all’interno del carcere si possono comunque verificare, seppure non
nella quotidianità, anche tra coloro che sono assegnati a diversi reparti.
Il convergere dei due contributi rappresentativi, l’uno portato all’attenzione
degli inquirenti dal suo autore, l’altro raccolto nel corso di conversazione captata, è
stato correttamente ritenuto un nucleo probante solido e non scalfito o scaifibile dalle
obiezioni difensive. Neppure l’alibi avvalorato dalle dichiarazioni degli zii
dell’imputato è stato ritenuto adeguato a sminuire la portata della convergenza ,
poiché come rilevato dai giudici a quibus , i due testimoni hanno fornito indicazioni dei
tempi tra loro divergenti ( secondo Caterino Michele il nipote arrivò alle ore 20,15 e
se ne andò alla ore 21,40/21,45, mentre per Fortunato Francesca arrivò alle 17 per
9

entrambi conservavano il rancore per l’avvenuta scomparsa del padre dell’imputato

fermarsi fino alle 21/21,30/22) ed eccessivamente dilatati nell’approssimazione,
senza contare che la Caterino nell’immediatezza del fatto aveva riferito di non
ricordare se il nipote fosse andato a casa loro la sera del tentato omicidio. La
valutazione operata è quindi avvenuta in termini logici ineccepibili e con aderenza

alle evidenze disponibili.
Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente ai pagamento

p.q.m.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, addì 10 Aprile 2013.

delle spese processuali.

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